mercoledì 30 aprile 2014
Usa, responsabile di torture in Afghanistan trova rifugio...
Il fedelissimo di Karzai, Haji Gulalai, è sbarcato in California. Nonostante accuse di violenze sui prigionieri.
L'Afghanistan è in attesa del ballottaggio destinato a decidere la successione di Hamid Karzai.
Le elezioni dovrebbero essere una prova per la democrazia nel Paese, di cui gli Usa si sono erti - e non da oggi - a garanti. Eppure ci sono tante ombre che incombono sulla missione americana e su quanto lascia dietro di sé.
Una figura che ne riassume le contraddizioni è Haji Gulalai, vicinissimo a Karzai, noto come «il responsabile per le torture» per la sua attività nel servizio diintelligence afghano accusato di una «sistematica» violazione dei diritti umani. Secondo quanto scrive il Washington Post, Gulalai con la famiglia ha ricevuto però l'asilo politico negli Usa, nonostante gli abusi che ha commesso in Afghanistan, e non senza l'aiuto della Cia, che lo nega.
LA FUGA IN CALIFORNIA. I talebani hanno provato a ucciderlo più volte e anche gli ufficiali dell'Onu hanno cercato di farlo fuori dall'intelligence afghana. Senza mai riuscirci, perché il pashtun Gulalai è sempre stato protetto dal presidente Karzai della sua stessa etnia. Ora l'uomo più temuto dai prigionieri afghani risiede in una casetta rosa di due piani nei dintorni di Los Angeles, in California.
È arrivato negli Usa da alcuni anni e ha ricevuto lo status di residente permanente, l'ultimo passo per avere la cittadinanza. Eppure non parla con nessuno, se non con i suoi connazionali che lo circondano negli States. Uno di loro, Bashir Wasifi, che ha frequentato la scuola nella città di Kandahar insieme a Gulalai negli Anni 60, lo difende. «La sua posizione era crudele ed è per questo che ha fatto delle cose crudeli, ma lui non è così».
UOMO CHIAVE DELL'INTELLIGENCE AFGHANA TARGATA CIA. Gulalai, il cui vero nome è Kamal Achakzai, è stato uno degli uomini chiave che la Cia ha utilizzato nel 2001 per prendere il controllo di Kandahar, la roccaforte dei talebani. Dopo l'11 settembre la Cia ha cercato di creare in Afghanistan un servizio di intelligence che protegesse il governo del Paese dai nemici interni e allo stesso tempo rintracciasse i sostenitori di al Qaeda. Così «dal nulla», come racconta un ex ufficiale dell'intelligence americana, è nata la Direzione nazionale della sicurezza afghana (Nds).
Gli afghani arruolati nel servizio di intelligence venivano addestrati dagli agenti della Cia in pensione. Tra gli insegnamenti erano previsti anche dei corsi sulle leggi contro la tortura. Eppure negli stessi anni la Cia stava creando delle prigioni segrete per i sospettati di al Qaeda che venivano lì sottoposti ai trattamenti violenti, compreso il famigerato waterboarding, la tortura dell'acqua.
ABUSI DI POTERE. Lo stesso Gulalai è accusato dalle vittime delle torture di aver commesso atti di straordinaria brutalità. Mentre un altro ufficiale afghano che ha lavorato con la Nds sostiene che abbia abusato della sua posizione per fare i conti con i suoi nemici tribali e per far arricchire il suo clan.
Alle famiglie dei detenuti veniva chiesto un importante riscatto, mentre le armi confiscate finivano direttamente nella casa di Gulalai. Molti afghani, come il governatore 'ombra' di Kandahar, Abdul Wasay, ucciso ad aprile del 2014 dall'esercito del Paese, si sono schiereati con i talebani, a causa delle persecuzioni subite dai loro familiari da parte di Gulalai.
RESPONSABILE DELLE TORTURE. Eppure nel 2005 è stato promosso all'incarico di capo della direzione investigativa della Nds, ricevendo così il controllo sul principale carcere a Kabul. Un promemoria segereto dell'Onu del 2007 ha parlato di «torture sistematiche», indicando Gulalai come il principale responsabile degli abusi. Tra i suoi metodi c'erano pestaggi con un palo fino a far sgorgare il sangue, privazione del sonno per un periodo fino a 13 giorni, sospensione per dei lunghi periodi di detenuti ammanettati al soffitto.
«La nostra missione ha una contraddizione al suo interno», ha commentato Barnett Rubin, professore di New York University, consigliere del Dipartimento di Stato sull'Afghanistan e il Pakistan. Secondo Rubin, dopo il ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan, «lasceremo un governo profondamente corrotto e pieno di abusi in un territorio nel quale dei membri di al Qaeda praticamente non ce ne sono»
(Lettera 43)
Aleppo....il genocidio continua...
un aereo ha bombardato la scuola primaria "Ain Jalut" nel quartiere di Al-Ansari mentre era in corso una mostra di disegni dedicati alla rivoluzione.
Il bilancio ancora provvisorio è di 19 martiri, soprattutto bambini...
Il bilancio ancora provvisorio è di 19 martiri, soprattutto bambini...
Giordania, il nuovo campo di Azraq accoglierà 130mila profughi siriani...
di Maddalena Goi
Tre anni di guerra civile, oltre 150mila vittime, milioni di profughi e devastazioni. Mentre il conflitto siriano non accenna a trovare alcuna prospettiva di risoluzione, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha accolto con soddisfazione la decisione presa dal Governo dellaGiordania di aprire il terzo campo profughi nel paese dopo quello principale di Zaatari, aperto nel luglio 2012. Il nuovo campo, la cui apertura è prevista per il 30 aprile prossimo, avrà sede adAzraq, a 100 km a est dalla capitale di Amman, nel governatorato di Zarqa e sarà in grado di ospitare circa 130.000 persone su una superficie che si estende per oltre 15km quadrati.
Nel corso della sua storia la Siria ha sempre accettato numerosi profughi; oggi sono i siriani a essere costretti all’esilio e a fuggire dalle loro abitazioni. Dall’inizio del conflitto, più di 4 milioni di persone hanno abbandonato il paese e più di un milione e mezzo di loro è fuggito all’estero, scegliendo come destinazioni Egitto, Libano, Giordania, Iraq e Turchia. Ma è soprattutto la Giordania ad assorbire la maggior parte di profughi e a fare i conti con questa catastrofe umanitaria. Attualmente il Paese ospita più di 600mila rifugiati siriani e il numero di persone che attraversano su base giornaliera i confini della Giordania, è tra le 600 e 800 persone. Un incremento notevole che provoca fortissime pressioni sul campo di Zaatari ormai al collasso, la sua capienza, infatti, prevista per 60mila persone, è ormai notevolmente superata e oggi ospita 120mila siriani. In poco più di un anno la struttura è diventata uno dei più grandi campi profughi al mondo dopo quello di Dadaab, in Kenya, dove vivono quasi mezzo milione di persone.
