giovedì 12 giugno 2014

Gli scontri e poi scoppia la festa Comincia il sogno del Brasile...





Caos a San Paolo prima della cerimonia inaugurale, allo stadio torna il sorriso
AFP
Un momento della cerimonia di apertura allo stadio Itaquerao di San Paolo

SAN PAOLO
I l Treno dei Desideri parte dalla Estação da Luz, la Stazione della Luce, progettata dall’architetto inglese Henry Driver quando il caffè bastava da solo a far funzionare l’economia del Brasile. Intorno ai binari dove i discendenti degli schiavi africani scaricavano i sacchi con i chicchi da tostare, si accalcavano ieri i tifosi in maglia verde oro.  
Erano diretti allo Stadio del Corinthians, in una giornata fresca e cielo azzurro.  

Il sogno Mondiale 2014 è cominciato in Brasile e per le famiglie che aspettano sulla piattaforma 1 il diretto per lo stadio, maglietta con il nome padre, madre e bambini, è vacanza, gioco. I venditori ambulanti tentano con le loro stridule trombette, con i cappelli a cilindro colorati come bandiere mentre da ogni finestra del centro, da Avenida Paulista a Avenida 9 Luglio, la bandiera con il globo che inneggia all’Ordine e al Progresso decora balconi e finestre.  

Il treno, stracarico, lascia la stazione verso lo stadio, nuovissimo nel progetto e con vernice e intonaco freschi ma criticato da tanti per infiltrazioni d’acqua, wi fi che non va, corrente elettrica che latita dalle prese. Se San Paolo fosse uno schema del calcio sarebbe di certo il tiki taka, le case si addensano fittissime, una sull’altra, non appena si lasciano i centri residenziali e mentre il Treno dei Desideri va al match Brasile-Croazia, lo spettacolo è unico. Due massaie stendono bandierine da una parte all’altra della strada, i bambini alzano la maglia Seleçao felici, vernice gialla e verde decora le saracinesche dei bar Cerveja Bohemia, birra gelata. Sfilano davanti al finestrino l’Ospedale, l’Università Civica, un Sex Shop e da queste istituzioni, così diverse nella filosofia, tifano e salutano il Treno i tifosi che resteranno davanti allo schermo. 

Il traffico è leggero, è vacanza a San Paolo, e le auto sfrecciano nella smodata passione brasiliana per la velocità, non è forse seppellito qua, nella terra rossa del cimitero sulla collina del Morumbi, Ayrton Senna, pilota supremo? Le auto si superano a un passo, come un dribbling Messi-Neymar, ma i risultati sono cruenti, 35.000 brasiliani muoiono ogni anno in incidenti stradali, uno ogni quarto d’ora. Il treno viaggia in clima partita, rullano i tamburi della torcida e si fa intorno il largo, i cori si levano e i tifosi croati, tradizionale maglia a scacchi bianco-rossi e rauchi canti balcanici, partecipano alla festa come cugini poveri, sognando lo sgarbo al debutto. 

All’incrocio tra Santos e Casa Branca un campetto di calcio non vede giocare i soliti monelli, decisi a diventare il prossimo Ronaldo: è occupato dalle divise nero grigie della Polizia Militare in assetto da guerriglia, scudi inclusi. Le camionette delle Policia Civil li affiancano, un ufficiale col megafono spiega gli schemi. Niente fuorigioco o 4 4 2, come in campo toccherà alle 17 locali. Si tratta di fermare i dimostranti che, nelle zone orientali della metropoli di San Paolo, 20 milioni di abitanti dalle torri eleganti in centro alle favelas di periferie, contestano il primo giorno di Coppa.  

Le rivendicazioni sono ormai note, no ai 10 miliardi di euro spesi per il Mondiale, richiesta di aumenti per varie categorie di lavoratori, progetti di spesa sociale mai partiti, come i Parchi del Mondiale, giardini pubblici per cui sono stati stanziati 275 milioni di euro, e spesi in effetti – tra corruzione e sprechi – meno di uno. Oggi da San Paolo doveva partire il treno Alta Velocità verso Rio de Janeiro, per migliorare la mezza giornata tra le buche che richiede il viaggio in autostrada: come rivela la rivista Foreign Policy, il progetto non è mai partito. 

Così poche migliaia di dimostranti vanno in strada, pacificamente e la Polizia Militare blocca con gli scudi grigi l’accesso allo stadio. Tra bandiere rosse, palloncini e slogan il corteo va avanti, poi si stacca un gruppetto di poche dozzine di duri, che lanciano sassi contro la polizia, caschi in testa, volto coperto, rovesciando cassonetti di spazzatura in strada, incendiandola, svellendo i segnali stradali e usandoli come arieti. La risposta della Polizia Militare è durissima contro i violenti, gas lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo, proiettili di gomma a far largo tra i dimostranti, carichi con i manganelli, arresti. Parecchi i feriti, compresi cronisti e una producer della rete tv americana Cnn. 

Il messaggio della presidente Dilma Rousseff, ex clandestina di sinistra, poi torturata dai militari, è chiaro, la Coppa deve andare bene anche fuori dal campo, il Brasile deve dimostrare di esser potenza sociale ed economica non solo palleggiatore con Neymar. Chi pensa di approfittare dei media globali per disordini, o per avere aumenti come hanno provato a fare autoferrotranvieri, medici, impiegati, si vedrà dire di no. 

Sul Treno dei Desideri verso lo Stadio queste paure, la smania del Brasile che teme di fallire la prova generale da Numero 1, sono sublimate in diverso elisir: si va a vincere e dimostrando di essere i primi in campo, organizzatori di un Mondiale senza intoppi, ci si farà la fama positiva; poi si penserà a redistribuire la ricchezza prodotta finora che poco e male arriva a poveri e ceto medio. 

Del resto, dai finestrini del Treno dei Desideri, i due Brasile appaiono con più chiarezza che dal contestato best seller del professore francese Piketty sulla disuguaglianza nel XXI secolo. «Favela» era un’erba velenosa, urticante, che gli schiavi fuggiaschi del predicatore Antonio Conselheito, lasciavano crescere intorno agli accampamenti, sperando tenesse lontano i banditi predoni detti Bandeirantes e i soldati del governo. Non funzionò, la città ribelle di Canudos non fu protetta dall’erba favela, i soldati la misero a ferro e fuoco sterminando donne e bambine, ma il nome passò alle enormi periferie della povertà. 

Tra i ricchi e i poveri la passione per il Brasile ieri era però comune. La presidente Rousseff s’è guardata dal mettersi in mostra alla cerimonia di inaugurazione, tra balletti finto arte marziale Capoeira in chiave turistica e Jennifer Lopez in forma Mondiale: temeva i fischi. S’è nascosta in tribuna, accanto all’oligarca Fifa Blatter, che di nascosto chiedeva informazioni sulla rivolta contro di lui, tramata da Michel Platini dell’Uefa, o almeno così dicono i francesi. 

Fosse tornata ai tempi della sua gioventù ribelle, e fosse salita sul Treno dei Desideri verso lo stadio, Dilma Rousseff avrebbe sentito ripetere «Capiamo le ragioni di chi protesta, ma adesso c’è il Mondiale e dobbiamo far bella figura. Poi si va al voto per le presidenziali. Noi brasiliani perbene protesteremo lì…». 
 (La Stampa Sport)

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