domenica 14 settembre 2014
Afghanistan: quelle bambine che odiano le bambole...
In Afghanistan e in alcuni territori del Pakistan, è da anni in corso una vera lotta delle donne, che inizia dal periodo dell’infanzia e che punta a farle sentire libere. Le pratiche? Sicuramente discutibili
Si chiamano bacha posh e sono le future donne, madri e mogli afghane. Da bambine, il loro genere vive un periodo di latenza, per poi riaffiorare in età puberale, quando sono pronte a cercare marito e a mettere su famiglia. Sono le bambine “vestite da maschietti” e in Afghanistan o in Pakistan, al centro e in periferia, è facile trovarle nelle scuole e nei piccoli market. La scelta di queste bambine non parte da loro. Sono infatti i genitori, spesso di un ceto sociale medio-basso, talvolta anche alto, a stabilire un percorso, che, anche se attraverso pratiche inusuali, salverà la loro dignità, il reddito, la pelle.
Jenny Nordberg, una corrispondente svedese trapiantata a New York, ha dedicato grande attenzione al fenomeno, pubblicando anche un libro “The underground girls of Kabul”. La Nordberg ha intervistato le maestre e le madri delle bambine afghane e ha parlato con alcuni operatori sanitari, per indagare l’origine di questa tendenza e il modo in cui le bambine bacha posh affrontano la quotidianità.
L’usanza è antica e risale al periodo in cui il popolo afghano ha dovuto difendersi dagli attacchi degli invasori esterni. Molte donne ricorrevano ad un’armatura da guerriero, cambiavano il proprio aspetto in quello di un uomo, per poter andare in guerra e difendere la patria. La tradizione ha continuato ad esistere, assumendo connotati sociali molto ambigui. Le bacha posh di oggi, infatti, decidono di diventare dei maschietti, per aiutare spesso l’onore di una famiglia di sole figlie femmine che, quindi, a poco servirebbero per portare a casa un po’ di soldi. In Afghanistan non è consentito far lavorare le donne ed è per questo, che soprattutto nei negozietti del centro di Kabul o in periferia, se ne vedono tante, con quelle camicie e quei pantaloni da uomo, a fare anche lavori faticosi, pur di aiutare ad alzare il reddito familiare. In altri casi, le famiglie stabiliscono questo destino per le loro figlie, poiché essere donna in Afghanistan può essere molto pericoloso e mettere a rischio la stessa vita. Abiti da uomo, capelli corti e frequentazioni maschili, quindi, tutelano in qualche modo la sicurezza delle ragazze.
Tra le storie narrate dalla Nordberg, c’è quella di Mehran, sei anni, figlia di una parlamentare afghana, di Kabul. Mehran vive le sue giornate come fosse un maschietto. Ha preso familiarità con biciclette e palle da baseball, pantaloni e camicie, e a scuola, le maestre che conoscono la sua situazione, fanno di tutto per preservare il suo segreto dagli altri bambini. “ Non è un fenomeno normale, ma non è un grande problema. La scuola non può pensare a queste situazioni: esistono cose ben peggiori(…) La madre di Mehran è una donna stimabile e noi donne afghane facciamo tutto il possibile, come donne e come afghane, perché sappiamo il destino che avranno le nostre figlie”. Non si tratta di arrendevolezza, ma di andare incontro ad un destino già scritto, ineluttabile, che se non sfidato con questi mezzi, seppur “originali”, renderà le bambine afghane schiave per sempre.
Shnubnum, dieci anni, vive in una delle zone più povere di Kabul con la sua famiglia Pashtun di otto sorelle e sua madre. Il padre è disoccupato e ha una grande dipendenza dalla droghe. Per questo, Shnubnum, la sorella maggiore, ha il dovere di indossare gli abiti maschili e così andare a scuola, ma soprattutto aiutare il commerciante del bazar vicino casa. Non sarà così per sempre. Arrivata in età puberale, Shnubum troverà un marito con cui costruire una famiglia e allora sarà un’altra sorella, la seconda per età, a prendere il suo posto, a vestire abiti da uomo e ad andare a lavorare. A differenza di Mehran, Shnubnum aspetta questo momento con ansia: vive con immenso dolore il taglio di capelli e adora ballare e comportarsi da donna quando è in casa.
Il presidente della Commissione per i Diritti Umani di Balkh (provincia afghana del nord) ha denunciato più volte questa usanza, definendola una vera “violazione dei diritti umani” . “Non si può cambiare il genere di un essere umano per un periodo e poi restituirglielo: è una violazione della persona e le conseguenze psicologiche possono essere atroci”.
Se si pensa che a spingere molte ragazze ad accettare questa strada, sia l’idea di libertà, molti occidentali storcono il naso. Tuttavia, se si considerasse davvero un istante che, per una donna afghana, le possibilità di arrivare ad una emancipazione e l’idea stessa di emancipazione sono di gran lunga diverse da quelle di un’ europea, ad esempio, il naso forse tornerebbe al suo posto. Per le donne afghane, infatti, la libertà sta nell’evitare un matrimonio sbagliato. Far vivere la famiglia nel disonore esporrebbe loro a questo rischio. Per le donne afghane, diventare bacha posh è talvolta l’unica via di fuga da un destino di schiavitù e sottomissione.
(Il Journal)
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