di Mauro Pompili
La città, tornata sotto il controllo del governo, è deserta. Abbandonata dai suoi stessi abitanti. Le scavatrici liberano le strade dalle macerie. Mentre Russia e Iran offrono a Damasco il loro aiuto.
da Beirut
Durante i 700 giorni dell’assedio, per Ragda Haddad, il mondo si era ridotto al suo salone e alla sua cucina.
«Sono sopravvissuta grazie ai miei libri. Per mesi mi sono rifiutata di guardarmi allo specchio perché avevo paura che la mia immagine avvizzita mi avrebbe tolto la voglia di resistere».
Lei, docente all’università di Homs, non ha mai lasciato la sua casa fino alla fine dell’assedio.
Ora, mentre i suoi concittadini tornano per vedere cosa rimane delle loro abitazioni, Ragda è a Beirut, da sua sorella, per tentare di recuperare. Sono ancora visibili i segni di quasi due anni vissuti da prigioniera nella sua casa, circondata dai ribelli e assediata dall’esercito. Pesa 38 chili, anche se dice di averne messi su quattro da quando, il 9 maggio, la città è stata liberata.
I RIBELLI DISERTANO, IL GOVERNO RIPRENDE IL CONTROLLO. Homs era stata una delle prime città a sollevarsi contro il governo nel marzo 2011. Chiamata la Capitale della rivoluzione, era stata trasformata dai ribelli in un campo di battaglia. Dal maggio 2012 le forze governative avevano stretto l’assedio intorno alla città vecchia, occupata dai miliziani, e la maggioranza delle decine di migliaia di abitanti era fuggita. La fame e l’andamento della guerra hanno lentamente spinto molti ribelli a disertare, a maggio gli ultimi 1.500 miliziani si sono arresi e il governo ha ripreso il controllo.
Ragda è tra i pochi che fino alla fine non hanno abbandonato la loro casa. «Ogni giorno mi ripetevo domani finirà, poi ho smesso di contare i giorni che passavano». Non aveva voluto abbandonare la sua bella abitazione medievale nel quartiere di Hamidieh. «Quei muri bianche e neri e quel chiostro con gli alberi di arancio sono da sempre la casa della mia famiglia. Non volevo che i ribelli la distruggessero come tutte quelle che occupavano».
HOMS CERCA DI RIPARTIRE, SCAVATRICI IN AZIONE. Nei primi tempi la situazione era tollerabile, anche perché aveva una buona riserva di cibo e gasolio, messi da parte quando c’erano stati i primi scontri. Quando l’assedio si è fatto più pesante Ragda non è più uscita e la sua vita ha preso i ritmi della guerra. «Mi svegliavo all’alba e andavo a letto al tramonto, perché non c’era elettricità. In due anni almeno venti colpi hanno raggiunto la casa, era terribile sentire le esplosioni giorno e notte, ma ci si abitua anche a quelle».
Homs, con i suoi 850 mila abitanti, è la terza città della Siria. Oggi la sua parte più antica, dove s’intrecciavano i vicoli con le entrate delle grandi case di stile damasceno, è deserta, una terra abbandonata. Immediatamente dopo l’evacuazione della zona assediata le scavatrici si sono messe al lavoro per liberare le strade dalle macerie. «Tra gli abitanti, che stanno tornando a migliaia dopo il ritiro dei ribelli, c'è una voglia incredibile di ricominciare», racconta per telefono padre Michel Naaman, sacerdote siro-cattolico della cattedrale del Santo Spirito di Homs.
«Sono sopravvissuta grazie ai miei libri. Per mesi mi sono rifiutata di guardarmi allo specchio perché avevo paura che la mia immagine avvizzita mi avrebbe tolto la voglia di resistere».
Lei, docente all’università di Homs, non ha mai lasciato la sua casa fino alla fine dell’assedio.
Ora, mentre i suoi concittadini tornano per vedere cosa rimane delle loro abitazioni, Ragda è a Beirut, da sua sorella, per tentare di recuperare. Sono ancora visibili i segni di quasi due anni vissuti da prigioniera nella sua casa, circondata dai ribelli e assediata dall’esercito. Pesa 38 chili, anche se dice di averne messi su quattro da quando, il 9 maggio, la città è stata liberata.