Il crescente numero di rifugiati siriani nel Regno di Giordania induce molti a credere che la cifra potrebbe presto aumentare, raggiungendo un milione di profughi nel giro di breve tempo, ciò metterebbe a dura prova l’istruzione, i servizi sanitari e le risorse idriche già scarse di uno dei paesi più aridi al mondo. Andrew Harper, il rappresentante dell’UNHCR in Giordania, durante una conferenza stampa ha dichiarato che “questo campo è uno sforzo internazionale in sostegno al governo giordano, ciò che differenzia questo campo rispetto quello di Zaatari è che abbiamo avuto il tempo di prepararlo” e, aggiunge “dobbiamo dire alla Comunità Internazionale che la Giordania non può fare tutto questo da sola, né le agenzie umanitarie possono fare l’impossibile con niente.Il supporto internazionale è stato finora insufficiente. A dicembre abbiamo fatto appello per $1.2 miliardi di dollari in aiuti umanitari, ma finora abbiamo ricevuto solo il 16%”. Per il nuovo campo di Azraq, la Comunità Internazionale ha investito 45 milioni di JOD (dollari giordani), corrispondenti a circa 46 milioni di euro. Un costo che comprende strade, infrastrutture, rifugi, una struttura d’assistenza medica, un ospedale con 130 posti, sistemi per le forniture d’acqua, due scuole, campi da gioco e una stazione di polizia. Il campo potrà accogliere fino a 2mila rifugiati al giorno. Le spese giornaliere da affrontare dipenderanno da quante persone abiteranno il futuro campo. Facendo una stima, usando Zataari come punto di riferimento, i dati dell’UNHCR mostrano che il supporto a 100 mila rifugiati costa in media $400.000/500.000. Al momento sono state completate più di 3000 unità abitative e altre 5300 unità sono in fase di costruzione e saranno completate entro la fine di aprile, assicura l’UNHCR. All’interno del campo sono presenti quattro villaggi e ognuno sarà dotato di strutture capaci di ospitare tra i 10mila e i 15mila rifugiati.
Sono 21 le associazioni, tra agenzie organizzative e umanitarie, coinvolte nella pianificazione del campo in collaborazione col governo. La responsabile per il coordinamento del progetto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Bernadette Castel-Hollingsworth, durante la conferenza stampa ha dichiarato: “il nostro obiettivo comune è quello di fornire ai rifugiati servizi il più possibile vicino alle loro abitazioni. Abbiamo costruito questo sito, in stretta collaborazione con la Direzione dei rifugiati siriani e coinvolgendo la comunità locale di Azraq”.
Inoltre ha aggiunto che faranno di tutto per risparmiare i costi energetici; “abbiamo investito inenergia solare in modo che nel lungo periodo, il consumo di elettricità, non arrivi a un costo così alto come nel campo di Zaatari.” Né il campo, né le abitazioni dei rifugiati sono state dotate di corrente elettrica ma lampioni solari sarebbero sparsi lungo tutta la struttura del campo. Questa scelta si spiega con la volontà di cercare di gestire al meglio il consumo di energia elettrica abbattendo i costi derivati dall’uso della corrente, non solo, Azraq sarà il primo tentativo di“campo verde”. L’UNHCR sta infatti cercando di cambiare direzione e passare all’energia sostenibile (green energy) da diffondere nei campi rifugiati di tutto il mondo, ma questo sarebbe il primo considerata la sua estensione.
L’apertura del nuovo campo profughi di Azraq, avviene sotto gli auspici irriverenti delle nuove elezioni presidenziali confermate dal presidente siriano Bashar Al-Assad per il prossimo 3 giugno.
(Frontierenews.it)
Orrore in Siria. I jihadisti crocifiggono due uomini...
Orrore senza fine in Siria, dove la guerra civile tra regime di Assad e ribelli si macchina di sempre nuovi crimini.
La notizia che ha sconvolto, per l'ennesima volta e purtroppo non per l'ultima, l'opinione pubblica mondiale riguarda l'esecuzione, da parte dei jihadisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, di sette uomini, accusati di essere informatori del governo, nella città di Raqqa.
Di queste sette vittime, rivelano le terribili immagini diffuse da un gruppo dell'opposizione che però si oppone ai terroristi vicini ad al-Qaeda, due sono state crocifisse in pubblico, sotto gli occhi anche di un gruppo di bambini.
"Da un anno – riporta Tempi.it che ha diffuso la notizia in Italia – ormai la città siriana è nelle mani degli islamisti, che hanno instaurato un califfato islamico e imposto la sharia a tutti gli abitanti, musulmani e cristiani".
Croci distrutte e Bibbie bruciate, ma anche per i musulmani la vita nella città non è migliore, con limitazioni alla libertà personale che vanno dal divieto di ascoltare musica alla fustigazione pubblica se non si va in moschea il venerdì.
(Articolo Tre)
Repubblica Centrafricana dimenticata...
La guerra di religione è esplosa quando i Séléka, ribelli musulmani, a marzo dello scorso anno, hanno rovesciato il governo di François Bozizé e insediato Michel Djotodia, primo presidente musulmano a guidare il Paese, a maggioranza cristiana
di Federica Iezzi
Roma, 30 aprile 2014, Nena News – E’ un piccolo paese dell’Africa centro-occidentale, la Repubblica Centrafricana. Nell’ex colonia francese da oltre un anno imperversa una guerra tra milizie islamiche e milizie cristiane. Si contano migliaia di persone mutilate a colpi di machete, ad opera di uomini che usano violenza per sopravvivere. Sconvolte le vite di civili che ancora oggi portano sui loro corpi segni di violenza e di barbarie.
La guerra di religione è esplosa quando i Séléka, ribelli musulmani, a marzo dello scorso anno, hanno rovesciato il governo di François Bozizé e insediato Michel Djotodia, primo presidente musulmano a guidare il Paese, a maggioranza cristiana.
Le milizie di Djotodia hanno via via incrementato le proprie fila con la presenza di soldati jihadisti di Ciad e Sudan. I combattenti islamici dopo aver assunto il controllo del territorio centrafricano hanno irrobustito vigorosamente i numeri di violenze e saccheggi indiscriminati. Loro bersagli principali: civili di religione cristiana e strutture come chiese e ospedali. Hanno dato alle fiamme centinaia di villaggi, torturando, stuprando le donne e uccidendo gli uomini della popolazione a maggioranza cristiana.
Si schierano così contro i Séléka le truppe anti-balaka, a maggioranza cristiana. Si tratta di gruppi esistenti, a livello locale, dal 2009, organizzati per difendere i civili da aggressioni e soprusi. Il risultato di tanta brutalità è una spirale infinita di rappresaglie, mutilazioni, genocidi e pulizie etniche.
