domenica 28 settembre 2014

La tratta degli esseri umani nel Sinai...





C’è un fenomeno oscuro, che oramai da anni interessa il nord Africa, e precisamente quel triangolo che va dall’Eritrea, al Sudan, al Sinai, arrivando talvolta anche in Libia, che tutti ignorano di conoscere e che solo da qualche mese, ha meritato l’attenzione della politica internazionale. Nel giugno 2014, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha deciso di aprire un’inchiesta su questa vicenda, che parte in Eritrea, uno dei 10 paesi più poveri al mondo, quello che non era stato mai fatto per la Siria e la Corea del Nord.
È la tratta degli esseri umani, che gruppi criminali organizzano, a partire perlopiù dall’Eritrea, approfittando della povertà e della disperazione della gente che vive questa regione, per poi portarla  e a volte lasciarla nel Sinai egiziano.  Decine di migliaia di Eritrei sono stati già prelevati e torturati nel Sinai. L’intento dei rapinatori è quello di restituire gli ostaggi ai loro familiari, solo dopo che questi avranno pagato un riscatto, ma le somme richieste sono salatissime e arrivano anche ai 40 000 dollari (31 100 euro). I gruppi criminali sono diffusi in tutta Europa e lavorano attraverso intermediari, spesso per capire se le famiglie eritree hanno parenti in paesi più ricchi e, quindi, per aumentare la posta in gioco. Il fenomeno della tratta degli esseri umani nella penisola del Sinai è stato già denunciato molte volte: prima, da Ong, poi dalle Nazioni Unite e recentemente dal Parlamento europeo, in una risoluzione adottata nel marzo 2014.capture_decran_2014-09-22_a_19.18.15
Méron Estefanos è una giornalista e un’attivista. Diventata un punto di riferimento, soprattutto per i ragazzi coinvolti nella tratta, è grazie a lei che sono venute a galla molte testimonianze di giovani ragazzi rapiti. Testimonianze che la Estefanos ha deciso di portare al Parlamento europeo, perché questo intervenga per fare qualcosa di concreto.
Sono storie terrificanti, quelle raccolte da Méron, come quella di Rahwa, 21 anni, ha gli occhi incorniciati da pensanti occhiaie, come di chi non chiude gli occhi da mesi:
“Sentivo le urla  dell’altro, aldilà del muro, ma non sapevo con precisione quanti soldati vi si trovavano. Sapevo solo che nel nostro gruppo eravamo in 10. Ci tenevano legati al muro con una catena al piede. C’era anche un bambino, che piangeva senza sosta”. Rahwa ha lasciato l’Eritrea nell’agosto del 2012, per il Sudan, verso il campo dei rifugiati di Shagarab, a qualche km dalla frontiera. Ma è stata catturata, con un gruppo di altri migranti, e portata nel Sinai egiziano, dove, sin dal 2009, si è diffuso un enorme traffico di armi, di droga e di esseri umani. Ripiegata in un angolo, la testa ricoperta di un velo bianco, immobile, Rahwa fissa la brocca di caffè. Poi riempie le tazze. I suoi amici la incoraggiano a resistere:“è difficile raccontare quello che ho vissuto. Mi hanno picchiata e violentata. Torturata con scosse elettriche e di plastica bollente che si attaccavano sulla mia pelle. Le vedi le cicatrici?”. Mentre Rahwa urlava, i rapinatori hanno chiamato la famiglia in Eritrea e in Europa, per chiedere il riscatto: 25000 dollari in contanti. Rahwa è rimasta 6 mesi nel deserto del Sinai. Il suo amico Gebre, un anno e mezzo. La sua famiglia non è riuscita a raccogliere i 40 000 dollari richiesti: “Pensavano che fossi morto e quindi inutilizzabile. Allora mi hanno gettato sulla strada, come un rifiuto, sopra i cadaveri di altri migranti”.
(Il Journal)

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