giovedì 31 luglio 2014

Crisi Ucraina, filorussi: chi comanda...





Donetsk è in mano al duo Pushilin-Borodai. Ma l'uomo chiave è Strelkov. Ex agente dei servizi militari. Vicino a Mosca.

IDENTIKIT

da Odessa

L'11 agosto le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk compiono tre mesi di vita. Novanta giorni sono passati dai referendum per l’indipendenza tenutisi a maggio. Quelli programmati per l’annessione a Mosca, sul modello della Crimea, sono andati invece persi, un po’ perché lo stesso Vladimir Putin aveva sconsigliato la cosa, un po’ perché la crisi militare stava già sopravvenendo, superando quella politica.
Denominata Ato dal governo di Kiev, la cosiddetta Operazione Antiterrorismo è sfociata in un vero e proprio conflitto armato. Novanta giorni di guerra hanno dimostrato in vario modo il legame tra la galassia separatista ucraina e la Russia, simboleggiato dai vari leader alla testa sia di alcuni gruppi armati, sia delle nuove strutture istituzionali, o comunque considerate tali, delle due entità del Donbass che la comunità internazionale non riconosce.
GUBAREV, ARRESTATO E RILASCIATO DALL'SBU. Durante la prima fase separatista spontanea, quella immediatamente successiva al crollo a febbraio del regime di Victor Yanukovich, è stato Pavel Gubarev, autonominatosi governatore e comandante della milizia popolare dopo le prime occupazioni a Donetsk, a guidare il movimento filorusso nel Donbass. Ucraino, panslavista con il cuore a Mosca, Gubarev è sparito però presto dalla circolazione, arrestato e poi rilasciato dall'Sbu (i servizi segreti ucraini). Al vertice della Repubblica di Lugansk, lontano dai riflettori dei media internazionali, è arrivato il silenzioso Valery Bolotov, ma sono stati i due capi della Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin e Alexander Borodai, a gestire le danze politiche e mediatiche nel Sud Est.
A DONETSK COMANDANO PUSHILIN E BORODAI. Il primo, ufficialmente speaker del parlamento della Repubblica di Donetsk, è un cittadino ucraino dalle ambizioni politiche frustrate convertitosi all’indipendentismo in cerca di gloria. Il secondo, con la carica di primo ministro, è invece un russo che per anni ha affiancato in Crimea Sergei Aksionov, diventato a marzo primo ministro nella fase del distaccamento della penisola sul Mar Nero da Kiev.
Borodai, nazionalista russo legato apparentemente anche all´Fsb (i servizi segreti russi), sarebbe anche legatissimo a una delle figure chiave della galassia separatista, vale a dire Igor Girkin (meglio noto con lo pseudonimo Strelkov), 43 anni, comandante a Sloviansk, una delle roccaforti dei ribelli caduta solo a inizio luglio.

Strelkov, il capo dei filorussi con un passato nei servizi segreti militari

  • La mappa del Sud Est ucraino, dove è più forte la presenza dei filorussi.
Borodai e Girkin si conoscerebbero sin dagli Anni 90 quando avrebbero combattuto insieme sia in Transnistria sia in Bosnia.
Il condizionale è d’obbligo visto che le tracce del passato si confondono tra propaganda e realtà, dai vecchi massacri in Cecenia o nella ex Jugoslavia per finire a quelli freschi nel Donbass.
Quello che è certo è che Strelkov, con un trascorso provato nel Gru (il servizio segreto militare di Mosca) è considerato un po’ la pistola fumante che prova di legami tra il Cremlino e la rivolta armata in Ucraina e non per nulla è una delle quasi 100 persone che Stati Uniti e Unione europea hanno incluso nella lista nera delle sanzioni.
L'OSCE: CI SONO SEI GRUPPI PRINCIPALI. Girkin-Strekov è secondo l'Ucraina il simbolo evidente che dietro la guerra ci sono la Russia e Putin in persona.
Il quadro non è però così semplice e se da una parte anche l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha identificato nel corso del conflitto almeno sei gruppi principali e innumerevoli sottogruppi non sempre legati tra loro che combattono seguendo diverse strategie nel Donbass, anche gli ucraini anti-Kiev continuano a fare la loro parte.
KHODAKOVSKY, UCRAINO ANTI-KIEV. L´esempio più lampante è quello di Alexander Khodakovsky, comandante del battaglione Vostok e inizialmente ministro della Difesa della Repubblica di Donetsk. Ex comandante del gruppo Alfa, le forze speciali all’interno dell’Sbu, Khodakovsky era un fedelissimo di Yanukovich ed è stato la guida per la folta schiera di uomini passati da servizi, forze armate e Berkut (i commando sciolti dal nuovo governo di Kiev dopo Maidan) da una parte all’altra della barricata, appena dopo il cambio di regime di febbraio.
Se è vero dunque, come dice il presidente ucraino Petro Poroshenko, che l’esercito del suo Paese sta fronteggiando mercenari sostenuti dalla Russia, il movimento separatista, al di là di Strelkov e Khodakovsky, appare molto complesso e sul campo combattono anche ucraini contro ucraini. In quella che, a tutti gli effetti, ha i contorni di una guerra civile. 

  • La conferenza stampa di Strelkov e Alexander Borodai, primo ministro della Repubblica di Donetsk.
(Lettera 43)


La Siria e le drammatiche condizioni dello sviluppo umano...





