Battaglia a Baiji: le compagnie americane e inglesi evacuano il personale,
l’Eni resta. Merkel: Stati Uniti responsabili. E l’Iran offre nuovamente aiuto
In Iraq i guerriglieri jihadisti dell’Isis ora puntano alla conquista delle infrastrutture petrolifere e alcune delle principali compagnie occidentali hanno già dato ordine al personale di evacuare gli impianti. In particolare, sarebbe in corso una «massiccia evacuazione» dello staff della Exxon Mobile, mentre Bp avrebbe sgomberato il 20% dei suoi (Eni, che opera all’estremo Sud, per ora rimane).
LA RAFFINERIA DI BAIJI
Nella notte è stata attaccata la più grande raffineria del Paese a Baiji, 210 chilometri a nord di Baghdad. I miliziani sunniti hanno prima distrutto parte delle riserve di petrolio e poi si sono aperti la strada con colpi di mortaio e mitragliatrici. Secondo le tv panarabe, una parte degli uomini della sicurezza sarebbe fuggita e i miliziani avrebbero preso il controllo di tre quarti degli impianti (l’esercito iracheno sostiene però di aver respinto l’attacco e di aver ucciso 40 ribelli). La raffineria era sotto assedio dalla scorsa settimana, quando i miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) hanno lanciato una massiccia offensiva per instaurare un califfato nella regione e conquistare Baghdad.
L’AVANZATA DELL’ISIS
Nel frattempo, sempre nella provincia di Salaheddin (dove si trova Baiji) gli jihadisti hanno conquistato tre villaggi, Albu Hassan, Birwajli e Bastaml (nei combattimenti sono morti 20 civili) e a Tikrit, già occupata dall’Isis, le bombe governative hanno colpito un ospedale di Medici senza frontiere (lo ha denunciato la stessa Ong, avvertendo che 40.000 sfollati non potranno ricevere assistenza). L’esercito ha spostato truppe dal sud verso Baghdad per difendere la capitale da una possibile offensiva jihadista mentre gli ufficiali responsabili della disastrosa ritirata nel nord sono stati destituiti (rischiano la corte marziale).
AL MALIKI CHIEDE AIUTO AGLI USA
Tutto ciò potrebbe non bastare. E così il governo iracheno dello sciita Nuri al-Maliki ha chiesto agli Stati Uniti di «effettuare raid aerei contro i miliziani jihadisti» (la notizia arriva dal ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari). Ciononostante, Obama sembra aver scartato l’opzione della forza. Secondo quanto scrive il Wall Street Journal «il presidente Usa ha escluso di bombardare le postazioni degli estremisti sunniti: al momento punta piuttosto a cercare appoggi politici nella regione e a offrire collaborazione di intelligence. Ma la sua decisione - spiega ancora il quotidiano Usa - non è irreversibile ed è possibile che il presidente cambi idea».
BERLINO PREME PER L’INTERVENTO
Da Berlino, la cancelliera Angela Merkel ha sottolineato che «gli Stati Uniti hanno una responsabilità particolare» nei confronti dell’Iraq. Il suo predecessore, Gerhard Schroeder, si era duramente opposto all’intervento americano del 2003 e le autorità tedesche ora chiariscono di non avere alcuna intenzione di inviare truppe per far fronte all’attuale crisi.
IL MEA CULPA
Intanto, per la prima volta Al-Maliki ha ammesso che ad alimentare il conflitto sunniti-sciiti «creando un ambiente adatto ai terroristi» sarebbero state le divisioni politiche interne al Paese. Il solco che separa il governo dal mondo sunnita si fa così sempre più profondo: gli Emirati Arabi Uniti hanno richiamato per consultazioni l’ambasciatore a Baghdad esprimendo «forte preoccupazione» per «le politiche settarie che emarginano componenti essenziali del popolo iracheno». In questa situazione caotica arriva anche la notizia del sequestro a Mosul di 40 operai edili indiani, per lo più originari dello Stato settentrionale del Punjab (lavoravano in Iraq per una società con sede a Baghdad).
I BAMBINI RAPITI IN SIRIA
Ma l’offensiva dei miliziani sunniti continua anche in Siria, dove nei giorni scorsi sarebbero stati rapiti 145 bambini mentre tornavano a casa da scuola dopo aver sostenuto gli esami (il fatto sarebbe avvenuto il 29 maggio, secondo quanto ha denunciato l’Osservatorio nazionale per i diritti umani «Ondus»). Ora la paura è che i ragazzini possano essere sottoposti a un lavaggio del cervello per poi essere utilizzati come kamikaze (cinque di loro che sono riusciti a scappare avrebbero riferito di avere ricevuto lezioni sulla Jihad «contro i nemici di Dio e gli apostati»).
L’IRAN IN CAMPO
L’Iran, intanto, ha nuovamente offerto il suo aiuto. Il presidente Hassan Rohani ha comunicato che «farà di tutto» per proteggere i luoghi santi dell’Islam sciita in Iraq (il Paese conta diversi luoghi santi per lo sciismo, a Najaf e Kerbala, a sud di Baghdad, e a Samarra, a nord della capitale). «Mettiamo in guardia le grandi potenze, i loro lacché, gli assassini e i terroristi - ha detto Rohani - che il grande popolo iraniano farà di tutto per proteggere i luoghi santi degli imam sciiti in Iraq». A Teheran oltre 5 mila volontari sono già pronti a partire.
(La Stampa Esteri)

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