martedì 2 settembre 2014

Dalla Libia alla Siria, chi era Sotloff, il secondo giornalista ucciso da Isis...



Il reporter americano, 31 anni, corrispondente per il Time era stato rapito in Siria nell'agosto del 2013. Nel suo ultimo tweet annunciava la morte di Abu Sakkar



di Marta Serafini


Uno «stand-up philosopher» ( così amava definirsi, come si legge sulla biografia del suo profilo Twitter, citando il film di Mel Brook's History Of the World). Amava il mondo arabo ed era cresciuto in una famiglia di origine ebraica sopravvissuta alla Shoah. Steven Joel Sotloff, 31 anni, era stato rapito ad Aleppo nel 2013 ed è il secondo giornalista americano ucciso da Isis.Cresciuto a Miami, in Florida, dopo essersi laureato Sotloff aveva iniziato a lavorare come freelance per il Time, The National Interest, Foreign Policy e Christian Science Monitor. Era apparso anche come commentatore sulle emittenti tv Cnn e Fox. Il suo ultimo articolo era uscito sul Time il 26 novembre del 2012 e riguardava la crisi in Libia.

Il suo ultimo tweet
Era stato in Siria molte volte per lavoro, così come nel resto del Medio Oriente, dall’Egitto alla Turchia alla Libia, dove aveva stabilito la sua base operativa. Sotloff era stato rapito il 4 agosto del 2013 vicino ad Aleppo, ad Ar-Raqqah, dopo aver attraversato il confine con la Turchia. Molti avevano parlato di un destino segnato. Sotloff infatti era comparso nel video che mostrava la decapitazione di James Foley, l’altro reporter americano ucciso nei giorni scorsi. «Lo uccideremo se Obama non smetterà di bombardare», minacciava l'uomo incappucciato. Innamorato di Miami, appassionato di sport e di giornalismo, «era affascinato dal mondo islamico, parlava bene l'arabo. Per questo ora lo minacciano di decapitazione», aveva scritto su Twitter Anne Marlowe, una collega, dopo la diffusione del video di Foley. Pochi giorni prima di essere rapito Sotloff aveva mandato un tweet nel quale annunciava la morte di Abu Sakkar , comandante dei ribelli noto per mangiare i cuori dei suoi nemici. La guida siriana, rapita con lui, era stata liberata due settimane più tardi. «Conosceva i rischi ma non aveva paura», hanno poi detto da Miami i genitori che una decina di giorni fa hanno inviato una petizione al sito della Casa Bianca chiedendo al presidente Obama di «fare tutto il possibile» per poterlo liberare. In un video la madre del reporter si era rivolta direttamente ad Al Baghdadi e aveva detto: «Steven è un giornalista innocente, ha viaggiato molto nel Medio Oriente per parlare delle sofferenze dei musulmani sotto lo schiaffo dei tiranni, è un uomo generoso che ha sempre cercato di aiutare i più deboli». Gli jihadisti di Isis avevano minacciato di ucciderlo se Obama non avesse dato l’ordine di interrompere i bombardamenti in Iraq. Una terribile e folle minaccia, portata a compimento.

(Corriere della Sera Esteri)

Nessun commento:

Posta un commento