All’inizio dell’anno il parlamento della Repubblica Centrafricana ha nominato presidente ad interim Catherine Samba-Panza.
Lo scorso dicembre l’ONU ha dato mandato alla Francia per un intervento militare, destinato a ristabilire l’ordine nel Paese. 1600 soldati francesi, a sostegno della Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine (MISCA), formata da 3.600 soldati, indirizzata a salire a 6000. L’ultima missione di stabilizzazione, denominata MINUSCA, autorizza il dispiegamento di 10.000 soldati e 1.800 agenti di polizia, a partire dal prossimo settembre, che subentreranno alle unità militari del MISCA. Obiettivi: la protezione dei civili e l’allestimento di corridoi umanitari, in modo sicuro e senza ostacoli.
La Repubblica Centrafricana fin dalla sua indipendenza nel 1960 ha vissuto fasi politiche tormentate, tra regimi totalitari e colpi di stato. Le prime elezioni politiche in cui Ange-Félix Patassé diviene presidente sono datate 1993. Da allora instabilità, fino al colpo di stato, 10 anni dopo, in cui il generale François Bozizé prende il controllo del governo. Bozizé rimane il capo indiscusso del Paese fino alla comparsa dei soldati mercenari Séléka.
Oggi le milizie cristiane hanno il controllo di tutte le principali strade del Paese. A rischio la minoranza musulmana della popolazione centrafricana, per l’ondata inarrestabile di omicidi, maltrattamenti e abusi, che sta costringendo intere comunità a lasciare il paese.
Centinaia e centinaia i morti. Solo nell’ultima settimana 600. Sono circa 750 mila gli sfollati interni, 250 mila rifugiati nei paesi confinanti, su una popolazione che non supera i quattro milioni.
Non si arresta l’arrivo nella Repubblica Democratica del Congo (nelle località di Zongo, Libenge e Gbadolite), nel Camerun (a nord nelle località di Mbaimboum e Touboro e nella regione orientale di Lolo) e nel Ciad (nei pressi della località di Bozoum) dei centrafricani in fuga dal quartiere fantasma PK12 (Point Kilométrique 12).
La Repubblica Centrafricana è scivolata prima nel caos, poi nella pulizia etnica dei musulmani. Il genocidio è stato solo schivato, obbligando i civili di fede islamica a fuggire in massa, per mettersi in salvo oltre i confini del Paese.
A Bangui piove senza tregua per giorni. La sera c’è un serrato coprifuoco. Le amministrazioni non funzionano più, banche e stazioni di rifornimento aprono solo un paio d’ore di mattina presto, le scuole sono chiuse. Nelle panchine seminate sulle strade e vicino le università non siedono più studenti che aspettano gli autobus ma giovani soldati che imbracciano kalashnikov.
(Nena News)
Siria, strage di bambini ad Aleppo...
Sulla rete attivisti pubblicano il video dei banchi di scuola ridotti in macerie. Tutte le vittime avevano meno di 15 anni
Aleppo (Siria)È stato un razzo, una granata, forse una bomba a colpire la scuola Golia Ansari nella parte sud di Aleppo: almeno 30 i morti, quasi tutti bambini che erano tra i banchi per le lezioni. L'età degli studenti è tra i 12 e i 15 anni; nella lista delle vittime ci sono anche due ragazzi, di 25 e 26 anni, probabilmente i maestri. Testimoni hanno pubblicato su youtube e su twitter video delle macerie della scuola, immagini tuttavia non direttamente verificabili
Secondo gli attivisti, a distruggere la scuola è stato un attacco aereo ordinato dal governo di Bashar el-Assad. Nei video pubblicati in rete, si vedono i disegni dei bambini appesi alle pareti, oltre ai banchi di scuola distrutti. Il raid è solo l'ultimo di una serie ad Aleppo, una delle città conquistate dai ribelli e più volte riprese dall'esecutivo siriano, proprio con raid aerei che spesso hanno obiettivi civili, come moschee o mercati. Solo la settimana scorsa, un raid in un mercato di verdura ha ucciso 30 persone ad Aleppo; pochi giorni prima, altre 54 sono morte a Damasco e a Homs. Secondo attivisti, migliaia di bambini sono già morti dall'inizio della guerra civile: in tre anni, in tutto sono almeno 150mila vittime e milioni i profughi, sia all'interno del Paese, sia nei campi al di là del confine
(Rai News)
LIBIA, IRRUZIONE ARMATA IN PARLAMENTO....
Era in corso la votazione per designare un nuovo premier. Un portavoce dell'assemblea ha confermato l'irruzione e che nella sparatoria successiva sono rimaste ferite diverse persone.
Uomini armati hanno fatto irruzione nella sede del Congresso Generale Nazionale, il parlamento libico, a Tripoli, che stava votando per designare un nuovo premier, costringendo l'assemblea a interrompere i lavori. Ci sarebbero anche feriti, come riporta la Bbc.
LA CONFERMA Un portavoce dell'Assemblea libica, Omar Hmeidan, ha confermato ai media internazionale l'irruzione di uomini armati nella sede del Parlamento a Tripoli. Ha confermato anche che nella sparatoria successiva sono rimaste ferite diverse persone. Secondo testimoni, "i deputati sono fuggiti dall'edificio".
LA RICOSTRUZIONE Secondo il sito libico "al Wasat", ad aprire il fuoco sarebbero stati uomini di Mohammed al Orabi, noto col nome di battaglia di Boca, dopo un diverbio con il favorito tra i candidati a premier, Ahmed Maiteeq. Al Orabi ha aperto il fuoco davanti al parlamento mentre altri miliziani hanno invitato tutti ad uscire dalla Camera sostenendo di "non essere responsabili per la loro vita". Per allontanare questi miliziani sono intervenuti gli uomini delle milizie di Misurata e al termine dello scontro si sono registrati diversi feriti. Per l'agenzia di stampa libica "Lana", poco prima della sparatoria era scoppiato un diverbio nell'aula per le modalità di votazioni scelte per nominare il nuovo premier, avendo deciso il parlamento di votare a maggioranza semplice, cosa contestata dai deputati liberali che ritengono sia necessario, per rispettare la Costituzione, votare con una maggioranza di due terzi
LA CONFERMA Un portavoce dell'Assemblea libica, Omar Hmeidan, ha confermato ai media internazionale l'irruzione di uomini armati nella sede del Parlamento a Tripoli. Ha confermato anche che nella sparatoria successiva sono rimaste ferite diverse persone. Secondo testimoni, "i deputati sono fuggiti dall'edificio".