Di Claudia Avolio 

Al-Modon (31/07/2014). Il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2014 diffuso di recente dalle Nazioni Unite rivela la situazione drammatica della società siriana, con perdite enormi rispetto al suo capitale umano che avranno un impatto anche sul futuro. Nel rapporto la Siria è stata inserita al 118° posto in quanto a sviluppo umano su un totale di 187 Paesi.
Rispetto all’istruzione, sono state danneggiate circa 4382 scuole e l’UNRWA ha stimato che nel 2013 il 49 percento dei bambini siriani ha smesso di ricevere un’istruzione: circa 2 milioni e 400 mila.
Riguardo la salute, i siriani non riescono a procurarsi i medicinali giusti perché si stima che almeno 100 tipi di medicine non si trovano più, mentre quelle che restano hanno costi molto alti. Le strutture sanitarie sono in declino: lo stop dei servizi si registra in almeno 40 ospedali e 674 centri per la salute, mentre circa tre quarti dello staff medico hanno dovuto lasciare la Siria oppure sono stati uccisi o arrestati.
Tre quarti dei siriani sono nella soglia di povertà: chi ha perso la propria casa è a rischio povertà maggiore nel prossimo anno e si prospetta una caduta del PIL del 57 percento. A questo si aggiunge la feroce campagna del regime che alza i prezzi dei beni di prima necessità come zucchero, riso e pane, oltre ai carburanti.
(ArabPress)

Israele e la mano lunga dei coloni...





Roberto Colella
Giornalista, esperto in Geopolitica e Scienze della Difesa e della Sicurezza

Israele vuole lo scontro tra Hamas e l’autorità Palestinese. Le azioni militari tendono sempre più a far fallire la riconciliazione tra le parti in vista delle prossime elezioni previste per la fine dell’anno. Annullare Hamas non solo nella Striscia di Gaza o Hamastan ma soprattutto anche inCisgiordania.
Per questi obiettivi si serve anche dei coloni visto che proprio nella “West Bank” sono numerosi gli insediamenti colonici israeliani. La mano lieve dell’esercito verso i coloni che impiegano la violenza contro i palestinesi determina una situazione in cui numerosi coloni sono convinti di potere aggredire palestinesi e distruggerne i beni senza temere di venire arrestati o processati. I cosiddetti coloni “selvaggi e incontrollabili” costituiscono il prolungamento del governo di coloni che dirige attualmente lo Stato ebraico. A livello strategicomilitare gli insediamenti in territorio palestinese costituiscono punti di controllo e acquisizioni territoriali illegali che vanno oltre ogni previsione.
Facendo un po’ di dietrologia a partire dal 1968 il rabbino nazionalista Moshe Levinger mise radici nella città dei patriarchi: Hebron. Levinger aveva deciso di trascorrere la Pasqua ebraica con i suoi allievi all’Hotel Park, a breve distanza dalla Tomba dei Patriarchi. Il suo intento era quello di non lasciare la città tanto che l’allora ministro della Difesa, Moshe Dayan, non se l’era sentita di sgomberarlo con la forza. Alla periferia di Hebron in breve tempo nacque così la prima colonia di Kiryat Arba. Seguì successivamente Maaleh Edomim, alle porte di Gerusalemme. In altri casi si procedette con degli stratagemmi. Ad Ofra (Ramallah) e ad Elon Moreh (Nablus) i coloni furono prima presentati all’opinione pubblica interna come “archeologi”, poi come “civili israeliani alloggiati provvisoriamente in basi militari”. La svolta però arrivò negli anni Ottanta quando il partito Likudindividuò i coloni nella piccola borghesia che aspirava ad abbandonare i rioni popolari nelle città dormitorio attorno a Tel Aviv o a Gerusalemme. Per loro vennero eretti insediamenti accoglienti inCisgiordania. Per loro si realizzarono comode autostrade in modo da raggiungere il luogo di lavoro in mezz’ora. Per loro si edificarono casette accoglienti dalle tegole rosse, circondate da giardini rigogliosi, con servizi sociali avanzati.
Ariel Sharon per anni è stato il massimo rappresentante dei coloni. Lui ha costruito gli insediamenti come ministro delle Costruzioni. Ancora lui come ministro delle Infrastrutture ha costruito strade, ha portato l’acqua e l’elettricità negli insediamenti e come ministro dell’Agricoltura ha rafforzato e potenziato il lavoro di molte aziende delle colonie. Fu però proprio il primo ministro Sharon a decidere in seguito di ritirarsi da Gaza. Per lui l’occupazione non era più nell’interesse di Israele. Circa 10mila coloni vennero così sradicati dalla Striscia. Una mossa estremamente controversa all’interno di Israele, che portò l’attuale primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a uscire dal governo in segno di protesta.
Oggi negli insediamenti non vivono solo i coloni definiti “ideologici”, persone disposte a qualche rischio pur di vivere in una bella casa di campagna con camere ariose con un pezzo di terra da coltivare, ma si possono trovare individui molto diversi dai fricchettoni al coltivatore di fiori, dalle ragazze madri con molti figli ai giovani imprenditori rampanti israeliani.
(Il Fatto Quotidiano)

SIERRA LEONE: EBOLA, DICHIARATO LO STATO D’EMERGENZA SANITARIA...





