di Viviana Mazza
Per quasi due anni, Diane ha vissuto con un’unica missione: riportare a casa il figlio, il giornalista Jim Foley. Una missione che ha condiviso con le madri degli altri americani rapiti in Siria, sviluppando con loro un rapporto profondo.
Abbiamo cercato di trovare sostegno l’una nell’altra – racconta al telefono dalla sua casa di Rochester, in New Hampshire – Era difficile sentirci capite da chiunque non si trovasse nella stessa situazione. Poter parlare con loro è stata una benedizione, è stato il secondo aiuto più grande dopo l’appoggio della mia comunità cattolica.
Destini diversi sono toccati ai loro figli. Il 19 agosto Diane (qui sopra con il marito) ha visto uccidere Jim dai terroristi dell’Isis davanti agli schermi di tutto il mondo. Nancy Curtis invece ha riabbracciato il figlio Theo, anche lui giornalista, rilasciato domenica da un altro gruppo, Jabhat al Nusra. Una terza madre, Shirley Sotloff, ha parlato ieri per la prima volta, in video: pallida, sullo sfondo delle tendine beige della casa di Miami, supplica il Califfo dell’Isis di graziare il suo Steven, designato come il prossimo reporter a morire, per punire l’America per i raid in Iraq. Ci sono poi le madri senza nome di altri tre ostaggi americani (tra cui una volontaria di 26 anni): non parlano per paura di metterli a rischio.

Nancy Curtis con il figlio Theo, giornalista freelance preso in ostaggio in Siria e rilasciato domenica
Diane era la più forte, la veterana: “Ero quella con più esperienza. Avevo sopportato per più tempo la scomparsa di mio figlio”. Ha incontrato le altre madri a maggio a Washington, tranne Nancy – conosciuta già l’anno scorso grazie alla Croce rossa americana. Appena Nancy ha saputo che Theo era libero, ha mandato un’email a Diane (“Non volevo che lo sapesse dalla tv”) e anche nell’abbracciarlo, ha parlato di “sollievo ma non di festa” pensando proprio ai Foley.
A differenza delle altre madri, Diane ha scelto di rendere subito pubblico il rapimento di Jim. “L’intelligence consiglia ai genitori di non parlare – spiega -, ma è una scelta personale. A volte la segretezza può essere la scelta giusta. Ma noi sapevamo che Jim aveva tantissimi amici che potevano aiutarci a trovarlo”. Ha lanciato un profilo Facebook, è apparsa in tv, ha comunicato via email con i terroristi, ha tentato di raccogliere un riscatto, ha viaggiato in Francia e in Spagna per incontrare gli ex compagni di cella liberati. “Jim era l’unico cui non avevano permesso di scrivere una lettera alla famiglia perché era americano”. Ma lui trovò lo stesso un modo: lo scorso giugno un reporter danese, Daniel Ottosen, appena rilasciato, chiamò Diane per recitarle a memoria un lungo messaggio, che aveva memorizzato, da parte di Jim (“Ricordo una lunga corsa in bicicletta con la mamma…” diceva proprio all’inizio). Anche le altre madri hanno fatto di tutto: Nancy, una signora minuta coi capelli bianchi, è andata in Turchia a discutere con un intermediario di Al Qaeda; Shirley Sotloff si è messa a studiare il Corano: “Ho imparato molte cose sull’Islam – dice al Califfo nel video – ho imparato che nessun individuo dovrebbe essere punito per i peccati altrui. Steven non ha alcun controllo sulle azioni del governo americano. Come califfo puoi graziarlo. Ti chiedo di seguire l’esempio del profeta Maometto che diede protezione alla “Gente del Libro””.
Adesso per Diane si apre un’altra missione: mantenere viva la memoria del suo primogenito. Dice che essere forte è difficile, ma non può deludere Jim, dovunque sia. Ha creato un fondo intitolato a lui, lancia appelli per la liberazione degli altri ostaggi. Non chiede al governo di pagare i riscatti, ma insiste che qualcosa deve cambiare: “Dev’esserci un modo per riportare a casa questi giornalisti coraggiosi”. Non c’è rabbia nella sua voce, ma non nasconde la frustrazione.
Non lo so, certamente sono delusa che il destino di Jim sia stato questo. Aveva sperato fino alla fine, ed era orgoglioso di essere americano, rappresentava il meglio dell’America: la compassione, la libertà di espressione”.Il governo avrebbe potuto fare di più? “Il governo è fatto di persone e le persone sbagliano”.
( La Ventesettesima Ora)

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