I RIBELLI DISERTANO, IL GOVERNO RIPRENDE IL CONTROLLO. Homs era stata una delle prime città a sollevarsi contro il governo nel marzo 2011. Chiamata la Capitale della rivoluzione, era stata trasformata dai ribelli in un campo di battaglia. Dal maggio 2012 le forze governative avevano stretto l’assedio intorno alla città vecchia, occupata dai miliziani, e la maggioranza delle decine di migliaia di abitanti era fuggita. La fame e l’andamento della guerra hanno lentamente spinto molti ribelli a disertare, a maggio gli ultimi 1.500 miliziani si sono arresi e il governo ha ripreso il controllo.
Ragda è tra i pochi che fino alla fine non hanno abbandonato la loro casa. «Ogni giorno mi ripetevo domani finirà, poi ho smesso di contare i giorni che passavano». Non aveva voluto abbandonare la sua bella abitazione medievale nel quartiere di Hamidieh. «Quei muri bianche e neri e quel chiostro con gli alberi di arancio sono da sempre la casa della mia famiglia. Non volevo che i ribelli la distruggessero come tutte quelle che occupavano».
HOMS CERCA DI RIPARTIRE, SCAVATRICI IN AZIONE. Nei primi tempi la situazione era tollerabile, anche perché aveva una buona riserva di cibo e gasolio, messi da parte quando c’erano stati i primi scontri. Quando l’assedio si è fatto più pesante Ragda non è più uscita e la sua vita ha preso i ritmi della guerra. «Mi svegliavo all’alba e andavo a letto al tramonto, perché non c’era elettricità. In due anni almeno venti colpi hanno raggiunto la casa, era terribile sentire le esplosioni giorno e notte, ma ci si abitua anche a quelle».
Homs, con i suoi 850 mila abitanti, è la terza città della Siria. Oggi la sua parte più antica, dove s’intrecciavano i vicoli con le entrate delle grandi case di stile damasceno, è deserta, una terra abbandonata. Immediatamente dopo l’evacuazione della zona assediata le scavatrici si sono messe al lavoro per liberare le strade dalle macerie. «Tra gli abitanti, che stanno tornando a migliaia dopo il ritiro dei ribelli, c'è una voglia incredibile di ricominciare», racconta per telefono padre Michel Naaman, sacerdote siro-cattolico della cattedrale del Santo Spirito di Homs.
Ragda: «Ho difeso la mia casa, ma non credo che lo rifarei»

- La città vecchia, nel centro di Homs, sepolta dalle macerie (getty).
Si lavora alacremente per sognare un ritorno alla normalità e già pochi giorni dopo la liberazione le ruspe e i volontari hanno avevano rimosso i cumuli di detriti dalla piazza dell'Orologio, simbolo della città, e avevano piantato alberi e fiori nell'aiuola centrale.
La guerra, però, continua a uccidere. Molte case e strade sono minate, gli ordigni nascosti quasi quotidianamente provocano morti e feriti. C'è poi il problema dello sciacallaggio, spesso ci sono scontri tra bande in cerca di bottino. «La politica o la religione non c’entrano», dice Ragda, «si tratta di delinquenti disposti a uccidere per nulla. Non so nemmeno cosa possa essere rimasto tra le case distrutte o abbandonate. Gli ultimi mesi il gasolio era finito e per affrontare il freddo ho iniziato a bruciare il legno che trovava in casa a partire dai mobili».
Ragda ha difeso strenuamente le sue mura ma, alla domanda «lo rifaresti?», risponde: «Non credo, quando sono uscita e ho attraversato il mio quartiere ho visto solo desolazione e distruzione. Ho paura che nulla tornerà mai come prima».
RUSSIA E IRAN FINANZIANO LA RICOSTRUZIONE. In mezzo a tutta questa distruzione sembrano suonare stonate le parole di Barazi Talal, governatore della Provincia di Homs. «Il 95% del territorio è sotto controllo, contiamo di riaprire entro la fine dell’anno il souk (mercato, ndr) nella città vecchia. Gli studenti tornino all’università, i negozianti riaprano i loro esercizi. Ci sono già 580 mila dollari del fondo per aiutare i negozianti della nostra Camera di Commercio. La vita deve riprendere. Come in Vietnam, in Giappone e in Europa ricostruiremo dopo la guerra».
