di Claudio Frascella
TARANTO - Quattrocentocinquanta profughi salvi, grazie ad una telefonata partita da Taranto. E all’intervento tempestivo della Marina militare che svolge una rischiosa operazione di salvataggio in piena notte. L’allarme lanciato da Taranto, rimbalza negli uffici di Roma, da qui alle navi in perlustrazione lungo la costa siciliana. Queste sfidano il buio pesto, fra cielo e mare, e si lanciano al salvataggio di centinaia di vite umane.
Tutto ha inizio con una telefonata. «Papà, stiamo imbarcando acqua, il mare è in tempesta, rischiamo di affondare, temiamo il peggio!». La paura è quella di Samir, figlio di Mustafà Mohammad, profugo siriano ospitato in un centro di accoglienza a Taranto. Viaggia sulle frequenze di un cellulare che funziona a tratti. Con il giovane che ha lanciato l’ “Sos”, ci sono anche le sorelle Shadi e Fatima, praticamente il resto della famiglia di Mustafà, il profugo accolto in città. È stato lui a scuotere domenica sera, alle 23, Hussein, il mediatore culturale che opera in città. «Mio figlio mi sta chiamando da Tripoli, il mare è in burrasca, con lui ci sono anche le mie figlie, altri connazionali, quattrocentocinquanta in tutto!».
Prima del lieto fine, però, trascorrono lente, le ore che dividono l’uomo dai tre figli e da tanti altri profughi come lui. Tutto si risolverà nel migliore dei modi, grazie al lavoro e al successivo intervento della Marina militare, da Maridipart alla Capitaneria di porto, senza contare il sostegno degli uffici romani di “Mare Nostrum”, attivi “h 24”; della Prefettura, dei carabinieri, anche loro allertati da una paura che non conosce limiti. In quelle ore, infatti, non sai che fare, chi interessare perché possa aiutarti con tutte quelle vite in pericolo in alto mare.
A mezzogiorno di ieri, la parola fine. I tre fratelli, insieme con gli altri 450 profughi in cerca di speranza partiti da Tripoli, possono comunicare. Sono in salvo, a bordo di una delle navi della Marina militare. Insieme con addetti all’operazione “Mare Nostrum”, negli uffici romani, non hanno mollato un solo attimo la pista segnalata da Simona Fernandez, dell’associazione tarantina “Salam”, coordinatrice e tutore legale dei giovani profughi nominato dal Tribunale dei minori. Piange, finalmente di gioia.
«È un pianto liberatorio – si scusa, singhiozza – penso se avessi dovuto comunicare al povero Mustafà che purtroppo non c’era stato niente da fare e che la sua famiglia non c’era più; invece, sono orgogliosa di essere italiana, dei nostri militari, dalla Marina alla Capitaneria; i carabinieri, che ci hanno chiamato perfino per darci un sostegno morale, capite i militari italiani?».
I militari che si interfacciano con gli uffici di Roma, non pensano nemmeno un attimo a dire: «Sentiamoci più tardi, la luce del mattino e un tempo più clemente potrebbero agevolare il nostro lavoro…». Partono, invece, a testa bassa, il numero di cellulare di Samir sarebbe utile per risalire alle coordinate in mare. Quando sparisce il segnale del telefonino del ragazzo cala anche il gelo. Poi riappare, Samir è vivo. La voce rotta dal pianto di gioia. «Papà, ci ha individuati un elicottero partito sicuramente da una nave, ci hanno visti!». E più tardi, «Siamo su una nave della Marina italiana, siamo salvi, il cielo li benedica!».
Non finisce qui il filo della solidarietà. Un marinaio che ha seguito minuto per minuto l’intera operazione, ha finito il suo turno di lavoro. Per tutta la notte ha seguito la vicenda umana. Non resiste alla tentazione di avvisare Simona Fernandez, che l’incubo è finito. E lei può avvisare Mustafà, il papà di Samir, Shadi e Fatima, che i suoi figlioli sono stati tratti in salvo e viaggiano verso le coste della Sicilia. Insieme con altri 450 connazionali. Salvi, conferma Samir al cellulare. «Il cielo vi benedica!».

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