Sono almeno 31 le vittime dell’ultimo attacco di un gruppo jihadista.
Oltre 2700 il bilancio delle vittime di attentati avvenuti da gennaio
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME
Al Qaeda insanguina la vigilia delle elezioni irachene e il premier Nuri Al Maliki ammonisce Riad a “smetterla con le interferenze”: a 72 ore dal voto Baghdad è al centro di una sovrapposizione di conflitti, locali e regionali, tali da evocare lo spettro della guerra civile siriana.
Sono almeno 31 le vittime dell’ultimo attacco del gruppo jihadista “Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” che ha investito un comizio del partito sciita “Asa’ib Ahl al-Haq”, sostenuto dall’Iran e schierato apertamente a favore del presidente siriano Bashar Assad. Portando ad oltre 2700 il bilancio delle vittime di attentati avvenuti da gennaio. La simultaneità fra le tre bombe esplose nella folla e l’immediata rivendicazione jihadista hanno portato il premier, Nuri al-Maliki, a puntare l’indice contro “le interferenze in Iraq da parte dell’Arabia Saudita” pur senza stabilire un legame diretto fra gli attentatori e Riad. Non è la prima volta che al-Maliki imputa alla monarchia wahabita il sostegno a gruppi jihadisti sunniti - lo aveva già fatto in occasione della cattura di Fallujah e Ramadi da parte di Al Qaeda - e ripeterlo a ridosso del voto punta a presentare agli elettori una chiara scelta nelle urne dove la coalizione uscente si erge a garante della stabilità contro le “interferenze esterne”.
I partiti sunniti ribattono che al-Maliki in realtà “difende gli interessi di Teheran” intenzionata ad accrescere la propria influenza sull’Iraq grazie ad una riconferma del premier uscente, che ha già alle spalle due vittorie. In realtà la battaglia per il controllo del Parlamento che si gioca nelle urne del 30 aprile è assai più complessa del duello fra gli interessi contrastanti di Riad e Teheran. In gara ci sono 9200 candidati di 71 partiti aderenti a 36 coalizioni che puntano ad accaparrarsi un numero sufficiente dei 328 seggi in palio per poter riuscire ad eleggere il nuovo governo e premier. Forte del vantaggio numerico degli sciiti - l’etnia di maggioranza relativa - Al Maliki sembra sicuro di poter ottenere dalla consultazione di 21 milioni di elettori la terza vittoria consecutiva, ovvero una conferma della coalizione fra sciiti e curdi che lo sostiene, ma sul fronte opposto a sfidarlo c’è un patto multietnico che vede allineati i suoi maggiori avversari: gli sciiti religiosi di Ammar Hakim e Modqata Al Sadr, gli sciiti laici di Iyad Allawi e i curdi di Masud Barzani. Le ripetute conversazioni telefoniche del vice presidente Joe Biden, nelle ultime settimane, con i maggiori leader sciiti, sunniti e curdi lasciano intendere i timori di Washington per un’elezione dall’esito incerto che potrebbe sancire una spaccatura tale fra sciiti, sunniti e curdi capace di precipitare l’Iraq verso il peggio. In particolare, sono due i pericoli che destano più preoccupazione: l’insoddisfazione della minoranza sunnita, che accusa le autorità centrali di Baghdad di non fare abbastanza per riconquistare le città dell’Anbar catturate dai miliziani jihadisti, e la determinazione dei leader del Kurdistan di iniziare la vendita diretta del proprio greggio - attraverso i porti turchi - senza passare attraverso l’avallo del governo centrale.
(La Stampa esteri)

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