Infatti, ancora nel mezzo del conflitto, a Damasco si inizia a parlare di ricostruzione. Chi la pagherà? Ci sono già progetti e sembra i primi fondi, almeno per quella gran parte del Paese saldamente in mano al governo. Nella speranza che la rinnovata escalation dell’Isis in Iraq non dia nuova energia ai jihadisti che combattono in Siria, due alleati come l’Iran e la Russia sono pronti a sostenere il Paese che deve rinascere dalle macerie.
ANCHE LA ZONA DI LIBERO SCAMBIO IN AGENDA. Il ministro del Lavoro iraniano, Ali Rabiee, in un incontro con l’omologo siriano, Hassan Hejazi, ha dichiarato che Teheran è pronta a contribuire alla ricostruzione.
Ancora più rilevante il recente incontro della commissione intergovernativa russo-siriana, dove pare siano state adottate tre importanti decisioni: nel 2015 la Commissione Economica Eurasiatica creerà una zona di libero scambio con l’unione doganale di cui farà parte anche la Siria; la Federazione Russa continuerà a fornire le armi autorizzate dall’Onu (il ministro della Difesa siriano, Fahd al-Frayj, andrà a Mosca per un trattato di cooperazione che includerà l’ampliamento del porto militare di Tartus e l’accesso alle immagini satellitari del Cremlino); la Russia finanzierà ampiamente la ricostruzione, per evitare che la Siria sia costretta a vendere il passaggio sul suo territorio dei gasdotti saudita e qatariota.
La guerra, però, continua a uccidere. Molte case e strade sono minate, gli ordigni nascosti quasi quotidianamente provocano morti e feriti. C'è poi il problema dello sciacallaggio, spesso ci sono scontri tra bande in cerca di bottino. «La politica o la religione non c’entrano», dice Ragda, «si tratta di delinquenti disposti a uccidere per nulla. Non so nemmeno cosa possa essere rimasto tra le case distrutte o abbandonate. Gli ultimi mesi il gasolio era finito e per affrontare il freddo ho iniziato a bruciare il legno che trovava in casa a partire dai mobili».
Ragda ha difeso strenuamente le sue mura ma, alla domanda «lo rifaresti?», risponde: «Non credo, quando sono uscita e ho attraversato il mio quartiere ho visto solo desolazione e distruzione. Ho paura che nulla tornerà mai come prima».
RUSSIA E IRAN FINANZIANO LA RICOSTRUZIONE. In mezzo a tutta questa distruzione sembrano suonare stonate le parole di Barazi Talal, governatore della Provincia di Homs. «Il 95% del territorio è sotto controllo, contiamo di riaprire entro la fine dell’anno il souk (mercato, ndr) nella città vecchia. Gli studenti tornino all’università, i negozianti riaprano i loro esercizi. Ci sono già 580 mila dollari del fondo per aiutare i negozianti della nostra Camera di Commercio. La vita deve riprendere. Come in Vietnam, in Giappone e in Europa ricostruiremo dopo la guerra».
Infatti, ancora nel mezzo del conflitto, a Damasco si inizia a parlare di ricostruzione. Chi la pagherà? Ci sono già progetti e sembra i primi fondi, almeno per quella gran parte del Paese saldamente in mano al governo. Nella speranza che la rinnovata escalation dell’Isis in Iraq non dia nuova energia ai jihadisti che combattono in Siria, due alleati come l’Iran e la Russia sono pronti a sostenere il Paese che deve rinascere dalle macerie.
ANCHE LA ZONA DI LIBERO SCAMBIO IN AGENDA. Il ministro del Lavoro iraniano, Ali Rabiee, in un incontro con l’omologo siriano, Hassan Hejazi, ha dichiarato che Teheran è pronta a contribuire alla ricostruzione.
Ancora più rilevante il recente incontro della commissione intergovernativa russo-siriana, dove pare siano state adottate tre importanti decisioni: nel 2015 la Commissione Economica Eurasiatica creerà una zona di libero scambio con l’unione doganale di cui farà parte anche la Siria; la Federazione Russa continuerà a fornire le armi autorizzate dall’Onu (il ministro della Difesa siriano, Fahd al-Frayj, andrà a Mosca per un trattato di cooperazione che includerà l’ampliamento del porto militare di Tartus e l’accesso alle immagini satellitari del Cremlino); la Russia finanzierà ampiamente la ricostruzione, per evitare che la Siria sia costretta a vendere il passaggio sul suo territorio dei gasdotti saudita e qatariota.
Domenica, 22 Giugno 2014
(Lettera 43)

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