A 15 anni dai bombardamenti della Nato è tempo di affrontare un antico problema, quello del ritorno in Kosovo dei 90mila serbi costretti ad abbandonare la regione.

Fra le tante ipocrisie coltivale dalla comunità internazionale una consente di trattare i rifugiati in maniera diversa a seconda della loro provenienza, e per uscire da questo equivoco è giunto il tempo di affrontare un tema scomodo: quello del rientro alla loro case kosovare dei serbi fuggiti dopo i bombardamenti della Nato nel 1999, e che da allora vivono accampati nel Sud della Serbia.
La "Fondazione Friedrich Naumann" ha dedicato uin convegno alla spinosa questione per concludere che a coloro che la Serbia considera sempre "sfollati interni" bisogna garantire dopo quindici anni di precarietà il ritorno a casa e la restituzione di proprietà che adesso sono tutte in mano a kosovari albanesi.
Davor Rako, rappresentante della Fondazione dice che secondo i dati del commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) - che però risalgono al 2011 - gli sfollati serbi dal Kosovo erano oltre 95 mila e per lo più si erano collocati nella Serbia meridionale, che aveva dato loro accoglienza sensa però riuscire a fornirgli una collocazione adeguata. "Lo status della maggior parte di essi non è mai stato risolto - continua Rako, che per UNCHR guida anche il servizio per la protezione legale e le collozìcazioni durature - le cifre riguardanti 97.2786 sfollati censiti tre anni fa mostrano una situazione ai limiti dell'invivibilità".
"Ancora oggi - continua l'esperto - la Serbia meridionale accoglie circa 90 mila profughi kosovari, il 49 per cento dei quali venne derubato delle casa o dei terreni di proprietà e non se li è mai visti restituire. Sempre nella massa dei profughi il 39 per cento degli adulti è composto da disoccupati mentre il 20,9 per cento dice di voler tornare nelle loro case di un tempo, anche se per fare questo si aspettano assistenza sia per risolvere i problemi abitativi sia quanto alla sicurezza. E tutto questo, senza parlare dei rifugiati di etnia "rom",le cui condizioni sono ancora peggiori e fra i quali invece non si riscontra alcuna voglia di tornare in Kosovo".
A questo momento, dovrebbero esserci fra i 20 ed i 30 mila serbi che sono pronti a rientrare in una regione che nel frattempo si è autoproclamata repubblica albanese, sarebbero disposti a integrarsi nella nuova realtà ma per questo hanno assoluto bisogno dell'aiuto di entrambi i governi e delle organizzazioni internazionali.
"Come agenzia della Nazioni unite, noi miriamo a creare le condizioni perché gli sfollati raggiungano soluzioni durature per i loro problemi, e siano messi in grado di tornare alle loro case e di integrarsi nel loro vechio luogo di residenza. Per questo siamo disposti a fornire aiuto ai governi serbo nel processo di integrazione", continua Rako detto. Il giornalista Idro Seferi, anch'egli kosovaro ma di etnia albanese, pensa che non tutti gli sfollati serbi vogliano tornare , ma aggiunge che è importante fornire la possibilità a di tornare a quanti vogliono a farlo: "È importante prevedere la possibilità per gli sfollati di tornare al loro precedente luogo di residenza - dice - anche perché la situazione in Kosovo è cambiata, ormai c'è una certa libertà di movimento che però non è ancora sufficiente per svolgere una vita normale".
L'analista politico Dusan Janjic a sua volta dice che le condizioni per ottenere la qualifica di rifugiato e la durata di questa condizione devono essere chiaramente definite, e per questo che sarebbe utile che tali soggetti venissero stati forniti di schede sociali. Janjic sottolinea anche che bisogna dare vita ad una politica di soggiorno sostenibile in Kosovo e Metohja, e alla Serbia spetta il colpito di aggiornare la sia politica nei confronti degli sfollati
La "Fondazione Friedrich Naumann" ha dedicato uin convegno alla spinosa questione per concludere che a coloro che la Serbia considera sempre "sfollati interni" bisogna garantire dopo quindici anni di precarietà il ritorno a casa e la restituzione di proprietà che adesso sono tutte in mano a kosovari albanesi.
Davor Rako, rappresentante della Fondazione dice che secondo i dati del commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) - che però risalgono al 2011 - gli sfollati serbi dal Kosovo erano oltre 95 mila e per lo più si erano collocati nella Serbia meridionale, che aveva dato loro accoglienza sensa però riuscire a fornirgli una collocazione adeguata. "Lo status della maggior parte di essi non è mai stato risolto - continua Rako, che per UNCHR guida anche il servizio per la protezione legale e le collozìcazioni durature - le cifre riguardanti 97.2786 sfollati censiti tre anni fa mostrano una situazione ai limiti dell'invivibilità".
"Ancora oggi - continua l'esperto - la Serbia meridionale accoglie circa 90 mila profughi kosovari, il 49 per cento dei quali venne derubato delle casa o dei terreni di proprietà e non se li è mai visti restituire. Sempre nella massa dei profughi il 39 per cento degli adulti è composto da disoccupati mentre il 20,9 per cento dice di voler tornare nelle loro case di un tempo, anche se per fare questo si aspettano assistenza sia per risolvere i problemi abitativi sia quanto alla sicurezza. E tutto questo, senza parlare dei rifugiati di etnia "rom",le cui condizioni sono ancora peggiori e fra i quali invece non si riscontra alcuna voglia di tornare in Kosovo".
A questo momento, dovrebbero esserci fra i 20 ed i 30 mila serbi che sono pronti a rientrare in una regione che nel frattempo si è autoproclamata repubblica albanese, sarebbero disposti a integrarsi nella nuova realtà ma per questo hanno assoluto bisogno dell'aiuto di entrambi i governi e delle organizzazioni internazionali.
"Come agenzia della Nazioni unite, noi miriamo a creare le condizioni perché gli sfollati raggiungano soluzioni durature per i loro problemi, e siano messi in grado di tornare alle loro case e di integrarsi nel loro vechio luogo di residenza. Per questo siamo disposti a fornire aiuto ai governi serbo nel processo di integrazione", continua Rako detto. Il giornalista Idro Seferi, anch'egli kosovaro ma di etnia albanese, pensa che non tutti gli sfollati serbi vogliano tornare , ma aggiunge che è importante fornire la possibilità a di tornare a quanti vogliono a farlo: "È importante prevedere la possibilità per gli sfollati di tornare al loro precedente luogo di residenza - dice - anche perché la situazione in Kosovo è cambiata, ormai c'è una certa libertà di movimento che però non è ancora sufficiente per svolgere una vita normale".
L'analista politico Dusan Janjic a sua volta dice che le condizioni per ottenere la qualifica di rifugiato e la durata di questa condizione devono essere chiaramente definite, e per questo che sarebbe utile che tali soggetti venissero stati forniti di schede sociali. Janjic sottolinea anche che bisogna dare vita ad una politica di soggiorno sostenibile in Kosovo e Metohja, e alla Serbia spetta il colpito di aggiornare la sia politica nei confronti degli sfollati
(Globalist)

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