LA RICOSTRUZIONE Secondo il sito libico "al Wasat", ad aprire il fuoco sarebbero stati uomini di Mohammed al Orabi, noto col nome di battaglia di Boca, dopo un diverbio con il favorito tra i candidati a premier, Ahmed Maiteeq. Al Orabi ha aperto il fuoco davanti al parlamento mentre altri miliziani hanno invitato tutti ad uscire dalla Camera sostenendo di "non essere responsabili per la loro vita". Per allontanare questi miliziani sono intervenuti gli uomini delle milizie di Misurata e al termine dello scontro si sono registrati diversi feriti. Per l'agenzia di stampa libica "Lana", poco prima della sparatoria era scoppiato un diverbio nell'aula per le modalità di votazioni scelte per nominare il nuovo premier, avendo deciso il parlamento di votare a maggioranza semplice, cosa contestata dai deputati liberali che ritengono sia necessario, per rispettare la Costituzione, votare con una maggioranza di due terzi
(Cadi in Piedi)
Iraq, Medici Senza Frontiere: 380mila persone in fuga dalle violenze nella provincia di Anbar...
Nell’ultimo mese, secondo l'organizzazione, più di 18mila persone si sono rifugiate a Tikrit, la capitale della vicina provincia di Salah al-Din ma, nonostante gli sforzi della comunità locale per accoglierli, le loro condizioni di vita restano molto dure. Medici Senza Frontiere lavora per assisterli. A sostegno delle vittime di violenza in Iraq e in altri Paesi, anche un progetto ad Ammam lanciato da Medici Senza Frontiere nel 2006
Hanno ferite e ustioni, soffrono di stress psicologico legato al conflitto, hanno perso tutto e vivono come sfollati. Sono le persone in fuga dalla provincia di Anbar, nella zona occidentale dell’Iraq, dove le violenze – secondo Medici Senza Frontiere (MSF) – hanno costretto circa 380mila abitanti a fuggire dalle loro case. Violenze che hanno colpito soprattutto le città di Fallujah e Ramadi, dove sono scoppiati numerosi scontri dalla fine dello scorso anno. Nell’ultimo mese, più di 18mila persone si sono rifugiate a Tikrit, la capitale della vicina provincia di Salah al-Din ma, nonostante gli sforzi della comunità locale per accoglierli, le loro condizioni di vita restano molto dure. “Le persone arrivano con pochissimi averi” dichiara Fabio Forgione, Capo missione per Medici Senza Frontiere in Iraq. L’organizzazione lavora nel Paese dal 2006. “La maggior parte si è rifugiata nelle scuole e nelle moschee abbandonate. Il fatto che probabilmente saranno sfollati per un certo periodo di tempo peggiora le loro già difficili condizioni di vita.” A Tikrit l’équipe di MSF sta lavorando con le autorità locali, religiose e i leader comunitari per distribuire coperte e kit per l’igiene a 15.000 sfollati, mentre pianificano come rispondere al meglio ai loro bisogni medici in un contesto estremamente insicuro. Il progetto di assistenza ad Ammam Le vittime delle violenze in Iraq possono trovare assistenza anche ad Amman, in Giordania, dove dal 2006 – secondo Medici Senza Frontiere, più di 2000 persone provenienti dall’Iraq (297 solo da Anbar) hanno ricevuto supporto grazie al progetto di chirurgia ricostruttiva dell’organizzazione, che offre interventi di chirurgia ortopedica, maxillofacciale e plastica ma anche fisioterapia e supporto psicosociale, così come l’alloggio durante il ricovero dei pazienti. La testimonianza del medico iracheno Ali Al-Ani Tra i medici che partecipano a questo progetto c’è l’iracheno Ali Al-Ani, Chirurgo Ortopedico. “I nostri pazienti sono vittime del conflitto nella regione – racconta - Per i primi due anni del progetto, abbiamo ricevuto solo pazienti dall’Iraq. Nel 2008, ci siamo ingranditi e abbiamo iniziato ad accogliere pazienti da altri paesi colpiti dalla violenza nella regione, come Gaza, Yemen e Siria. La maggior parte dei casi con i quali abbiamo a che fare sono complessi”. Nel corso della sua esperienza di storie Ali Al-Ani ne ha viste tante. Ma una più delle altre gli è rimasta nel cuore. È quella di un bambino iracheno di 7 anni, di nome Wael, curato nell’ambito del progetto nel 2009. “Wael stava andando a visitare suo nonno, sulla strada è esplosa una bomba – racconta il medico-. Sua madre muore e Wael viene gravemente ferito. Perde la sua gamba destra e la sinistra viene gravemente danneggiata. Nonostante la complessità degli interventi, durante il corso delle varie operazioni l’équipe chirurgica è stata in grado di ricostruire la sua gamba abbastanza da poter sopportare il peso del corpo, per attaccare la protesi, e per fare in modo che Wael possa camminare di nuovo”. Ma, nonostante le cure, non mancano le difficoltà per chi torna in Iraq. “La difficoltà è l’accesso ai trattamenti post-operatori una volta tornati a casa – spiega Ali Al-Ani - Questo include supporto psicosociale e fisioterapia. Nonostante cerchiamo di ultimare il trattamento ad Amman, queste ferite spesso richiedono chirurgia di follow-up e questo è un grande problema”
(Rai News)
Siria, attivisti: "Oltre 30 bambini uccisi in serie di raid aviazione su Aleppo"...
Damasco - (Adnkronos) - Lo riferiscono attivisti dell'opposizione al presidente Bashar al Assad citati dall'emittente satellitare 'al-Jazeera'. Gli aerei militari avrebbero preso di mira una scuola del quartiere 'al Ansari'
Sud Sudan choc, novemila bambini soldato...
Lo denuncia l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay: "Allibita per l'apparente mancanza di preoccupazione circa il rischio della carestia da parte entrambi i leader", di governo e forze ribelli
Juba (Sud Sudan)Non solo il rischio di carestia, c'è un altro orrore in Sud Sudan: "Novemila bambini che combattono tra le fila dei due schieramenti in campo, che da metà dicembre si fanno la guerra". A denunciarlo è l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, che si dice "inorridita" per l'indifferenza delle istituzioni.
Scuole occupate dai soldati, donne violentate
Secondo Pillay 32 scuole sono nelle mani delle truppe dei due schieramenti e numerose donne e ragazze sono state violentate o rapite. "La prospettiva di infliggere la fame e la malnutrizione su larga scala a centinaia di migliaia di loro concittadini non sembra toccarli in modo particolare", ha detto il commissario, riferendosi all'atteggiamento del presidente Salva Kiir e il suo ex vicepresidente Riek Machar.
