mercoledì 5 novembre 2014

Diritti umani: 5 prodotti che ci rendono schiavisti Dall'olio di palma al cioccolato: i prodotti sul mercato che violano i diritti umani....





L’era della globalizzazione ci ha reso consumatori di massa.
Abbiamo a disposizione una gamma di prodotti talmente sterminata che spesso finiamo per perderci.
I prodotti arrivano nelle vetrine dei negozi perfetti e patinati, ma sapere che cosa avviene dietro le quinte non è così facile, così come non è facile adottare un criterio coerente per una valutazione qualitativa.
MANCA UN'AUTORITÀ INTERNAZIONALE. Districarsi in questa selva è diventata un’impresa al punto che da più parti è stata chiesta l'istituzione di una autorità internazionale capace di guidare e consigliare i consumatori privati fungendo da bussola, ma anche e soprattutto di sorvegliare le multinazionali e far rispettare leggi e diritti umani.
Chiaramente la cosa è più difficile a dirsi che a farsi dal momento che subentrano spesso problematiche derivanti dal contesto locale e dalle dinamiche internazionali.
IL TENTATIVO (NAUFRAGATO) DELLE NAZIONI UNITE. La totale assenza di regolamentazione e di organi di controllo ha spinto le Nazioni Unite a cercare di mappare le multinazionali, ma a oggi su circa 80 mila solamente 323 si sono registrate nella lista delle compagnie che rispettano i diritti umani.
Un dato che solleva da solo importanti interrogativi sulla liceità dei processi produttivi di migliaia di multinazionali private che sfuggono a ogni controllo. Il sito vox.com ha isolato i cinque prodotti più comuni e di largo consumo dietro i quali si nascondono violazioni dei diritti umani ormai accertate.

1. Olio di palma: deforestazione in Malesia e lavoro minorile

  • L'olio di palma viene utilizzato per friggere le patatine. (Getty)

Ricavato dalla polpa dei frutti degli alberi di palma, è estremamente economico sia da produrre sia da comprare, e questo lo rende molto appetibile nei mercati globali.
Solo per fare un esempio, Burger King frigge le sue patatine nell’olio di palma, e sono moltissimi i prodotti che lo utilizzano, vedi la nostra Nutella. Peccato che la produzione di olio di palma non sia propriamente esente da pericolosità per l’ambiente circostante, come sanno molto bene in Malesia e in Indonesia, due dei Paesi dove ne si produce la maggiore quantità a livello mondiale.
Per realizzare l’olio infatti vengono distrutti ettari ed ettari di foreste, al punto che secondo un rapporto delle Nazioni Unite, circa il 98% delle stesse rischierebbe la distruzione entro il 2022. Calen May-Tobin, della Union of the Concerned Scientists, ha anche indicato il rischio che la deforestazione tropicale potrebbe contribuire del 10% alle emissioni di carbonio globali.
L'IMPEGNO DI GENERAL MILLS E DUNKIN' DONUTS. Non solo. Dietro la produzione dell’olio di palma ci sarebbe anche lo spettro del lavoro minorile, come ampiamente dimostrato in un rapporto del 2013 del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. Oltre a Burger King e alla Ferrero l’olio di palma viene utilizzato abitualmente anche da McDonald’s e da altre catene come Taco Bell, Kfc e Pizza Hut. Chiaramente utilizzare l’olio di palma non vuol dire automaticamente violare i diritti umani e danneggiare l’ambiente.
A questo proposito lo stesso May-Tobin ha scritto che alcune compagnie, tra cui la General Mills e la Dunkin’ Donuts, hanno elaborato nuove tecniche per continuare a usare l’olio di palma in modo sostenibile; tuttavia il dubbio è che molte altre non si siano ancora allineate.

