lunedì 9 giugno 2014

BRASILE, IL MONDIALE DELLA DISCORDIA...





di Redazione Cadoinpiedi.it - 8 giugno 2014

Cadoinpiedi.it pubblica un ritratto del Paese di Angelo d'Orsi, storico e saggista, che ha viaggiato alla scoperta di questa terra densa di contraddizioni e ne ha tratto un libro Alfabeto Brasileiro (Ediesse) che è un affresco di una civiltà rappresentativa del mondo intero.


Il calcio di inizio del Mondiali Brasile 2014 è alle porte. E il Paese è spaccato in due, con decine di manifestazioni contro l'evento sportivo ritenuto inutile per un Paese dove la gente muore ancora di fame. Cadoinpiedi.it pubblica un ritratto del Brasile di Angelo d'Orsi, storico e saggista, che ha viaggiato alla scoperta di questa terra densa di contraddizioni e ne ha tratto un libro Alfabeto Brasileiro(Ediesse) che è un affresco di una civiltà rappresentativa del mondo intero.

Pochi giorni fa una nutrita manifestazione di insegnanti delle scuole brasiliane e altre categorie ha bloccato il pullman che portava la nazionale brasiliana di calcio: un duro intervento delle forze dell'ordine ha, con difficoltà, sbloccato la situazione. Qualche giorno prima, il 15 maggio, una ondata di proteste ha percorso città e campagne di tutti gli Stati della Repubblica federale brasiliana. 
Gli indigeni - le poche centinaia di migliaia sopravvissuti al grande genocidio di cui sono stati vittime nel corso di secoli - tentano di difendere le poche strisce di foresta in cui sono stati relegati dall'irresistibile avanzata del "progresso"; numerose categorie di lavoratori di vari settori, dai docenti di scuole e università a tutto il resto della pubblica amministrazione (compresa la polizia), dagli operai e impiegati del settore privato agli studenti. In realtà le proteste sono iniziate lo scorso anno, quando le "grandi opere" per preparare il Brasile ai mondiali erano appena cominciate, ma si capiva che, al di là della devastazione ambientale, i costi economici sarebbero stati altissimi. Il che in teoria si potrebbe anche accettare, ma diventa offensivo davanti alla povertà diffusa e alla miseria estrema di tanta parte della società brasiliana, che pure è, in generale, una società in espansione: crescita demografica, sviluppo economico, avanzata tecnologica, acquisto di peso geopolitico. 

Ecco, l'imminente competizione calcistica sta facendo esplodere le contraddizioni di questo Paese-mondo, nel quale tutto appare estremo: ricchezza esagerata (di pochi), miseria terribile (di tanti); gentilezza seducente della gente e ferocia della criminalità (e spesso della stessa polizia); bellezza sinuosa dei corpi e obesità crescente; il bacino acquifero più grande della terra (quello amazzonico) e intere, vastissime zone (specie al Nord) soggette a siccità perenne; la foresta più sterminata e ricca di biodiversità cancellata con le seghe elettriche anno dopo anno; edilizia d'avanguardia (il genio Oscar Niemeyer è morto l'anno scorso dopo una vita centenaria, produttiva sino all'ultimo giorno) e miserabili costruzioni di legno e lamiera ai margini delle città; megalopoli e campagne sterminate, e troppe persone senza casa nei centri urbani e contadini senza terra nelle zone rurali... e così via. 
Il Paese degli eccessi, ma anche la "terra del futuro", come la chiamò Stefan Zweig nei primi anni Quaranta del '900. Ma il futuro non è detto indichi una felice prospettiva: il futuro che il Brasile ci indica è una "utopia selvaggia", per dirla con un grande scrittore indigeno, Darcy Ribeiro, da sognare, o una distopia consumistica e sviluppistica da evitare? 

Ma c'è sicuramente un dato per il quale il Brasile indica una tendenza verso la quale si andrà, inevitabilmente, in un futuro prossimo: la mescolanza di etnie, culture, religioni. Ciò che fa la diversità del Brasile è, innanzi tutto, questo: è il Paese meticcio per eccellenza. È il suo "valore aggiunto" che nasce dall'incontro, non pacifico, e anzi traumatico, delle tre componenti etniche fondamentali: quella indigena (6-7 milioni di individui ridotti a un decimo oggi, confinati in riserve, ma sempre sotto assedio da parte della "civiltà"), quella nera africana (il Brasile è stato la meta della maggior parte, intorno ai 7 milioni, degli schiavi "prelevati" dall'Africa), e quella europea: portoghesi, italiani, spagnoli, tedeschi, francesi, ma anche componenti minori: mediorientale (siro-libanese), e orientale (giapponesi). 
Una mescolanza strabiliante che rende il brasiliano e la brasiliana unici e la loro terra straordinaria e dall'irresistibile fascino: del resto la stessa dimensione gigantesca del territorio ne esalta le diversità interne, e propone al visitatore una gamma di sensazioni forti, alle quali è impossibile rimanere indifferenti. E lo fa riflettere sull'importanza dell'accoglienza dell'altro: della ricchezza che un altro sguardo, un'altra storia, può produrre in noi. 

Ma il Brasile pone interrogativi, sul futuro, che ci riguardano: il tema della conservazione dell'ambiente naturale, per esempio. La costruzione della fallimentare "transamazzonica", la strada che doveva attraversare orizzontalmente il Paese, e che la foresta si sta letteralmente mangiando, pezzo dopo pezzo, dopo l'inutile distruzione di centinaia di migliaia di ettari di vegetazione; o quella, in corso malgrado proteste aspre e violente, della diga di Belo Monte, che costringerebbe decine di migliaia di indios a lasciare la loro terra, per l'invasione delle acque, ricorda la battaglia di casa nostra contro il Tav in Piemonte... E così via. 
I costi del progresso, ecco il messaggio che giunge dal Brasile, sono sempre accettabili? E siamo sicuri che una strada, una diga, una ferrovia portino sempre benefici e che complessivamente essi siano superiori ai danni? 
Un viaggio in Brasile, dunque, anche solo attraverso un libro, ci può aiutare a mettere a fuoco i problemi drammatici della nostra "modernità". 

Angelo d'Orsi è professore di Storia del pensiero politico nell'Università di Torino. Fondatore di FestivalStoria, presiede la Fondazione Salvatorelli e dirige la rivista di storia critica Historia Magistra. 

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