L'appello dell'Onu
Intanto il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto al presidente del Sud Sudan Kiir di metter fine alla "campagna negativa" contro i peacekeeper. Ban ki-Moon ha quindi chiesto una ''fine immediata dei combattimenti e delle uccisioni dei civili sudsudanesi''. Le violenze scoppiate a Juba il 15 dicembre tra l'esercito di Kiir e i ribelli fedeli all'ex vice presidente Riek Machar ed estesesi poi al resto del Paese hanno causato la morte di migliaia di persone, mentre oltre un milione sono state sfollate.
(Rai news)
Scuole occupate dai soldati, donne violentate
Secondo Pillay 32 scuole sono nelle mani delle truppe dei due schieramenti e numerose donne e ragazze sono state violentate o rapite. "La prospettiva di infliggere la fame e la malnutrizione su larga scala a centinaia di migliaia di loro concittadini non sembra toccarli in modo particolare", ha detto il commissario, riferendosi all'atteggiamento del presidente Salva Kiir e il suo ex vicepresidente Riek Machar.
L'appello dell'Onu
Intanto il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto al presidente del Sud Sudan Kiir di metter fine alla "campagna negativa" contro i peacekeeper. Ban ki-Moon ha quindi chiesto una ''fine immediata dei combattimenti e delle uccisioni dei civili sudsudanesi''. Le violenze scoppiate a Juba il 15 dicembre tra l'esercito di Kiir e i ribelli fedeli all'ex vice presidente Riek Machar ed estesesi poi al resto del Paese hanno causato la morte di migliaia di persone, mentre oltre un milione sono state sfollate.
(Rai news)
martedì 29 aprile 2014
Siria: una sessantina di morti a Homs e Damasco...
Non c‘è tregua per la Siria. Oltre una sessantina di persone sono state uccise in due attentati in zone filo-governative di Homs e Damasco. L’attacco più sanguinoso a Homs dove oltre quaranta persone sono state uccise e più di cento ferite. Due autobomba sono saltate in aria, la seconda quando erano già accorsi i soccorritori.
A Damasco l’agenzia ufficiale riporta almeno 14 morti e un’ottantina di feriti. La maggior parte delle vittime sarebbero studenti di un istituto di scienze finito nel mirino.
Questi attacchi erano stati preceduti da bombardamenti del regime sulla città di Aleppo.
La nuova ondata di violenze giunge in piena fase di registrazione dei candidati per le presidenziali del 3 giugno. Gli attacchi coincidono anche con l’annuncio di un’inchiesta sul presunto utilizzo di cloro e ammoniaca da parte delle forze di Bashar al Assad.
(euronews)
Usa, pena di morte mal riuscita: condannato muore tra i tormenti...
In Oklahoma Clayton D. Lockett ha fatto una fine terribile a causa della rottura della vena nella quale gli stavano iniettando il mix letale: l'uomo è morto per un attacco cardiaco al termine di un'atroce agonia
E' finita nella maniera più terribile l'esecuzione di una pena di morte nel carcere di McAlester, in Oklahoma. Un uomo di colore, di nome Clayton D. Lockett, ha fatto una fine atroce a causa della rottura della vena in cui gli stavano iniettando il mix letale di veleni. L'uomo è morto per un attacco cardiaco tra tormenti indicibili. Una seconda esecuzione che era in programma è stata quindi sospesa.
Una scena degna del peggior film horror, una cosa simile a quanto si vedeva ne "Il miglio verde" di Stephen King, anche se in quel caso di trattava di una condanna eseguita con sedia elettrica.
Tutto sembrava filare liscio: iniettato l'anestetico, il prigioniero era stato dichiarato dai medici presenti oramai privo di sensi. Ma quando è iniziata la somministrazione del primo dei due farmaci letali il corpo dell'uomo ha cominciato improvvisamente a muoversi, i suoi piedi e le sue braccia ad agitarsi. Dalla sua bocca e' cominciato fuoriuscire un lamento sempre piu' forte. Con uno scatto Clayton ha tentato anche di sollevarsi, inutilmente. In una situazione di caos e per certi versi di panico, i medici e gli addetti del carcere hanno quindi abbassato la tenda davanti al vetro dietro al quale c'erano i testimoni. Questi ultimi hanno solo potuto ascoltare l'urlo violento con cui l'uomo ha esalato l'ultimo respiro, ucciso da un attacco cardiaco.
A questo punto la seconda esecuzione e' stata rinviata. Per almeno 14 giorni, hanno informato i dirigenti del penitenziario, che ora avvieranno un'indagine per capire cosa e' successo e perché. Ma di sicuro la morte di Clayton è destinata a sollevare polemiche, in una fase in cui ricorrere alla pena di morte nei vari stati Usa che lo permettono è diventato sempre piu' difficile. Questo anche per la decisione di molti Paesi europei di vietare l'esportazione dei farmaci letali, le cui scorte stanno per esaurirsi, costringendo anche a realizzare mix letali "meno efficaci". Tanto che qualcuno - forse una provocazione, ma non troppo - ha già proposto un ritorno alla sedia elettrica.
Tutto sembrava filare liscio: iniettato l'anestetico, il prigioniero era stato dichiarato dai medici presenti oramai privo di sensi. Ma quando è iniziata la somministrazione del primo dei due farmaci letali il corpo dell'uomo ha cominciato improvvisamente a muoversi, i suoi piedi e le sue braccia ad agitarsi. Dalla sua bocca e' cominciato fuoriuscire un lamento sempre piu' forte. Con uno scatto Clayton ha tentato anche di sollevarsi, inutilmente. In una situazione di caos e per certi versi di panico, i medici e gli addetti del carcere hanno quindi abbassato la tenda davanti al vetro dietro al quale c'erano i testimoni. Questi ultimi hanno solo potuto ascoltare l'urlo violento con cui l'uomo ha esalato l'ultimo respiro, ucciso da un attacco cardiaco.
A questo punto la seconda esecuzione e' stata rinviata. Per almeno 14 giorni, hanno informato i dirigenti del penitenziario, che ora avvieranno un'indagine per capire cosa e' successo e perché. Ma di sicuro la morte di Clayton è destinata a sollevare polemiche, in una fase in cui ricorrere alla pena di morte nei vari stati Usa che lo permettono è diventato sempre piu' difficile. Questo anche per la decisione di molti Paesi europei di vietare l'esportazione dei farmaci letali, le cui scorte stanno per esaurirsi, costringendo anche a realizzare mix letali "meno efficaci". Tanto che qualcuno - forse una provocazione, ma non troppo - ha già proposto un ritorno alla sedia elettrica.
(TGCOM24)
In arrivo 800mila migranti «L’Italia rischia il collasso»...
