martedì 10 giugno 2014

Egitto. “La prigione come microcosmo della società”...





Egitto. “La prigione come microcosmo della società”

Riportiamo integralmente lettera dal carcere, resa nota pochi giorni fa, di Mahienour El Massry, blogger, avvocata ed attivista per i diritti umani, in carcere per aver manifestato pacificamente. 

Non so quasi nulla di quanto stia succedendo fuori da quando sono in prigione. Ma posso immaginare che non sia molto diverso rispetto a ciò che eravamo soliti fare quando qualcuno veniva arrestato. Il web si riempiva di slogan quali “Tal o tal altra persona subito libera”, oppure “Siamo tutti tizio, siamo tutti caio”.
Tuttavia, da quando ho messo piede nel carcere femminile di Damanhour e mi hanno sistemato nel “Blocco n.1” – l’insieme di celle riservate a chi è accusato o condannato per frode – soltanto una cosa è risuonata nella mia mente, e si è ripetuta come un mantra giornaliero: “Basta con questo sistema classista”.

La maggior parte delle mie compagne di cella sono state arrestate per inadempienza di pagamenti di piccoli prestiti.
Si tratta di somme che servivano a una madre per comprare dei beni necessari per sua figlia, futura sposa, o a una moglie che aveva bisogno di soldi per curare la malattia di suo marito, o ad una donna che doveva estinguere un prestito di 2mila sterline egiziane (200€ circa), soltanto per ritrovarsi punita in seguito da una multa di 3 milioni.

La prigione è un microcosmo della società. Coloro che sono leggermente più privilegiati di altri trovano modi per ottenere ciò di cui hanno bisogno anche dentro, mentre i non privilegiati sono costretti a lavorare anche in prigione.
La prigione è un microcosmo della società. I prigionieri discutono di ciò che succede nel paese. Puoi trovarci l’intero spettro politico qui.

Alcuni supportano Al-Sisi con la speranza che il nuovo presidente conceda la grazia a tutti i condannati per frode o inadempienze di pagamento. Altri lo immaginano come il presidente che farà di tutto per combattere contro i “manifestanti terroristi” e governerà con il pugno di ferro, anche se sono gli stessi che simpatizzano con me e credono che io sia innocente.

Altri ancora invece sono pro-Sabbahi, perché lo considerano uno di loro. “Ha promesso di liberare tutti i prigionieri”, dicono, soltanto per essere riprese da altre prigioniere che ribattono con “lui ha promesso che libererà solo i prigionieri di coscienza”. E infine ci sono quelle persone che pensano che le elezioni siano state una farsa, e che le avrebbero boicottate se fossero state fuori.

La prigione è un microcosmo della società. Mi sento come se fossi in una famiglia. Tutti mi danno consigli su come concentrarmi di più sulla mia carriera e il mio futuro una volta che sarò libera. In risposta, dico loro che la popolazione egiziana merita molto di più, che giustizia non è ancora stata fatta, e che continueremo a costruire un futuro migliore.

A questo punto, ci giungono notizie della sentenza a tre anni di prigione per Hosni Mubarak per corruzione flagrante, frode fiscale, appropriazione indebita nell’ambito del caso dei “palazzi presidenziali”. Scoppiando per il nervoso, chiedo loro: “Che tipo di futuro vi aspettate in questa società così ingiusta, nella quale il regime pensa che Umm Ahmed, che ha passato in carcere gli ultimi 8 anni della sua vita, e ne ha ancora 6 da scontare, per aver firmato per errore un assegno da non più di 50mila sterline, sia più pericoloso di Mubarak?” Lo stesso Mubarak che sostiene al-Sisi, e che lo considera il suo salvatore.

Qui si parla della nostra società classista e del sogno di giustizia sociale, non di argute teorie.

Non dovremmo mai perdere di vista i nostri obiettivi a metà strada della battaglia, nella quale abbiamo già perso amici e compagni ogni giorno. Non dovremmo mai rivolgerci agli altri per chiedere la libertà di questa o quell’altra persona, mentre ci dimentichiamo i bisogni più importanti e le ansie degli egiziani, che vogliono principalmente sopravvivere alla giornata.

Mentre cantiamo slogan contro la “Protest Law”, dovremmo lavorare per abolire questo sistema classista; organizzarci e interagire con i poco privilegiati e i più vulnerabili, parlare dei loro diritti e costruire una visione chiara e precisa di come risolvere i loro problemi. Dovremmo intonare cori come “Libertà per i poveri”, cosicché questi non si sentano isolati nei loro problemi.

Alla fine, se dobbiamo davvero intonare slogan di libertà per qualcuno, allora gridiamo "Libertà per Sayeeda, Heba e Fatima", tre ragazze che sono accusate di far parte dei Fratelli Musulmani e sulle cui teste pendono accuse gravi quanto quelle di omicidio.

Sono state arrestate e detenute in modo totalmente arbitrario e da gennaio il loro processo viene continuamente rinviato senza nemmeno farle presenziare di fronte a un giudice!

Libertà per Om Mohammad, che non vede i suoi figli da otto anni; libertà per Om Dina, che è l'unica a portare a casa il pane nella sua famiglia; libertà per Naima che ha fatto da prestanome in cambio di una somma di denaro per sfamare i suoi figli. Libertà per Farha, Wafaa, Kowthar, Dowiat, Samya, Iman, Amal e Mervat.

Le nostre pene [di attivisti] non sono nulla in confronto a loro: noi sappiamo che qualcuno ci ricorderà di tanto in tanto, e menzionerà magari con orgoglio il fatto di averci conosciuto. Ma chi parlerà di loro con orgoglio?

Non sono nemmeno menzionate se non nei ritrovi familiari.

Quindi, dico, abbasso questa struttura di classe! Perché non saremo mai in grado di raggiungere i nostri obiettivi finché non smetteremo di dimenticare chi sono i veri oppressi.

22 maggio 2014 - Blocco n. 1, Cella 8, carcere femminile di Damanhour.
*La lettera è stata tradotta dall’arabo all’inglese da Radwa El Barouni per il sito Mada Masr. La traduzione in italiano è a cura di Stefano Nanni.

10 Giugno 2014 di:
Mahienour El Massry*

(Non In Mio Nome)

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