lunedì 15 settembre 2014

Iran: la sfida delle donne “nel pallone”...





Lo scorso giugno è stato un mese importante per la Lega Sportiva Iraniana. Il calcio e la pallavolo, due sport amatissimi in Iran, hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica un tema che da molti anni non si riproponeva, il divieto delle donne di assistere a eventi sportivi. Il veto riguarda un’antica legge, introdotta dopo la Rivoluzione Islamica, nel 1979, che impediva alle donne di assistere ai match calcistici, visto lo scarso decoro dei luoghi in cui si seguono solitamente le partite, popolati da uomini seminudi, avvezzi, per le circostanze, ad ogni genere di volgarità, ma dal 2012 la legge è stata estesa anche alle partite di pallavolo. Il capo della polizia nazionale ha dichiarato: “E’ contro l’interesse pubblico permettere agli uomini e alle donne iraniane assistere a eventi come questi insieme”.

Le proteste delle donne in Iran.

Il 15 giugno, allo stadio Azadi di Teheran, la nazionale di pallavolo maschile brasiliana ha battuto quella iraniana 3-2. Ma ciò che ha fatto più notizia è stato il raduno delle sostenitrici iraniane fuori dallo stadio, impossibilitate ad entrare, contrariamente alle avversarie brasiliane, che invece hanno potuto assistere all’ incontro, non essendo di nazionalità iraniana.
Anche Fatemeh Jamalpour, giornalista del riformista Shargh Daily, mentre era in attesa di entrare, è stata trattenuta dalle autorità. Il caso della Jamalpour ha attirato molto l’attenzione dei media locali, visto che si trattava della prima volta che anche una giornalista venisse lasciata fuori dalle mura di uno stadio, episodio talmente grave, da suscitare le accese reazioni della vice presidente Shahindokht Molaverdi, che si è subito schierata a favore delle donne. Nonostante l’ intransigenza delle forze di polizia, secondo il giornale The Observer, alcune donne iraniane sono riuscite ad accedere all’Azadi, indossando una maglia della squadra brasiliana.

Il “sangue delle donne”.

Tra le oltre 50 manifestanti, erano presenti infatti attiviste ben note alle autorità, come Jila Baniyaghoob e Atefeh Nabavi. In un editoriale intitolato “Il sangue delle donne brasiliano è forse più colorato di quello delle donne iraniane?”, alcuni studenti hanno condannato il divieto imposto alle donne. “Fino ad ora nessuna ragione plausibile è stata addotta a questo provvedimento (…) Uno dei pretesti spesso usati è che, canti, slogan e battute da parte degli uomini sugli stadi possono essere inadeguati per una donna (…) Ciò che rende più amara questa legge è vedere che le sostenitrici delle squadre avversarie possono entrare: apparentemente un passaporto brasiliano ha più credibilità dell’identità iraniana nella nostra terra. Le amministrazioni non hanno compiuto alcuno sforzo per riabilitare questa discussione e ottenere dei risultati”.
Il 20 giugno, al match di pallavolo Iran-Italia, era presente anche Ghoncheh Ghavami, 25 anni, studentessa di Legge a Londra e di madre inglese. Ghoncheh si trova oggi nel carcere di Evin, vicino Teheran. È stata arrestata poiché durante la partita, aveva protestato contro il divieto, srotolando uno striscione in difesa delle donne. Era stata rilasciata dopo poche ore, ma dopo 10 giorni è stata portata in carcere da agenti in borghese, che l’hanno prelevata da casa, sottraendole anche il computer. La famiglia, che non aveva diffuso la notizia inizialmente, ha in questi giorni iniziato una campagna in suo favore, sostenendo che Ghoncheh è stata tenuta in isolamento 41 giorni, senza che le venisse data la possibilità di sentire i suoi avvocati (per la petizione, https://www.facebook.com/FreeGhonchehGhavami).

L’opposizione che cresce.

Negli ultimi 35 anni il fronte di opposizione delle donne iraniane è diventato molto forte. Alla fine degli anni Novanta, la famosa campagna del White foulard ha visto  molte donne riunirsi fuori agli stadi e portare cartelloni dallo slogan ‘I diritti delle donne equivalgono alla metà della libertà’. Nel 1997, dopo che l’Iran ha sconfitto l’Australia nella qualificazione di Coppa del Mondo, 5.000 donne sono scese in piazza con 120.000 uomini e hanno abbattuto le barriere della polizia e assalito lo stadio: la cosiddetta Football Revolution. L’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, nel 2006, aveva chiesto di sollevare definitivamente il divieto, ma è stato contrastato da esponenti religiosi. A nulla è valso l’impegno di molti giornalisti schierati contro la legge, come Shahla Sherekat, l’editor di una rivista femminile mensile Zanane Emrooz (Donne di oggi), passata alle cronache per essere stata citata dalla Corte dell’Iran per il contenuto del suo giornale, troppo scandaloso per l’ideale di donna iraniana.
Ma forse qualche speranza c’è: il presidente in carica, Rohuani, ha ordinato un’inchiesta ufficiale per chiedere che le donne assistano alle partite di calcio maschile. Resta da vedere se il provvedimento resterà in piedi così com’è fino alla prossima Coppa del Mondo del 2018. Per il momento, la causa delle donne iraniane è solo uno dei pezzi di un puzzle enorme e complesso: un paese diviso tra lex e fides. 
(Il Journal)

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