Il presidente della Sierra Leone, Ernest Bai Koroma, ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria per far fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola in corso dallo scorso febbraio. Tra le misure previste – per i prossimi 60/90 giorni – ci sono dei controlli supplementari per i viaggiatori (a tutti sarà chiesto di lavarsi le mani con disinfettante e di misurare la temperatura), e il registro presso le autorità di tutti decessi prima del funerale. La Liberia, paese confinante e anch’esso al centro dell’epidemia di ebola insieme alla Guinea, aveva in precedenza deciso la chiusura di tutte le scuole e la messa in quarantena di alcune comunità.

Sia Koroma che il presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf, hanno deciso di cancellare i viaggi in programma per il vertice Stati Uniti-Africa per far fronte alla crisi.
Con l’obiettivo di garantire la sicurezza dei viaggiatori, misure cautelari sono state decise dal governo dell’Etiopia. All’aeroporto di Addis Abeba, importante hub continentale saranno sottoposti a controlli tutti i viaggiatori provenienti dall’Africa occidentale e dal Kenya. Ethipian Airlines ha anche riferito di avere in cantiere giornate di formazione per il suo personale.
Secondo l’ultimo bilancio riferito dalle Nazioni Unite, i morti causati dall’epidemia di Ebola in Africa occidentale sono finora 729.
(Atlas)

Libia, jihadisti prendono Bengasi Scontri a Tripoli. Fuga di massa dal Paese....





I jihadisti di Ansar al Sharia in Libia hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Bengasi. «Abbiamo proclamato l'emirato islamico», hanno affermato. Riportata dalla tivù emiratina Al Arabiya, che ha citato un portavoce del gruppo legato ad Al Qaeda, la notizia è ancora tutta da verificare, come ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini in audizione al Senato, ma fotografa il disastro in cui è ormai precipitata la Libia del dopo-Gheddafi. Khalifa Haftar, il generale dissidente che da aprile tenta di 'ripulire' la Cirenaica dalle milizie islamiste, ha detto che si tratta di «una menzogna. Ci siamo solo ritirati temporaneamente da alcune posizioni».
SCONTRI A TRIPOLI. Anche a Tripoli sono ripresi gli scontri tra le milizie filo-islamiste di Misurata e quelle di Zintan per il controllo dell'aeroporto internazionale, dopo una breve tregua per spegnere l'incendio divampato in due depostiti di carburante centrati da un razzo.
FUGA DI MASSA. E intanto continua la fuga in massa dalla Libia. Alla frontiera tunisina di Ras Jedir si tornano a vedere - come nel 2011 - migliaia di persone (libici, ma anche egiziani) in fila per attraversarla, mentre traghetti e navi da guerra stanno portando via 200 greci e 13 mila filippini, così come centinaia di cinesi sono partiti via mare verso Malta.
POCHE AMBASCIATE APERTE. In queste ore anche la delegazione europea ha deciso di lasciare Tripoli per la Tunisia. L'ambasciata italiana è tra le pochissime rimaste aperte, insieme a quelle di Regno Unito, Malta, Romania e Ungheria. Il premier Matteo Renzi è atteso il 2 agosto al Cairo per discutere delle crisi libica e nell'intera regione. 
Venerdì, 01 Agosto 2014
(Lettera 43)

Gaza, Israele-Hamas: via alla tregua umanitaria di 72 ore,,,



niziato alle 7 italiane il cessate il fuoco sulla Striscia. Plauso degli Usa. Prima dello stop ai raid altri 14 morti palestinesi.



È iniziata alle ore 8 locali (le 7 in Italia) latregua umanitaria di 72 ore sulla Striscia di Gaza. A deciderlo nella tarda serata di giovedì 31 luglio sono stati Israele e Hamas.
Il conflitto s'è così interrotto dopo 25 giorni di guerra. Ma il cessate il fuoco, il primo accettato da entrambe le fazioni dall'inizio delle ostilità, è stato preceduto da due ore di bombardamenti intensi e colpi d'artiglieria pesante.
ULTIMI COMBATTIMENTI. Il portavoce dei servizi di soccorso nella Striscia, Achraf al-Qodra, ha riferito almeno 14 vittime palestinesi causate da raid e incursioni dei tank israeliani. Mentre Tel Aviv ha denunciato l'uccisione da parte di Gaza di cinque soldati d'Israele.
A sostenere con forza il cessate il fuoco umanitario a Gaza sono stati anche gli Usa, accusati dall'Onu di fornire armi a Tel Aviv nel conflitto.
IL SOSTEGNO DEGLI USA. La Casa Bianca ha esortato con una nota tutte le parti ad agire con moderazione e a rispettare pienamente i loro impegni.
«Crediamo», hanno fatto sapere da Washington, «che l'unico modo per affrontare le preoccupazioni di sicurezza di Israele e permettere ai palestinesi di Gaza di condurre una vita normale sia attraverso un accordo di cessate il fuoco permanente». Per questo gli Usa hanno chiesto di «avviare immediatamente negoziati al Cairo, su iniziative dell'Egitto, allo scopo di raggiungere un cessate il fuoco sostenibile».
Venerdì, 01 Agosto 2014
(Lettera 43)

Gaza: un milione di bambini senza acqua e luce...



Save the Children rende noti i dati terribili di questo dramma umanitario che colpisce anzitutto i più innocenti e indifesi.



Quasi un milione di bambini a Gaza rischiano di restare intrappolati senza elettricità, acqua e servizi medici a causa dell'esaurimento di carburante. La denuncia arriva da Save the Children, che sottolinea come le strutture sanitarie siano al collasso per l'incremento di parti prematuri, casi da trauma e mancanza di medicine. Elettricità e acqua, riferisce l'organizzazione, si stanno esaurendo e le famiglie di Gaza stanno affrontando il completo collasso dei servizi essenziali.

