martedì 24 giugno 2014

Iraq: ecco perché i jihadisti dell'Isis avanzano...





La situazione tra ribelli ed esercito iracheno peggiora di ora in ora. I 300 consiglieri militari che Obama ha deciso di inviare a Baghdad troveranno il caos.

L'esercito iracheno è ormai allo sbaraglio e numerosi sono i problemi che si troveranno a dover affrontare i trecento consiglieri militari che Obama ha deciso di inviare a Baghdad. Le forze armate che dovrebbero difendere l'integrità dell'Iraq sono al collasso psicologico, dopo sconfitte e diserzioni, e non sono neanche in grado di difendere se stesse. E' impietosa l'analisi che diversi esperti americani fanno della situazione dei militari iracheni, secondo i quali per riconquistare il territorio finito sotto il controllo dell'Isis, lo Stato Islamico in Iraq e in Siria (o Levante), potrebbero volerci mesi, se non anni.

"Ciò che è successo mostra che l'esercito non è in grado di difendere se stesso", dice Rick Brennan, ex consigliere delle forze Usa in Iraq e analista del Rand Corp, un autorevole think-tank. "Se non troviamo il modo per fare la differenza - ha affermato al Washington Post - ciò che vediamo potrebbe essere l'inizio della disintegrazione dell'Iraq".

Intanto continua lo spargimento di sangue: "centinaia di soldati sono stati trucidati, decapitati o impiccati, a Salahaddin, Ninive, Dilaya, Kirkuk e nelle zone dove si trovano i jihadisti". Lo ha riferito Qassem Atta, portavoce per gli affari di sicurezza del premier iracheno Nuri Al Maliki. Tra le vittime, anche decine di detenuti mentre venivano trasferiti da un carcere all'altro nella regione meridionale di Babel.

Michael Knights, dell'Institute fon Near East Policy, ha scritto di recente che 60 dei 243 battaglioni da combattimento dell'esercito iracheno "sono irreperibili e tutto il loro equipaggiamento è andato perso". Fonti Usa citate dal New York Times affermano che secondo le loro valutazioni, cinque delle 14 divisioni irachene sono "inadeguate al combattimento".

La situazione si è particolarmente aggravata dopo che decine di migliaia di soldati hanno disertato e i miliziani dell'Isis hanno messo le mani su equipaggiamenti militari e armi per centinaia di milioni di dollari. Armi che ora possono peraltro essere utilizzate dai qaedisti, a seconda delle esigenze strategiche, sia in Iraq che in Siria, poiché la maggior parte del confine tra i due Paesi è ora sotto il loro controllo.

I volontari sciiti inforcano i fucili - Per far fronte alla situazione, il premier sciita è ricorso ai decine di migliaia di volontari sciiti, che sono accorsi in armi, anche sollecitati dal loro massimo leader religioso, l'ayatollaah Ali Sistani. Una mossa che però potrebbe ulteriormente esacerbare le tensioni con gli insorti sunniti, e che secondo molti rischia di spingere sempre più l'Iraq verso una 'libanizzazione", dove le tensioni interconfessionali sono sfociate in una guerra civile andata avanti per quindici anni. Senza contare che molti dei volontari sciiti arrivano dall' Esercito del Mahdi, la milizia del leader radicale Moqtada Sadr, che durante la guerra ha dato molto filo da torcere alle forze Usa, con attacchi, battaglie e attentati, soprattutto nel sud del Paese. Di fatto si tratta di un ulteriore grattacapo per i 300 consiglieri inviati da Obama.

Ai ribelli la principale raffineria - I ribelli sunniti in Iraq hanno annunciato di avere preso il controllo della principale raffineria petrolifera in Iraq, quella di Baiji, nella provincia di Salahuddin, a nord di Baghdad. La raffineria, che è rimasta sotto assedio per 10 giorni, produce un terzo del fabbisogno di petrolio raffinato del Paese, scrive la Bbc online.

Kerry visita Kurdistan iracheno - Il segretario di Stato Usa, John Kerry, è arrivato stamane nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, nell'ambito della sua delicata missione in Iraq. Kerry incontrerà i rappresentanti di tre province del Kurdistan (nord), all'indomani dei sui incontri a Bagdad con il primo ministro sciita Nouri al-Maliki e altri leader politici e religiosi iracheni. Ieri Kerry ha promesso un forte sostegno all'Iraq di fronte alla "minaccia esistenziale" costituita dall'offensiva degli insorti sunniti.
(Globalist)

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