martedì 5 agosto 2014

Preoccupatevi del morbillo (e di chi è contro i vaccini), invece che dell'ebola...





Di Giovanni De Mizio
La peggiore epidemia di ebola finora registrata ha inevitabilmente aumentato la soglia di attenzione anche nei Paesi occidentali, dove si teme che il virus possa essere trasportato dai migranti e fare strage in luoghi ancor più densamente popolati che in Africa.

Si tratta però di una paura irrazionale, alimentata da media che non spiegano che, per quanto molto pericolosa, la "più mortale epidemia di ebola" è comunque poca cosa rispetto ad altre tragedie sanitarie africane, che mietono ben più vittime. Infatti è quasi impossibile contrarre l'ebola al di fuori dei focolai africani, e l'Italia, inoltre, è ben "schermata" dal contagio visto che non esistono voli diretti dai Paesi contagiati e che anche gli immigrati irregolari difficilmente riuscirebbero a diffondere la malattia, visto che l'ebola si manifesterebbe ben prima di mettere piede sul continente.
Per contrarre l'ebola è necessario venire in contatto con fluidi corporei di persone infette e che presentano sintomi della malattia. Detto altrimenti, l'ebola non si contrae per via aerea, come l'influenza: si può tranquillamente seduti di fianco a un malato di ebola in treno, fintanto che costui non cominci a vomitare addosso ai suoi vicini (ovvero a mostrare sintomi della malattia).
La trasmissione per via aerea è stata riscontrata solo in laboratorio, da maiali a scimmie, ma è molto più probabile sia una caratteristica dei maiali a facilitare il contagio per via aerea non solo dell'ebola, ma anche di altri virus, come l'influenza suina. Si tratta di caratteristiche che né gli uomini né altri primati hanno (non sono stati registrati casi di contagio per via aerea nei primati), per cui è sufficiente stare alla larga da suini malati di ebola per evitare il contagio per via aerea.
Finché l'ebola non sarà in grado di trasmettersi per via aerea come l'influenza non ci sarà da preoccuparsi al di fuori dei focolai africani. Lo ripetiamo: per contrarre l'ebola è necessario che l'individuo sano venga in contatto con sangue, urine, vomito, feci, liquido seminale o altri fluidi corporei dell'individuo infetto. Ma non basta.
È inoltre necessario che la persona infetta manifesti i sintomi della malattia: appare alquanto improbabile non accorgersi che la persona seduta accanto a noi in treno vomita, ha la diarrea, emorragie o che mostri in generale che qualcosa non va. Molto più probabile che, una volta manifestati questi sintomi, la persona infetta venga ricoverata in ospedale, dove, anche se l'ebola non è ancora curabile, è possibile trattare i sintomi e contenere il contagio.
È proprio questo tratto (la maggiore "ospedalizzazione") a distinguere ciò che sta accadendo in Africa da quanto potrebbe accadere in Europa: la difficoltà di contenere l'ebola rispetto alle altre epidemie della stessa malattia è collegata al fatto che i malati e le loro famiglie non si fidano degli ospedali, del personale medico e delle autorità in generale.
Vista la grande mortalità dell'ebola (circa il 60 per cento dei casi si risolve in un decesso) accade molto spesso che i familiari dei malati vedano il proprio caro andare in ospedale e tornare a casa in una cassa da morto o in un'urna cineraria. Per questa ragione si convincono che sia l'ospedale (e non l'ebola) ad uccidere e che bisogna curare il malato con la medicina "tradizionale" locale, ovvero in casa. In questo modo i familiari del malato finiscono in contatto con i fluidi infetti, contraendo a loro volta la malattia. Questo inoltre può avvenire anche dopo la morte dell'individuo, per via di pratiche di sepoltura che possono contribuire a diffondere il virus.
È questa arretratezza che sta creando le emergenze sanitarie (di ebola, e non solo) in Africa, cui si aggiunge la scarsità di risorse di medici e infermieri nell'affrontare questa nuova epidemia di ebola. Questi fattori, però, non sono tipici di Paesi occidentali: un malato di ebola verrebbe immediatamente trasportato in ospedale (mediamente più attrezzato di quelli africani) e tenuto in quarantena, perché è questo che prevede la medicina "tradizionale" occidentale. Peraltro una cura e/o un vaccino sembrano essere relativamente molto vicini: ad esempio, il siero di Mapp Biopharmaceuticals potrebbe aver salvato la vita di due operatori sanitari statunitensi.
La cosa più buffa e tragica al tempo stesso, però, è che mentre ci si preoccupa irrazionalmente di una malattia che difficilmente farebbe strage di italiani, si sta invece abbassando la guardia verso malattie non meno dannose.
Un esempio è il morbillo: anch'esso è dovuto a un virus che, a differenza dell'ebola, si trasmette per via aerea ed è estremamente contagioso. Si tratta di una malattia molto seria, che può portare anche alla morte: fino al 1980, afferma l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il morbillo uccideva 2,6 milioni di bambini ogni anno. Trentadue anni dopo, grazie alla diffusione dei vaccini, si è scesi ad "appena" 122 mila decessi (fra adulti e bambini).
L'ebola, invece, ha ucciso circa 2500 persone (1590 decessi registrati fino al 2012 più un migliaio quest'anno dal 1976, anno della prima epidemia): insomma, in media l'ebola uccide in un anno quanto il morbillo in cinque ore. Con ciò non si vuole ridimensionare l'aggressività e la potenzialità mortale dell'ebola (specie se cominciasse a trasmettersi per via aerea), ma che è il caso di preoccuparsi anche e forse soprattutto di minacce molto meno potenziali ovvero molto più attuali, specie nel Continente Nero (ad esempio AIDS, malaria, febbre di Lassa).
Purtroppo, però, la diffusione di credenze senza fondamento e dannose quanto quelle delle popolazioni africane rischiano di riportare indietro nel tempo la lotta al morbillo e ad altre malattie, anche nei Paesi occidentali.
A causa di credenze sciocche, come quella che vuole i vaccini come causa dell'autismo (per non parlare di quelle che li ritengono tecniche di controllo della popolazione), una malattia che potrebbe essere debellata quanto il vaiolo è ritornata a creare epidemie e mietere vittime nei Paesi avanzati: negli ultimi anni i genitori vaccinano sempre meno i bambini (mettendo a rischio anche quelli degli altri) e di conseguenza ogni tanto spuntano epidemie di morbillo anche in Paesi avanzati, dal Regno Unito alla Polonia e anche in Italia, causando danni permanenti, quando non decessi, nei bambini e negli adulti. Anche se i numeri, per ora, sono ovviamente meno impressionanti che tre decenni fa, la tendenza è pericolosa: negli Stati Uniti nei primi sette mesi dell'anno i casi di morbillo sono stati 593, ovvero il triplo che in tutto il 2013.
Per tutte queste ragioni, quando si tratta di difendere sé stessi e i propri cari da malattie pericolose, nei Paesi occidentali forse è il caso di preoccuparsi più del morbillo (e di chi non vaccina i propri figli) che dell'ebola.


(International Business Times)

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