Le strutture sanitarie sono particolarmente colpite e alcuni ospedali hanno carburante necessario a far funzionare i generatori di elettricità solo per altri 4-5 giorni. Allo stato attuale, in seguito agli attacchi aerei sull'unica centrale elettrica di Gaza, i residenti stanno ricevendo energia elettrica per un massimo di due ore al giorno. Non sono stati consegnati rifornimenti idrici, le pompe per il liquame non funzionano e questo si riversa nelle strade causando serie preoccupazioni per la possibile diffusione di malattie nei rifugi sovraffollati.

«In ospedale abbiamo carburante forse per una settimana al massimo e se finisce dovremo fermare il nostro lavoro. Sarà davvero un disastro. Il nostro è uno dei pochi ospedali che sta lavorando in quest'area. Se questa guerra continua, a Gaza tutto collasserà» denuncia Yousef al-Sweiti, direttore dell'ospedale al-Awda, supportato da Save the Children nel nord di Gaza. «Il gigantesco sforzo che si sta facendo negli ospedali di Gaza, con dottori e infermieri che cercano di salvare le vite dei bambini in condizioni disperate - afferma David Hassel di Save the Children - sottolinea l'assoluta necessità di un cessate il fuoco duraturo. Le organizzazioni umanitarie debbono avere la possibilità di portare cibo, acqua, medicine e carburante per alleviare le sofferenze dei bambini. Il completo collasso del sistema sanitario e delle infrastrutture a Gaza sarebbe catastrofico per i bambini che stanno già pagando con le loro vite: ogni ora muore un bambino».
(Globalist)

Damasco Douma...dopo i bombardamenti...(Video)





Iraq: violenze senza fine. E la gente fugge...





Due diversi attentati, entrambi nei quartieri a prevalenza sciita di Baghdad. Due autobombe: una vicino ad una stazione di servizio di Sadr City, nella parte nord della capitale. L’altra, quasi contemporaneamente, mercoledì sera, è esplosa nel quartiere di Al Amin. 24 in totale i morti, più di 40 i feriti. Sempre mercoledì una milizia sciita ha giustiziato 15 sunniti rapiti in precedenza ed esposto i cadaveri nella piazza di un villaggio della provincia di Diyala: un monito alla popolazione locale perché non sostenga lo Stato islamico che controlla buona parte della regione.
E la gente fugge. Verso il Kurdistan, come può, come riesce. In campi come questo, a Erbil, che oggi ospita più di 100mila persone. L’Alta commissione per i diritti umani di Baghdad ha reso noto che il numero dei profughi che scappano dall’avanzata dello Stato Islamico ha superato il milione. 300mila solo nell’ultimo mese.
(euronews)

Siria, missile in una chiesa armeno-cattolica provoca 3 morti...



Lo riferisce l’agenzia Fides. P. Bezouzou: «Domenica pianteremo un ulivo nel luogo in cui è caduto, e porremo una scritta in arabo con le parole “pace” e “Dio è amore”»




Nel pomeriggio di ieri un missile lanciato dalle zone di Aleppo controllate dai ribelli è caduto nell'area della parrocchia armeno-cattolica della Santissima Trinità, nel quartiere di al-Meydan, provocando la morte di tre armeni adulti, due sorelle e un uomo. Lo riferisce l'agenzia vaticana Fides.

Il missile ha danneggiato il muro di cinta, un terrazzo della canonica e ha infranto le vetrate della chiesa, provocando danni anche a un altare dove è collocata una statua della Vergine Maria proveniente da Marash, città simbolo del Genocidio armeno. «Erano circa le 18,15 - riferisce a Fides padre Joseph Bezouzou - e in quel momento eravamo in chiesa per celebrare la Messa quotidiana. Se il missile fosse caduto all'uscita della Messa, sarebbe stata una strage. Ringraziamo il Signore».

La parrocchia aveva organizzato per il prossimo fine settimana un raduno di giovani, allo scopo di allentare la tensione che da anni accompagna la vita quotidiana dei ragazzi di Aleppo. «Abbiamo deciso di rimandare tutto», spiega Bezouzou, «perché dopo quello che è successo non si possono esporre i giovani a nuovi rischi. Ma domenica, dopo la Messa, pianteremo un ulivo nel luogo in cui è caduto il missile, e sotto la pianta porremo una scritta in arabo con le parole “pace” e “Dio è amore”. Questa è la nostra unica risposta alle bombe e alla violenza, che da anni provano a devastare le nostre vite».
(Vatican Insider)

Somalia. Donna linciata da furia integralista degli Shabaab perchè senza velo...