L’invasione è la conseguenza della Primavera Araba
L’Egitto in subbuglio. Soltanto ieri sono state emesse le condanne per oltre 600 persone. Prima Mubarak, poi la Primavera Araba, infine Morsi. Dopo la Libia di Gheddafi, e la Tunisia, l’esplosione di manifestazioni si è allargata a macchia d’olio, arrivando anche in Egitto, con la capitolazione di numerosi leader. O dittatori. Fatto sta che il nordafrica, dopo un afflato di ribellione, ha iniziato il lungo viaggio verso l’Europa. Il Viminale, ora, lancia l’allarme. Sono 800mila, «se non di più», le persone pronte a partire dalle coste nordafricane verso l’Europa.
A dirlo è Giovanni Pinto, direttore centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere presso il ministero dell’Interno, audito dalle commissioni riunite Esteri e Difesa di palazzo Madama. Che avverte: «Il sistema dell’accoglienza è al collasso, non abbiamo più luoghi dove portare i migranti e le popolazioni locali, non solo quelle siciliane, sono diciamo così "indispettite" da questi nuovi arrivi che disturbano anche le attività ordinarie». «L’Europa deve sapere che l’Italia è un Paese accogliente, ma non possiamo accogliere tutti». Così si è espresso il ministro dell’Interno Angelino Alfano, intervistato da Uno Mattina. Il responsabile dell’Interno ha rimarcato come siano stati «arrestati già circa 200 scafisti. Per i mercanti di morte in Italia c’è l’arresto e la condanna». Il problema è molto delicato e balza agli occhi, soprattutto dopo le polemiche che hanno riguardato i barconi affondati al largo delle coste siciliane. E dopo le proteste delle «bocche cucite» del Cie i video girati dai detenuti stessi. Una lezione di solidarietà la continua a dare Lampedusa, votata al Nobel della Pace, e alla «catena umana» di Siracusa: semplici bagnanti che hanno aiutato gli extracomunitari. E mentre la Lega minaccia querele (e indirizzate ad Alfano e al premier Renzi!), su internet ci sono il fior fior di video, soprattutto delle forze dell’ordine, che denunciano lo stato dei migranti e la condizione dei scafisti.
Simona Caporilli
(Il Tempo.it)
L’appello dei famigliari di Padre Paolo Dall’Oglio, a nove mesi dal sequestro...
dal blog di ASMAE DACHAN
“A nove mesi dal sequestro del gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, i familiari fanno un appello per la sua libertà: «Chiediamo a chi lo detiene di dare a Paolo la possibilità di tornare alla sua libertà e ai suoi cari e a tutte le istituzioni di continuare ad adoperarsi in tal senso».
Father Paolo’s family is calling for his release, 9 months after he was abducted in Raqqa, Syria.
نداء من عائلة الأب باولو من أجل إطلاق سراحه بعد مرور تسعة أشهر على اختطافه في مدينة الرقّة في سوريا
Neuf mois après l’enlèvement du jésuite italien le Père Paolo Dall’Oglio, enlevé en Syrie le 29 Juillet 2013, les membres de sa famille font un appel pour sa libération: «Nous demandons à ceux qui le détiennent de donner à Paolo la possibilité de reprendre sa liberté et de revenir à ses proches, et à toutes les institutions de continuer à travailler dans ce sens».*
Neuf mois après l’enlèvement du jésuite italien le Père Paolo Dall’Oglio, enlevé en Syrie le 29 Juillet 2013, les membres de sa famille font un appel pour sa libération: «Nous demandons à ceux qui le détiennent de donner à Paolo la possibilité de reprendre sa liberté et de revenir à ses proches, et à toutes les institutions de continuer à travailler dans ce sens».*
*Dalla pagina Facebook di Ziad Majed
Libertà per Padre Paolo, libertà per tutte le persone sequestrate in Siria, libertà per tutti gli innocenti nelle carceri del regime siriano.
Il popolo siriano è uno, il popolo della rivolta contro il regime è un popolo di pace, rispetto e convivenza.
Padre Paolo è uno di noi, un italo-siriano, uomo di dialogo, di coraggio. Un uomo di pace.
Siria, strage di bambini alla tendopoli di Qah. Colpita una scuola...
dal blog di ASMAE DACHAN
27 aprile 2014 – Qah
Di fronte al genocidio di un intero popolo è difficile stilare una classifica dei crimini peggiori. E’ difficile stabilire se sia peggio il bombardamento di un ospedale o di un quartiere residenziale: le vittime sono sempre e comunque le stesse, civili inermi colpiti in luoghi che dovrebbero essere inviolabili. Inviolabili dovrebbero essere anche i campi profughi e le tendopoli che accolgono sfollati interni, quelle persone cioè, che hanno perso tutto e che non hanno più un posto dove andare. Quelle interminabili distese di teloni di plastica che fungono da casa, ospedale, scuola e che, ormai da tre anni, sono diventate l’unico “rifugio” per milioni di persone vengono sistematicamente bombardati.
E’ successo anche domenica 27, un Mig ha bombardato i campi nella periferia di Idlib, tra cui il campo di Qah, provocando la morte di almeno 5 bambini. Una giovane di questa tendopoli, raggiunta telefonicamente, ha dichiarato:
“Era mattina, nella baracca che ospita la scuola c’erano decine di bambini. Io e le altre insegnanti stavamo facendo lezione, contente di aver finalmente ripreso possesso di quel luogo, che ci era stato affidato due anni fa ma che, a causa del continuo arrivo di famiglie sfollate, avevamo dovuto abbandonare per far spazio ai nuovi arrivati. Solo pochi giorni fa le famiglie a cui avevamo ceduto la scuola avevano trovato una nuova sistemazione e noi avevamo ripreso con le lezioni. A un certo punto abbiamo sentito un aereo, ma non abbiamo neppure avuto il tempo di reagire, che la bomba è esplosa proprio sulla nostra scuola. Ci è caduto addosso di tutto, c’era fumo ovunque. Sono morti sul colpo cinque bambini; i loro corpi a brandelli erano lì davanti ai loro compagni, davanti a tutti noi. Siamo rimasti tutti feriti, storditi, ma noi maestre abbiamo cercato di portare via i bambini che, guardando i loro amici, hanno avuto reazioni terribili. C’è chi è svenuto, c’è chi si è messo a piangere e urlare. Non so quanto sia durato tutto. So solo che i nostri piccoli scolari sono stati colpiti mentre cercavano di studiare; alcuni hanno perso la vita su quei banchi. Non posso descrivere la reazione dei genitori… La disperazione ha preso possesso di tutti gli abitanti della tendopoli: come si può accettare che degli angeli muoiano così? Come si può accettare che vengano bombardate delle tendopoli? Ora molti dicono che vogliono fuggire, andare ad Atma. Altri vogliono raggiungere la Turchia. C’è chi vuole ritornare al villaggio, anche se sa che non c’è più nulla, ma tanto vale morire sulle macerie della propria casa che in una tenda. I bambini feriti sono traumatizzati e non c’è un ospedale dove portarli. Sono stati soccorsi in un ospedale da campo e riportati alle rispettive tende. Forse le ferite del cuore sono peggiori di quelle dei corpi. Una della bambine, che a scuola era la più brava, è in fin di vita. Il dolore è atroce… ma ci fa ancora più male quello che hanno detto i giornali del regime: “bombardata una base di Al-Nusra”. La nostra scuola in una baracca all’interno di una tendopoli spacciata per un covo di milizie armate. Le uniche armi dei nostri scolari sono la voglia di vivere e di imparare”.