2. Gamberetti: lavoratori thailandesi pestati e torturati

  • La Thailandia è uno dei principali esportatori di gamberetti al mondo. (Getty)

Gran parte dei gamberetti che arrivano sulle nostre tavole proviene dalla Thailandia, nel Sud-Est dell’Asia: diffuse violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone impiegate nella pesca dei crostacei sono state portate alla luce da un video documentario del The Guardian.
Persone trattate alla stregua di schiavi, torturate e pestate, mentre i gamberetti da loro pescati finiscono surgelati nei container di multinazionali quali Walmart, Carrefour, Tesco e Costco. Tutte le compagnie coinvolte, interpellate sulla questione, hanno promesso di impegnarsi a cambiare le cose, ma senza la collaborazione delle autorità thailandesi il compito è arduo.
PESCA INTENSIVA ANCHE IN INDIA E HONDURAS. Gli altri Paesi dove è in atto la pesca intensiva di gamberetti sono India, Bangladesh e Honduras.
Anche in questo caso però occorre precisare che è possibile esportare gamberetti senza violare diritti umani, solo che per i consumatori diventa difficile distinguere tra chi lo fa e chi no.

3. Indumenti: mancanza di sicurezza nelle fabbriche bengalesi

  • Un ragazzino al lavoro in una fabbrica di Dacca, Bangladesh. (Getty)

Chi non ricorda la tragedia del Rana Plaza di Dacca, capitale del Bangladesh? Il 24 aprile del 2013 un edificio commerciale di otto piani adibito a fabbrica tessile collassò su se stesso a seguito di un cedimento strutturale causando la morte di oltre 1.100 persone. La tragedia portò all'attenzione dell'opinione pubblica il tema della sicurezza e 29 marchi di multinazionali finirono sotto accusa dal momento che la fabbrica in questione produceva abbigliamento per Auchan, Benetton, Camajeu, El Corte Inglès e molti altri.
VF FINISCE NELLA BUFERA. Un anno più tardi, sempre in Bangladesh, è finita nella bufera Vf, compagnia americana legata a marchi come Jansport, Nautica e NorthFace che gestisce una novantina di fabbriche nel Paese. Nel giugno del 2014 scoppiò un incendio in uno stabilimento Vf a Dacca e l'organizzazione United Students Against Sweatshops tornò a denunciare la mancanza di sicurezza. Anche grazie al clamore mediatico scaturito dalla tragedia del Rana Plaza sono stati fatti dei piccoli passi avanti e Vf ha annunciato di aver sottoposto le proprie fabbriche in Bangladesh a una serie di controlli volti a migliorare le condizioni di lavoro.

4. Gasatori Sodastream: stabilimento israeliano in terra palestinese

  • Un lavoratore palestinese della Sodastream. (Getty)

Nella top five dei prodotti meno rispettosi dei diritti umani fanno capolino anche i gasatori della israeliana Sodastream. Lo stabilimento principale infatti si trova nel cuore della West Bank, che assieme alla Striscia di Gaza fa parte dei Territori palestinesi.
La fabbrica, in cui lavorano circa 1.100 persone, si trova a pochi chilometri da Gerusalemme, in un insediamento chiamato Ma’ale Adumim.
INSEDIAMENTI RITENUTI ILLEGALI DALL'ONU. Questo come gli altri insediamenti israeliani in terra palestinese sono ritenuti illegali dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalle istituzioni europee.
Gli stessi dipendenti palestinesi della fabbrica hanno denunciato a più riprese le condizioni di lavoro discriminatorie e i licenziamenti indiscriminati.

5. Cioccolato: bambini ivoriani costretti a lavorare nelle piantagioni

  • Il 70% del cacao viene dall'Africa Occidentale. (Getty)

Dulcis in fundo, il cioccolato. Un documentario della Bbc pubblicato nel 2000 e intitolato «Slavery: a global investigation» ha rivelato che centinaia di migliaia di bambini in Costa D’Avorio vengono costretti al lavoro forzato nelle piantagioni.
Nel Paese si produce quasi la totalità del cacao mondiale (il 70% viene dall’Africa Occidentale).
CIRCA 800 MILA QUELLI ANCORA IMPIEGATI. Nonostante i proclami e le buone intenzioni, secondo la Cnn sono ancora 800 mila i bambini costretti a lavorare nelle piantagioni di cacao.
Ultimamente sono stati fatti alcuni passi avanti, ma la strada da fare è ancora lunga e accidentata.

(Lettera 43)

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