SOMALIA, MOGADISCIO – Uccisa dalla furia integralista in Somalia perchè si è rifiutata di indossare lo hijab, il velo. A rivelare la storia di Ruqiya Farah Yarow alla Bbc sono stati i suoi familiari che hanno chiesto di rimanere anonimi nel timore di ritorsioni in un Paese sotto lo scacco dei ribelli Shabaab che controllano gran parte del sud e del centro, imponendo, oltre alla violenza, le strette regole dell’Islam radicale, anche nell’abbigliamento, sia per le donne che per gli uomini.
Ruqiya si trovava di prima mattina fuori dalla sua capanna, nella città di Hosingow, quando i miliziani islamici si sono accorti di lei, esposta allo sguardo degli uomini senza il velo a coprirle il capo. Le hanno prima intimato di indossarlo, poi si sono allontanati. Ma una volta tornati sui loro passi, l’hanno trovata di nuovo così come l’avevano lasciata. Senza velo. A quanto raccontano i parenti, gli integralisti non ci hanno pensato due volte e di fronte a questo “oltraggio” alla fede e alla loro “autorità”, le hanno sparato due volte in testa. Ruqiya, che aveva un marito e dei figli, è morta sul colpo.
Un portavoce degli Shabaab ha negato ogni responsabilità nell’omicidio della donna, spiegando che il gruppo non ha il pieno controllo della zona in cui abitava. Secondo la Bbc, il fatto che gli integralisti abbiano negato di averla uccisa potrebbe significare una spaccatura all’interno del gruppo che da anni si confronta militarmente con il debole governo somalo. Oppure che gli Shabaab abbiano voluto evitare la forte reazione della popolazione locale, esasperata ma impotente.

I ribelli continuano a mietere terrore e vittime nel Paese. Dopo aver attaccato la sede del parlamento e il palazzo presidenziale circa un mese fa, nei giorni scorsi una deputata, e cantante famosa, Sado Ali Warsameche, è stata uccisa insieme al suo autista, in un quartiere a sud di Mogadiscio. Warsameche è stata la quarta parlamentare a essere uccisa in Somalia dall’inizio dell’anno. Cacciati dalla capitale nell’agosto del 2011, ma ancora presenti in vaste aree rurali, gli islamisti Shabaab avevano minacciato di uccidere “uno ad uno” tutti i parlamentari somali.

(blitz quotidiano)

L'Ipocrisia del Governo Italiano che arma Israele...





Alfredo Gianni
Direttore della Fondazione Cercare Ancora

Diciamolo con franchezza. L'intervento della ministra degli esteri Federica Mogherini alla Camera, intervenendo sull'eccidio in corso a Gaza, è stato non solo deludente, ma anche reticente ed ipocrita. La Mogherini si è raccomandata di "non cedere alla logica della partigianeria, alla idea che ci si debba dividere tra gli amici di Israele e amici della Palestina, che si debba scegliere da che parte stare nel conflitto". La Mogherini non sembra rendersi conto che dopo decenni di conflitto - visto che di questo si tratta e parecchio sanguinoso - decidere da che parte stare è un dovere morale e non è affatto in contraddizione con la ricerca della pace. Denunciare la potenza di fuoco scaricata da Israele contro civili e bambini che non possono scappare da Gaza - altro che "scudi umani" !- non è partigianeria, ma doveroso realismo. È a partire da questa constatazione che si deve lavorare per il cessate il fuoco e la ripresa di un processo di pace che garantisca la sopravvivenza e la sicurezza di entrambi i popoli.
Ma ciò che Mogherini non dice è che il governo italiano da tempo la sua scelta l'ha fatta. Non solo dal punto di vista politico. Naturalmente a favore di Israele. Come ci ricorda uno studioso della sgradevole materia come Manlio Dinucci, il memorandum d'intesa sulla cooperazione militare italo-israeliana venne ratificato dal Senato nel 2005, con il voto congiunto di coloro che ora si chiamano Partito democratico e il centrodestra. Il memorandum diventò legge, la n.94 del 17 maggio 2005. Il contenuto dell'atto legislativo concerne l'importazione, l'esportazione e il transito di materiali militari; l'organizzazione delle forze armate, la loro formazione e il loro addestramento; la ricerca e lo sviluppo della produzione di tecnologie militari innovative e altro ancora.
Da allora ad oggi questo comporta che le nostre forze armate e la nostra attivissima industria militare hanno partecipato ad iniziative belliche coperte dalla segretezza delle quali il comune cittadino elettore del nostro paese non sa nulla. È in questo clima "collaborativo" che l'Italia sta fornendo ad Israele, già di suo stradotato di armamenti, compresi quelli nucleari, 30 velivoli, e sono solo i primi previsti, M-346 costruiti da Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica. Si tratta di aerei di addestramento, ma possono essere utilizzati anche come caccia per operazioni militari effettive, come per gli attacchi al suolo. Naturalmente l'accordo prevede anche un appoggio bancario, fornito da Unicredit, che anticipa a Israele 400 milioni di dollari su un costo complessivo di un miliardo. Dal canto suo l'Italia si è impegnata ad acquistare da Israele un sofisticato sistema satellitare ottico e un paio di aerei da guerra dei quali ci piacerebbe sapere l'utilizzo e la finalità.
Quindi non mi pare vi siano dubbi. La Mogherini ha predicato per altri cose ben diverse da quelle che il suo governo - e quelli precedenti - hanno fin qui fatto, che è consistito in un concretissimo appoggio a tutte le manovre e avventure militari di Israele, comprese quelle che stanno distruggendo Gaza e uccidendo i suoi abitanti. Con ogni probabilità quello riferito qua sopra è solo una piccola parte delle conseguenze pratiche dell'accordo di cooperazione militare che lega il nostro paese con Israele.
Sospendere ogni consegna di materiale militare, a partire dai velivoli M-346, e rimettere in discussione la legislazione e i memorandum in materia è l'unico vero contributo da parte del nostro governo - se vi fosse la volontà politica di metterlo in atto - per evitare l'eccidio in corso a Gaza e riaprire un nuovo spiraglio per la pace. Il resto, cara Mogherini, sono solo lacrime da coccodrillo e mediocri bugie.
(L'Huffington Post)

Perché in Libia c’è la guerra...