Rapimento in massa di liceali nigeriane “Mogli per gli islamisti di Boko Haram”...
Costrette a sposare i militanti del gruppo che inneggia alla morte dell’Occidente, le ragazze sarebbero state portate in Ciad o in Camerun. Domani un milione di donne nigeriane marceranno nelle strade di Abuja per chiederne la liberazione
Duecento studentesse nigeriane sono state rapite dagli uomini di Boko Haram, costrette a sposare membri del gruppo islamista e poi condotte in Ciad o in Camerun. Lo scrive il quotidiano nigeriano online Daily Trust, secondo il quale i militanti hanno pagato ai rapitori una dote di 2mila naira (12,4 dollari) per sposare ciascuna ragazza. Le studentesse, di età fra i 15 e i 18 anni, sono stati rapite il 14 aprile dagli alloggi del collegio di Chibook nello stato nord orientale di Borno. Una quarantina di ragazze sono riuscite a liberarsi, ma più di 200 mancano all’appello.
Pogu Bitrus, leader del consiglio degli anziani di Chibook, ha detto che i matrimoni sono stati celebrati al confine fra Nigeria e Camerun. Poi le ragazze hanno dovuto traversare il lago Ciad per arrivare in Ciad e Camerun. Una di loro è stata vista in una città di confine con il militante che ha sposato, mentre testimoni hanno riferito che molte altre si trovano nella zona del Camerun dove opera Boko Haram. «Teniamo conto di tutte le informazioni nell’ambito dello sforzo per la salvezza e la liberazione delle ragazze», ha detto al Daily Trust il portavoce dell’esercito Chris Olukolade. Il gruppo Boko Haram, il cui nome significa ”vietato tutto cio che è occidentale”, vuole creare uno stato islamico in Nigeria dove ha ucciso migliaia di persone fin dalla sua creazione nel 2009.
Circa un milione di donne nigeriane, vestite di rosso, marceranno mercoledì per le strade di Abuja per chiedere la liberazione delle liceali rapite . L’iniziativa è stata organizzata dalla moglie del governatore del Borno, Hajiya Nana Kashim Shettima, che ha chiamato in piazza tutte le mogli dei funzionari della regione, sia federali che a livello locale, per aumentare il pressing sui propri mariti affinché risolvano la situazione. «Mettiamo da parte tutte le differenze - ha detto la donna - di fede, etniche, prendiamoci tutte per mano per liberare queste ragazze». Alla marcia parteciperanno numerose associazioni locali di donne musulmane e cristiane. Secondo le voci circolate le ragazze sarebbero ancora nella foresta di Sambisa, vicino al confine con il Camerun. Secondo la denuncia dei genitori sarebbero ancora in 234 nelle mani dei sequestratori
(La Stampa Esteri)
Rapporto sulle uccisioni e le torture inflitte dall’occupazione a ragazzini palestinesi durante il 2013...
Rapporto sulle uccisioni e le torture inflitte dall’occupazione a ragazzini palestinesi durante il 2013
Infopal 29/4/2014
Ramallah-Quds Press. Nel suo rapporto annuale, il dipartimento dell’Organizzazione Mondiale per la Difesa dei Bambini dedicato alla Palestina ha rivelato che l’anno scorso le forze d’occupazione israeliane hanno ucciso 31 bambini. Di essi, 5 sono stati uccisi volontariamente mentre gli altri 26 sono morti a causa dell’uso sconsiderato delle armi da fuoco da parte dei soldati di Tel Aviv.
Il rapporto sottolinea come nel 2013 si sia assistito ad un aumento rilevante nel numero degli attacchi sferrati dai coloni israeliani ai danni dei civili palestinesi nei Territori occupati. Tale pratica ha ormai assunto i tratti di una consuetudine giornaliera che ha comportato, nel 2013, il ferimento di 51 bambini palestinesi. Altri 162 sono stati feriti dalle forze d’occupazione.
Si documentano, inoltre, 92 casi di tortura e maltrattamento arrecati a bambini palestinesi (in stato d’arresto o meno) dai soldati dell’occupazione. Un paio di bambini sono stati addirittura usati come scudi umani per proteggere i militari israeliani dal lancio di pietre: è questa una pratica del tutto contraria ai diritti internazionali e persino alla stessa legislazione israeliana. Illegale è stata anche la demolizione, documentata nel rapporto, di cinque abitazioni di civili palestinesi nella Striscia di Gaza e nella città di Gerusalemme.
Il rapporto documenta, inoltre, 9 attacchi sferrati a scuole, e il caso di 7 ragazzini costretti a lavorare in condizioni insostenibili.
Traduzione di Giuliano Stefanoni
Vivere con i " Barili della Morte "...75 terribili secondi per non Dimenticare...(Video)
Morire a causa dei barili della morte...uomini...donne...bambini...vittime innocenti della furia omicida...
Lo Yemen e la guerra ad Al Qaeda...
La Repubblica unita dello Yemen ha deciso di riprendere con forza la guerra contro i miliziani di Al Qaeda che da due anni sono tornati ad occupare alcune città del paese
L’esercito yemenita ha lanciato un’offensiva di terra contro Al Qaida in diverse zone del sud del paese. Lo riferiscono fonti militari. L’operazione arriva dieci giorni dopo una serie di raid aerei che, secondo l’esercito, hanno ucciso una sessantina di terroristi. «L’offensiva proseguirà fin quando tutte le località non saranno bonificate dai miliziani di Al Qaida», aggiungono le fonti. Le province toccate dall’operazione dell’esercito sono Abyane e Chabwa.
Le truppe yemenite, spalleggiate da alcune milizie locali, si sono mosse verso le citta di Ahwar, Al-Mahfad, Azzan, Al-Houta, Al-Rawda e Al-Saeed.
Dopo essere stati cacciati nel 2002, i miliziani di Al-Qaeda nella Penisola araba hanno nuovamente stabilito le proprie roccaforti nelle province di Abyan e Shabwa nel 2012.
(Il Journal)
Congo: la società civile denuncia il traffico di esseri umani, soprattutto bambini...
