Si chiama DynCorp e ha incamerato milioni di dollari, nonostante un'immagine non proprio immacolata.
L’Afghanistan cerca di completare la fase di transizione verso la democrazia. Le recentielezioni rappresentano un passaggio fondamentale per chiudere l’era post bellica. Eppure la lunga guerra, che in alcune zone del Paese non è realmente finita, ha un unico vero vincitore, sconosciuto al grande pubblico: si chiama DynCorp.
Il Daily Beast ha rivelato che la società ha ottenuto il 69% dei fondi erogati dal Dipartimento di Stato per la ricostruzione. Tradotti in cifre sono qualcosa come 2,5 miliardi di dollari. Insomma, l’Afghanistan si è trasformato in una miniera d’oro per l’azienda.
Il settore di competenza è quello della sicurezza. Tra gli affari principali ci sono la formazione e l’equipaggiamento delle forze di polizia afgana, oltre alla gestione delle guardie del corpo di Hamid Karzai, il presidente uscente.
La DynCorp è una società di private equity con sede a New York. Il 96% delle entrate proviene da contratti governativi: di fatto si tratta di un colosso che si muove grazie al sostegno federale. Il problema, comunque, non riguarda le cifre né tantomeno l’attività, ampiamente prevista nella fase successiva all’intervento militare.
La questione attiene l’opaca gestione dell’immensa mole di denaro che affluisce nelle casse della DynCorp. La vicenda risale al 2010, quanto l’ispettore generale per l’Iraq ha chiesto un resoconto su spese per mille miliardi di dollari. E questa storia è “piccola”, se messa al fianco di un’accusa ancora peggiore: il pagamento di baby prostitute per la corruzione dei funzionari afghani. I diretti interessati hanno respinto qualsiasi ipotesi del genere, ma alcuni cablo diffusi di WikiLeaks denunciano un’operazione di insabbiamento.
La lista si allunga con un fatto più recente: nel 2013 la DynCorp è stata accusata di aver svolto un lavoro scadente nella provincia di Kunduz. Ciononostante ha ricevuto 75mila dollari. «Una rapina», l’ha definita il rapporto Sigar, redatto proprio per chiarire le spese relative alla ricostruzione in Afghanistan. Un quadro non proprio da favola, insomma. Eppure la “vittoria” economica della società è un dato certo.
(Il Journal)

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