Di Stefano Consiglio
Le notizie provenienti dalla Libia non fanno che peggiorare. Ieri, 23 agosto, i miliziani islamici di Misurata hanno conquistato l'aeroporto di Tripoli, da giorni teatro di una violenta battaglia tra la milizia Zintan, fedele al generale anti-islamista Khalifa Haftar, e i guerriglieri di Misurata, che agiscono di concerto ad altri gruppi islamici riuniti nella così detta "Operazione Alba". Oggi, 24 agosto, gli attacchi delle milizie islamiche si sono concentrati sull'emittente televisiva Al-Asima, tv della capitale ideologicamente vicina ai nazionalisti Zintan. Nel frattempo il parlamento libico, che è stato costretto a ritirarsi a Tobruk per sfuggire agli attacchi degli islamisti, ha condannato i guerriglieri di Misurata definendoli "terroristi".
Domani, 25 agosto, la città del Cairo ospiterà un summit dei paesi nordafricani, riunitisi appositamente per discutere della crisi libica. Il grado di "intromissione" dell'Egitto in Libia non è chiaro. Il 23 agosto, infatti, alcuni aerei avevano bombardato le postazioni dei miliziani islamici di Misurata. Secondo questi ultimi i responsabili degli attacchi sarebbero l'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Il governo del Cairo ha smentito categoricamente il suo coinvolgimento nei raid aerei, un fatto che troverebbe conferma nelle parole del generale Haftar, che ha immediatamente rivendicato la paternità degli attacchi.
In questo contesto, in cui il Governo libico assume sempre più la veste di spettatore lasciando ad Haftar il compito di sconfiggere le milizie islamiche, una domanda sorge spontanea: come sta reagendo la popolazione locale al caos dilagante nel paese?
Secondo gli ultimi dati forniti da UNHCR migliaia di persone stanno abbandonando la Libia per sfuggire alla guerra civile combattuta tra gli islamisti e la milizia Zintan. Questo dato, sebbene importante, risponde solo parzialmente all'interrogativo da noi introdotto. Per comprendere come sta reagendo la popolazione locale all'attuale conflitto, occorre distinguere tra la popolazione autoctona e coloro che usano la Libia come Stato di transito verso altre nazioni.
Per quanto riguarda i migranti in transito, da sempre la Libia è stata utilizzata come porto di partenza verso l'Europa. Questo esodo ha causato, negli anni, un enorme numero di vittime a causa dei barconi fatiscenti, lanciati di notte attraverso il Mar Mediterraneo. Proprio in queste ore la drammaticità di questa situazione sta venendo a galla insieme ai corpi dei migranti annegati a pochi chilometri dalle coste libiche. Secondo i dati forniti dalle autorità locali, circa 200 persone si erano imbarcate a Guarakouzi, 60 km a est di Tripoli. 16 persone sono state salvate dalla guardia costiera, che ha, tuttavia, dovuto raccogliere i corpi di 20 individui annegati dopo il rovesciamento del barcone. Altre 170 persone, infine, risultano disperse. Oltre all'Italia anche l'Egitto e la Tunisia sono state prese d'assalto dai migranti presenti in Libia. Secondo i dati forniti dal ministro degli Esteri tunisino, nell'ultima settimana di luglio circa 6 mila persone hanno abbandonato ogni giorno la Libia per recarsi nella vicina Tunisia. Per questo motivo il Governo tunisino ha deciso di chiudere le proprie frontiere, una scelta imitata immediatamente dall'Egitto. I migranti in transito in Libia, dunque, hanno al momento tre alternative: tentare la sorte su uno dei tanti barconi che attraversano il Mediterraneo; restare in Libia, con le ovvie conseguenze connesse: oppure tornare nella propria patria, che spesso presenta una situazione anche peggiore.
La situazione dei libici è ben differente rispetto a quella dei migranti in transito. La popolazione libica, con un PIL pro-capite di circa 13 mila dollari l'anno, è molto più ricca rispetto a quella tunisina (4 mila $ circa) o egiziana (circa 3 mila $). Molti libici, da quando è scoppiata la guerra civile, hanno lasciato il paese utilizzando non barconi o altri mezzi improvvisati ma "comunissimi" aerei di linea. Questi emigranti, molti dei quali dotati di un reddito decisamente più elevato rispetto a quello medio degli altri libici, si spostano verso l'europa utilizzando visti turistici, visti lavorativi o visti per studio, per poi ottenere titoli idonei ad una permanenza più duratura.
Quanto detto non vuole assolutamente condannare la scelta della popolazione libica di abbandonare il proprio paese. Al contrario tale decisione è assolutamente comprensibile. Ciò che si vuol sottolineare è la situazione dei migranti in transito in Libia, vere vittime di questo conflitto, il più violento dalla caduta del Colonnello Gheddafi.
(International Business Times)

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