Rabbia, delusione e preoccupazione sono i sentimenti diffusi tra i 10.000 i profughi iracheni nel Paese dei Cedri. Secondo l'UNHCR(Agenzia dell'ONU per i rifugiati) sono la seconda comunità esule dopo quella siriana
di MAURO POMPILISono passati più di undici anni dalla caduta di Bagdad. Da allora l'Iraq è precipitato in una guerra infinita fatta soprattutto di attentati contro i civili. "Non mi era mai piaciuto Saddam Hussein, ero anche finito nelle sue carceri - racconta Leyth Hassan, un rifugiato iracheno da anni in Libano - "non mi piace neppure la democrazia che voi occidentali ci avete portato. Forse Saddam dava più fastidio a voi. Per liberarvene ci avete bombardato due volte, poi ci avete lasciato in mano ai terroristi."
La rabbia contro l'occidente. Rabbia, delusione e preoccupazione sono i sentimenti dominanti tra i 10.000 i profughi iracheni nel Paese dei Cedri. Secondo l'UNHCR (Agenzia dell'ONU per i rifugiati) sono la seconda comunità esule dopo quella siriana. Il dato non include i palestinesi, seguiti da un'apposita agenzia delle Nazioni Unite, l'UNRWA. Khaledm Abdel, un altro rifugiato, racconta della gamba che ha perso nella guerra che il suo Paese ha condotto per otto anni contro l'Iran. Ha lasciato l'Iraq con la sua famiglia nel 1991, poco dopo la prima guerra del Golfo. Sono andati in Giordania e dopo in Siria. L'anno scorso sono scappati ancora una volta da Aleppo per approdare in Libano. "Abbiamo combattuto per voi contro gli estremisti iraniani e con quale risultato? Volevate solo il nostro petrolio. Ci avete attaccato due volte e poi avete lasciato il nostro Paese nelle mani dei peggiori integralisti."
Malnutrizione e fame per chi fugge. Per la comunità dei profughi iracheni le difficoltà sono enormi. "Non riusciamo a mangiare più di una volta al giorno. Mio marito - dice Zainab, la moglie di Khaled - non riesce a lavorare e ormai io non trovo più neppure un posto dove andare a fare le pulizie". L'unico pasto giornaliero che Zaimab riesce a preparare è quasi sempre il mujaddara (riso e lenticchie). Pollo e carne hanno per loro prezzi proibitivi. La condizione di bisogno della famiglia di Abdel non è un caso isolato. Da una ricerca condotta dal Professore Hala Ghattas, del Dipartimento di nutrizione e scienze dell'alimentazione dell'Università Americana di Beirut (AUB), emerge che oltre il 40% dei bambini rifugiati iracheni di età inferiore ai 5 anni ha pesanti mancanze di ferro. Sono gravemente anemici, con il rischio di gravi conseguenze per la crescita e la salute.
Il numero dei rifugiati torna a crescere. A causa della nuova ondata di violenza nel Paese, sempre più persone abbandonano l'Iraq. "Nel solo mese di maggio sono entrati 6.380 rifugiati iracheni in Libano - dice Carol El Sayed, una responsabile di UNHCR - circa 1.000 sono tra i 15 ei 24 anni, e il 10% sono al di sotto dei 5 anni, la fascia di età più a rischio per l'anemia. Siamo davanti a un'inversione di tendenza, il numero di iracheni nel Paese era relativamente stabile negli ultimi anni. Vivono un po' in tutto il Libano, in maggioranza sono disoccupati o sottoccupati. La concorrenza tra loro e la grande massa dei rifugiati siriani, spesso più qualificati, è drammatica."
La lotta tra diseredati. Per vincere la concorrenza e tentare di sopravvivere sono costretto ad accettare orari di lavoro infiniti e con paghe miserevoli, mentre aumentano i costi di ogni cosa. A pesare sul povero bilancio familiare è soprattutto la spesa per l'affitto di un posto dove abitare, spesso un tugurio che è davvero difficile chiamare casa. L'arrivo di oltre un milione di rifugiati siriani, pari al 25% della popolazione libanese, ha fatto salire alle stelle il prezzo di qualsiasi cosa assomigli a un alloggio. Anche i servizi pubblici essenziali, istruzione e sanità, già strutturalmente deboli sono schiacciati e incapaci di rispondere a queste esigenze. Una situazione che pesa sull'economia e, soprattutto, sugli equilibri sociali del Paese. "Una situazione della quale i primi a pagare il prezzo sono i libanesi, ma anche i rifugiati non siriani per il loro sostegno si registra una diminuzione complessiva dei finanziamenti."
Affrontare l''emergenza e cercare soluzioni. Scarse opportunità di lavoro, salari bassi e spese in crescita, per sopravvivere le famiglie sono obbligate a tagliare sulla salute e sul cibo. "Lo studio dell'AUB ha confermato quello che già si immaginava - continua El Sayed - da alcuni mesi distribuiamo cereali con ferro aggiunto ai bambini iracheni al di sotto dei cinque anni". Altre ONG che collaborano con l'agenzia delle Nazioni Unite stanno portando avanti programmi di sostegno alimentare per le famiglie, ma non sufficiente.
La guerra civile che 11 anni dopo l'occupazione americana continua a devastare l'Iraq rende assai improbabile il ritorno a casa in tempi brevi. "Questa gente ha bisogno di soluzioni urgenti, ma di lunga durata." Conclude El Sayed.
(Repubblica.it)
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