Alleati per convenienza logistica i due gruppi sono adesso davanti ad una scelta importante: continuare insieme o lasciare che una prenda il sopravvento. Cosa che a molti analisti sembra già avvenuta
«In parole povere, Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato guerra ad Al Qaeda»: così lo studioso Charles Lister, del centro di ricerche Brooking’s Doha Center analizza gli effetti dell’editto con cui l’Isil, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ha annunciato la nascita del califfato jihadista nell’Iraq settentrionale e in Siria. «Si tratta di una minaccia alla legittimità di Al Qaeda come rappresentante della jihad globale», ha spiegato al Washington Post.
In un articolo intitolato «La guerra al terrorismo non ha sconfitto Al Qaeda. Ma l’Isil potrebbe», il quotidiano americano non manca di sottolineare quella che definisce «una delle grandi ironie dell’attuale battaglia per l’Iraq: malgrado i miliardi spesi per la guerra al terrorismo, i proiettili esplosi, le vite perse, a sconfiggere in definitiva Al Qaeda potrebbe essere – non gli Stati Uniti o un’altra potenza occidentale – ma un gruppo interno al movimento jihadista. Non sono serviti i drone. Nè il ‘surge. Ma un leader carismatico, emergente, noto come Abu Bakr al-Baghdadi». «Il potere ideologico e di reclutamento di Al Qaeda resta fondato nella mitologia che circonda gli attacchi dell’11 settembre 2001. Ma si tratta di un potere che si indebolisce a mano a mano che il tempo trascorso da quegli eventi aumenta, spiegano gli analisti citati dal giornale. »Molti dei jihadisti di oggi all’epoca erano bambini« e non sentono un legame di fedeltà nei confronti di quel movimento, spiega il professore Barak Mendelsohn, dell’Haverford College, su Foreign Affairs.
L’Isil si considera ora come leader legittimo del movimento», gli fa eco Peter Neumann, del King’s College London, citato dal ‘Guardian’. «Per i jihadisti il califfato è l’obiettivo ultimo e l’isil, ai loro occhi, è arrivato più vicino alla realizzazione di questo obiettivo di quanto non abbia fatto nessun altro». «Questo – sottolinea – potrebbe segnare la fine di Al Qaeda, potrebbe essere la fine della visione e dell’eredità di Bin Laden». Una fine che affonda anche nei vecchi contrasti tra i leader jihadisti dell’Iraq e Al Qaeda, nelle differenze – secondo uno studio del Washington Institute for Near East Policy – esistenti innanzitutto tra lo stesso Bin Laden e Abu Musb al-Zarqawi, il giordano a capo di Al Qaeda in Iraq fino alla sua uccisione da parte degli Stati Uniti nel 2006: Bin Laden era istruito, Zarqawi aveva alle spalle un passato di criminale, Zarqawi ha sempre affermato che l’autorità è incarnata da coloro che sono sul campo e non dietro le quinte. Quando le tensioni tra le due correnti sembravano dovessero sfociare in una divisione, improvvisamernte nel 2004 Zarqawi ha scelto di riavvicinarsi e dichiarare la propria fedeltà a Bin Laden. Baghdadi che ha assunto il controllo nel 2010, sembra riassumere in sè le due anime del movimento: è istruito, ma è anche un comandante spietato. E non sembra il tipo disposto a gesti altrettanto concilianti nei confronti della leadership di Al Qaeda di quelli del suo predecessore. Ma più di ogni altra cosa ciò che lo ha maggiormente rafforzato all’interno del movimento – indebolendo ulteriormente la leadership di Ayman al Zawahiri e la rete che quest’ultimo dirige – sono state le recenti conquiste territoriali. Successi che hanno attratto nuove reclute e sono destinati ad attrarre nuovi finanziamenti, assicurano gli esperti.
(Il Journal)

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