Mettere ordine e raccontare con assoluta certezza quello che sta accadendo in Libia è un’operazione complicata, ma andando con ordine si può fare una ricapitolazione dei fatti ed arrivare a comprendere chi e per cosa si combatte ogni giorno con maggior ferocia.
Quando comandava Gheddafi, uno degli uomini più potenti del paese era il colonnello Khalifa Haftar, che dopo essere stato scacciato dallo stesso rais, ha vissuto per 20 anni in America e collaborato con la Cia. Rientrato nel paese dopo la caduta di Gheddafi, Haftar è diventato il comandante della brigata Zintan, che tra le altre cose, controlla – dal 2001 – tutta la zona dell’aeroporto di Tripoli dove negli ultimi giorni si è combattuto moltissimo. La brigata Zintian è una delle più forti del paese ed è alleata con l’Esercito Nazionale libico (LNA). Le violenze scoppiate a Bengasi da un paio di anni erano dirette, secondo alcune fonti, all’eliminazione deisalafiti più estremisti.
Perché nel frattempo in Libia si è votato. Il 25 giugno scorso, con scontri ed attentati che hanno provocato 70 morti.E soprattutto con un milione e mezzo di persone che hanno votato, contro i 2,8 milioni delle prime elezioni del dopo Gheddafi, nel 2012.
Da queste elezioni macchiate di sangue e contrassegnate dall’astensionismo, è uscita vincitrice la coalizione dei liberali, laici, filo occidentali contro gli islamisti. Il passaggio di consegne tra il precedente governo e quello che deve nascere, è previsto per il 4 agosto prossimo ma non si sa ancora dove avverrà. Perché il Parlamento non ha un luogo sicuro dove riunirsi.
Secondo altre fonti, Haftar vorrebbe instaurare nel paese una sorta di dittatura militare più moderata, sul tipo di quella di al- Sisi in Egitto. Il conflitto nel frattempo si è spostato a Tripoli ed il governo si è alleato con la milizia di Misurata, quella che uccise Gheddafi nel 2011. Quarantamila membri e circa 800 carri armati sarebbero il potenziale di questa fortissima milizia, che all’inizio dell’anno ha tentato un golpe – fallito – contro il Ministro dell’Interno, salvo poi rimanere al soldo del Ministero.
Perché in Libia i vari governi o ministri, parliamo del dopo Gheddafi, hanno l’abitudine di finanziare questo o quel gruppo paramilitare per proteggersi.
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In questo quadro si inserisce anche la gravissima crisi economica che ha stretto il paese. Il conflitto tra le varie milizie dell’est e quelle dell’ovest è stato sempre teso al controllo del petrolio e delle relative infrastrutture. Risultato nei primi sei mesi del 2014 la Libia ha esportato 200 mila barili di petrolio al giorno contro 1 milione e 400 mila dello stesso periodo del 2013. Dunque i libici hanno poca benzina, l’acqua e la corrente elettrica sono spesso interrotte, e le rapine alle banche per togliere loro la liquidità giornaliera sono continue.
(Il Journal)

L’America pro Gaza e l’inconsistenza del mondo arabo...



Sono passati 24 giorni dall’inizio dell’offensiva israeliana su Gaza. Navi Pillay, Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani, negli scorsi giorni aveva promosso un’indagine su presunti crimini di guerra condotti dalle forze di Tel Aviv contro la popolazione palestinese. A favore della risoluzione hanno votato compatti i paesi dell’America Latina supportati dai BRICS, contrari solo gli Usa, l’Europa si è astenuta.Nethanyahu, premier israeliano, non ha esitato, subito dopo l’approvazione, a definire l’iniziativa dell’Onu “una parodia”.
Anche oggi da Tel Aviv si ribadisce che non vi sarà tregua fino a quando l’ultimo tunnel scavato da Hamas al confine con Israele non verrà distrutto. Non si è fatta attendere la risposta di Pillayche a seguito dei bombardamenti israeliani contro abitazioni, scuole e ospedali ha dichiarato: “nessuno di questi attacchi sembra casuale, ma un atto di deliberata violazione del diritto internazionale”. Tuttavia le responsabilità di Hamas restano indubbie: “commette gravi violazioni dei diritti dell’uomo che potrebbero essere considerati crimini contro l’umanità” ha aggiunto l’Alto commissario.