Una rete di trafficanti di esseri umani, la maggior parte dei quali sono bambini, opera a Goma, capoluogo del Nord Kivu (nell’est della Repubblica Democratica del Congo). Lo denuncia, all’agenzia Fides, il Coordinamento della società civile del Nord Kivu. “Il metodo utilizzato da questa rete è semplice” afferma la nota. “I suoi membri utilizzano diverse strategie e astuzie per catturare le loro vittime. Organizzano molteplici sessioni di lavaggio del cervello delle vittime e, viste le loro condizioni economiche precarie, promettono una vita migliore”.
Le persone finite nella rete di trafficanti vengono condotte nel territorio di Beni (sempre nel Nord Kivu) “per scopi che non sono ancora precisamente conosciuti”, afferma la nota, che aggiunge: “tutto porta a credere che la loro destinazione sia la zona ancora sotto controllo dell’Adf, Allied Democratic Forces”. L’Adf è un gruppo di guerriglia di origine ugandese che da tempo si è installato nel nord-est della Rdc, dove compie razzie e violenze contro i civili locali. L’esercito congolese, con l’appoggio delle truppe Onu, sta conducendo una serie di offensive militari per rendere inoffensivo questo gruppo di guerriglia, uno dei molteplici gruppi armati che opera nella provincia congolese.
La società civile del Nord Kivu chiede che siano rafforzati i controlli di polizia e di frontiera e che la magistratura indaghi a fondo per stroncare la rete di trafficanti. (R.P.)
Radio Vaticana
Afghanistan: attacco talebano nell'est, morti 49 insorti e 5 soldati...
Kabul, 29 apr. - (Adnkronos/Aki) - Sono 49 i talebani e cinque i soldati afghani che hanno perso la vita in un attacco degli insorti a Paktiya, provincia dell'Afghanistan orientale. Il generale Mohammad Zahir Azimi, portavoce del ministero della Difesa, ha scritto sul suo account Twitter che "oltre 500 insorti hanno attaccato l'esercito dopo che un'operazione e' stata lanciata nella provincia di Paktiya. Quarantanove militanti e cinque soldati sono stati uccisi", mentre un altro soldato e' stato catturato dai Talebani.
Uganda: non solo Ebola, nuovo virus non ancora identificato nel nord-ovest..
Iraq: sangue sulle elezioni politiche...
L’ultimo attacco in ordine di tempo, con due ordigni fatti esplodere vicino a un mercato ortofrutticolo a Saadiyah, città a 140 chilometri a nord est di Baghdad, ha provocato almeno 11 morti e diversi feriti. Ieri 57 le persone uccise di cui una trentina a Khanaqin, città del Kurdistan iracheno, in un’azione kamikaze rivendicata dallo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, gruppo legato ad al Qaeda. Il voto del 30 aprile un referendum pro o contro il premier in carica, lo sciita Nouri al Maliki
La violenza assassina è la vera protagonista della vigilia delle elezioni politiche in Iraq del 30 aprile che si prefigurano sempre più come una sorta di referendum sul premier in carica, lo sciita Nouri al Maliki, che coinvolge 22 milioni di elettori chiamati alle urne. I morti negli attentati in diverse parti del Paese si contano a decine. L’ultimo attacco, in ordine di tempo, a Saadiyah, città a 140 chilometri a nord est di Baghdad, è costato almeno 10 vite umane falciate dall’esplosione di due ordigni piazzati vicino a un mercato ortofrutticolo nei pressi della città.
Ieri, una trentina le vittime a Khanaqin, nel Kurdistan iracheno, causate da un kamikaze che si è fatto esplodere in mezzo a un gruppo di curdi che festeggiavano l'apparizione in una tv locale del presidente dell'Iraq Jalal Talabani, anch'egli curdo, che si trova in Germania dal 2012 per ricevere cure mediche. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, gruppo legato ad al-Qaeda. La rivendicazione è stata fatta su uno dei profili Twitter usati dal gruppo, ma la sua autenticità non è stata appurata, benché il suo stile sia simile a quello di altre fatte in passato e confermate.
La tornata elettorale alle porte per il rinnovo del Parlamento iracheno costituirà un passaggio chiave per il futuro del paese mediorientale. Il voto di mercoledì sembra profilarsi come una sorta di referendum nei confronti del premier, lo sciita Nouri al Maliki, emerso negli ultimi anni come vero protagonista della vita politica. La sua coalizione, ‘Stato di diritto’, include 12 tra partiti e movimenti, tra cui il ‘Dawa’ guidato dallo stesso Maliki, l'’Organizzazione Badr’, il Blocco indipendente del vice premier Hussein al Sharistani, e altre formazioni minori.
La lotta al terrorismo è uno dei temi su cui Maliki ha più insistito in campagna elettorale. Gli avversari politici del capo del governo, sia nell'universo sunnita che in quello sciita, accusano Maliki di aver contribuito al degenerare della situazione a causa delle politiche settarie e di accentramento del potere poste in essere dopo aver assunto la guida dell'esecutivo di Baghdad. Oltre ai continui attentati in praticamente tutte le regioni del Paese, la principale emergenza è costituita dall'avanzata delle milizie qaediste dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) nella regione a maggioranza sunnita di al Anbar, al confine con la Siria.
Il fronte politico sunnita appare, anche per una sorta di disaffezione nei confronti delle dinamiche politiche di Baghdad, non meno coeso di quanto non fosse in occasione delle precedenti tornate elettorali. I sunniti accusano Maliki di aver condotto negli ultimi anni una sistematica campagna di "desunnificazione" dell'Iraq. I partiti sunniti non sono riusciti tuttavia a coordinarsi per consentire la nascita di un forte movimento dell'opposizione, in particolare a causa dei diversi orientamenti ideologici e delle aspirazioni politiche individuali.
Rispetto alle scorse elezioni parlamentari, mancherà una forte coalizione quale ‘al Iraqiya’. Il movimento di Allawi, ribattezzato Wataniyya, concorrerà alla competizione elettorale da solo, così come faranno i suoi ex alleati sunniti: è il caso del presidente del Parlamento, Osama al Najafi, leader del movimento Mutahhidun, e del blocco Arabiyya del vicepremier Saleh al Mutlaq.
Le autorità irachene hanno annunciato la chiusura dello spazio aereo in vista delle elezioni parlamentari di mercoledì. Lo spazio aereo, fa sapere il governo, sarà riaperto soltanto dopo la chiusura dei seggi mercoledì sera. La decisione fa parte di una serie di misure di sicurezza adottate in vista del voto, il primo dal ritiro delle truppe statunitensi dal Paese. L'intera settimana delle elezioni è stata dichiarata infatti festa nazionale, in modo da svuotare le strade e permettere alle forze dell'ordine di raggiungere rapidamente i luoghi di eventuali attacchi. A Baghdad in vigore il divieto per 24 ore di uso di veicoli a motore fino a mercoledì sera. Le autorità temono soprattutto che militanti sunniti possano prendere di mira seggi elettorali.
(Rai Giornaleradio)
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