Nel frattempo il fronte d’opposizione a Israele si compatta anche al di fuori del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. In testa il Brasile che, già una settimana fa, ha ritirato il proprio ambasciatore definendo “sproporzionato l’uso delle forza” contro la Striscia di Gaza. Dagli Affari Esteri israeliani hanno risposto che “sproporzionato è perdere 7 a 1 (riferimento alla Semifinale di Coppa del Mondo persa dal Brasile contro la Germania, ndr)”. Sempre dall’America Latina arriva oggi la forte condanna del Presidente boliviano Morales: la morte di 1300 palestinesi indica cheIsraele “non favorisce la coesistenza pacifica all’interno della comunità internazionale” per questo la Bolivia ha deciso di inserire lo stato ebraico nella lista degli “stati terroristi”.
Da Teheran l’Ayatollah Khamenei ha invece invitato il “mondo” ad “armare Gaza” . L’Iran, che non riconosce lo Stato d’Israele, come dice il ricercatore Stefano Torelli dell’Istituto di Studi Politici di Milano (ISPI), sostiene economicamente Hamas, anche se in veste ufficiosa. È praticamente certo infatti che molti armamenti usati dai militanti palestinesi contro Israele siano forniti proprio dall’Iran.
gaza khamenei
A parte tutto il dato più rilevante resta la litigiosità del mondo arabo. La frammentazione e gli instabili equilibri geopolitici sono tra i fattori che stanno determinando l’aggravarsi del conflitto arabo-israeliano.
L’Egitto che si è proposto come paciere tra le due parti in conflitto è al momento poco credibile, dice TorelliAl Sisi è un fermo avversario dei Fratelli Musulmani a loro volta legati ad Hamas e su questo punto può contare sull’appoggio dell’Arabia Saudita. Il Qatar che sostiene ufficialmente Hamas e i Fratelli Musulmani cerca di inserirsi come importante soggetto politico regionale ma al momento è isolato proprio a causa dell’asse tra Il Cairo e Riad. Proprio come laTurchia, tra l’altro ingolfata da problemi di politica interna. La Siria un tempo alleata di Hamas eFratelli Musulmani oggi si trova a combatterli.
Gli altri paesi arabi – prosegue il ricercatore intervistato da ilfattoquotidiano.it – non vanno oltre la retorica anti israeliana. Molti di loro sono formalmente in guerra e, Giordania a parte, non hanno mai riconosciuto Israele. I Paesi arabi usano la Palestina nelle loro dichiarazioni, ma nei fatti non muovono un dito e non si sono mai interessati a una soluzione della questione. Anzi: il Libano e laGiordania, che ospitano decine di migliaia di rifugiati palestinesi, li trattano come cittadini di serie B. Una doppia faccia che rimane funzionale allo scopo di avere un nemico da fronteggiare”.
(Termometro Politoco)

Nigeria, bimba di 10 anni fermata con cintura-bomba...



A Kano donna-kamikaze si fa esplodere al Politecnico: uccisi sei studenti. È la quarta in meno di una settimana. Dietro gli attentati la mano di Boko Haram.



La piaga degli attentati riconducibili ai fanatici integralisti islamici del gruppo Boko Haram e compiuti da giovani donne kamikaze continua a flagellare la Nigeria. E si aggrava con l'utilizzo da parte dei terroristi anche di bambine.
A Katsina, cittadina nel Nord del Paese, le autorità hanno fatto sapere di aver arrestato a Katsina una bimba di 10 anni che indossava una cintura piena di esplosivo. Con lei sono state prese altre due persone, tutti vengono definiti «presunti membri di Boko Haram».
A KANO DONNA KAMIKAZE UCCIDE 6 STUDENTI. Nella vicina Kano un'altra donna, la quarta in meno di una settimana, si è fatta saltare in aria e insieme a se stessa ha ucciso sei studenti, ma non è stata identificata. Ma, fanno notare con preoccupazione alcuni osservatori, è la quarta a «suicidarsi» da kamikaze in meno di una settimana.
La la donna kamikaze è entrata con un ordigno artigianale nel Politecnico, mescolandosi agli studenti che stavano consultando i tabelloni del campus. Quando è stata proprio in mezzo a un assembramento c'è stata «un'enorme esplosione».
Uno studente, Kabir Muazu, ha raccontato che era seduto nell'atrio dell'edificio quando c'è stata la deflagrazione. «Ci siamo tutti precipitati a vedere cosa era successo ... È stato terribile».
SEI ATTENTATI IN CINQUE GIORNI. Kano è la seconda città della Nigeria per numero di abitanti ed è situata nel cuore del Nord musulmano: colpita da sei attentati in cinque giorni, aveva anche annullato le celebrazioni legate alla fine del Ramadan per evitare grandi assembramenti di folla. Ma i Boko Haram hanno intensificato nelle ultime settimane gli attacchi, con massacri di civili, attacchi a caserme ed edifici pubblici, oltre a rapimenti di massa
(Lettera 43)

Annuncio di Israele: nessuna tregua finché non avremo distrutto i tunnel di Hamas...





Di Stefano Consiglio
La guerra tra Israele e Hamas è arrivata al 24esimo giorno. Gli ultimi obiettivi colpiti dagli aerei israeliani sono stati una scuola dell'Onu a Jabalia, situata nella zona settentrionale della città di Gaza e un mercato molto frequentato a Shajaya, che si trova invece nella parte est. Il numero delle vittime palestinesi è salito a quota 1371, superando il precedente "record" di 1203 vittime, realizzato nel 2009 da Israele nell'ambito dell'operazione piombo fuso. Il numero di morti tra le fila israeliane, invece, è salito a 58, di cui la stragrande maggioranza sono militari impegnati nella guerra contro Hamas.

Nonostante i molteplici tentativi di instaurare una tregua umanitaria tra le parti, ogni sforzo di mediazione sia delle Nazioni Unite che di singole entità statali è fallito. 
Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che le operazioni contro la Striscia di Gaza non finiranno fintantoché i tunnel costruiti da Hamas non verranno tutti distrutti. La serietà di questa minaccia è stata dimostrata dal Premier israeliano attraverso la mobilitazione di 16mila riservisti, il che porta a 86mila il numero totale di soldati impegnati nelle operazioni terrestri intraprese da Israele contro Hamas. Questi tunnel, scavati ad una profondità di circa 20 metri, vengono utilizzati dall'organizzazione palestinese per infiltrare miliziani jihadisti all'interno del territorio di Israele.


Nonostante i molteplici tentativi di instaurare una tregua umanitaria tra le parti, ogni sforzo di mediazione sia delle Nazioni Unite che di singole entità statali è fallito. 
Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che le operazioni contro la Striscia di Gaza non finiranno fintantoché i tunnel costruiti da Hamas non verranno tutti distrutti. La serietà di questa minaccia è stata dimostrata dal Premier israeliano attraverso la mobilitazione di 16mila riservisti, il che porta a 86mila il numero totale di soldati impegnati nelle operazioni terrestri intraprese da Israele contro Hamas. Questi tunnel, scavati ad una profondità di circa 20 metri, vengono utilizzati dall'organizzazione palestinese per infiltrare miliziani jihadisti all'interno del territorio di Israele.

(International Business Times)

Incubo Ebola, l'allarme diventa globale Liberia: scuole chiuse, volontari richiamati...



Dopo la morte del medico eroe Sheik Umar Khan, la paura del virus dilaga anche fuori dai confini africani. Si teme che il contagio arrivi anche in altri Paesi




L'incubo Ebola fa piombare molti Paesi africani nel terrore. Dopo che il virus ha ucciso Sheik Umar Khan, il medico-eroe in Sierra Leone, dilaga la paura di una nuova epidemia. E la Liberia chiude tutte le scuole per cercare di arginare il contagio della malattia, che ha colpito il Paese e le nazioni confinanti. Si teme che il virus possa superare i confini del continente africano e i Medici senza frontiere avvertono: "Il virus è fuori controllo".

La decisione di Monrovia è stata comunicato dalla presidente Ellen Sirleaf Johnson in un discorso alla nazione e la direttiva rimarrà valida "fino a nuovi ordini dal ministero dell'Istruzione". 

"Anche i mercati nelle zone di frontiera" con la Sierra Leone, la Guinea e la Costa d'Avorio resteranno chiusi, ha annunciato la Johnson, mentre "tutto il personale non essenziale dei ministeri e degli uffici pubblici dovrà prendere un congedo obbligatorio di 30 giorni" e venerdì tutti gli uffici saranno chiusi per una disinfezione dei locali. "Ebola è reale, Ebola è contagiosa, Ebola uccide", ha scandito la presidente invitando tutti a rispettare le misure di prevenzione.

Il medico ucciso dal virus - Se il virus sta uccidendo centinaia di persone, la morte di Sheik Umar Khan è quella che ha fatto più effetto in Africa e nel mondo. Da mesi il medico 39enne lavorava senza risparmiarsi nell'ospedale di Kenema per salvare quante più vittime possibile del terribile virus che conosceva benissimo (era virologo), sapendo che sono pochissime le speranze che rimangono a chi ne viene infettato. Appena una settimana fa il virus lo aveva aggredito, portandolo alla morte, nonostante il disperato tentativo di salvarlo compiuto dai suoi colleghi di Medici senza frontiere che lo avevano preso in cura nel centro di Kailahun. 

Volontari Usa richiamati dall'Africa occidentale - Intanto, 340 volontari dei Peace Corps americani saranno ritirati temporaneamente da Liberia, Sierra Leone e Guinea. La morte di Khan è la prima che colpisce in Africa un personaggio pubblico, aumentando a dismisura i timori per un'epidemia che, dopo i primi casi registrati all'inizio dell'anno, si è espansa velocemente: davanti al virus non ci sono difese se non la prevenzione, poiché non esiste un vaccino. Come bene sanno altri medici, pure essi contagiati da Ebola e che stanno lottando contro la morte per aver cercato di aiutare i pazienti che ormai affollano i centri di assistenza.

Paura anche in Europa - La situazione sta facendo innalzare la paura anche in Europa, come in Gran Bretagna, dove il virus viene ormai considerato come una minaccia serissima, tanto da far scattare serrati controlli alle frontiere per chi arriva dai teatri dell'epidemia. C'è stato già chi, per avere mostrato sintomi paragonabili a quelli di Ebola, è stato prelevato in aeroporto e sottoposto a controlli, che però finora hanno dato esito negativo. Mentre fonti Ue fanno sapere che l'Unione europea è attrezzata per rispondere all'eventualità che il contagio si estenda, anche se i rischi sono giudicati bassissimi. 

Secondo le ultime stime - per difetto, vista la difficoltà a censire le vittime di un virus aggressivo - Ebola ha ucciso oltre 672 persone. Il virus, dalla Guinea, dove sono stati segnalati i primi casi, si è propagato nei Paesi vicini, dove le iniziative di contrasto sono state adottate con ritardo. Il precipitare della situazione, soprattutto negli ultimi giorni, sta facendo accrescere ancora di più la paura, che ormai attraversa tutta la fascia occidentale del continente. Le autorità sanitarie locali. a cominciare da quelle nigeriane, anche sotto la fortissima pressione dell'Organizzazione mondiale della sanità, stanno elevando intensità e qualità dei controlli alle frontiere e nei rispettivi territori. 

Ma, come ammettono i Medici senza frontiere, l'espandersi del virus è ormai totalmente fuori controllo, con tutte le conseguenze che questa "verità" comporta. La decisione della compagnia aerea africana Asky di interrompere, da subito, i voli verso Liberia e Sierra Leone, se dimostra la drammaticità del momento, acuisce la paura che scuote molti dei Paesi sub-sahariani. Intanto, negli ospedali che ciascun Paese interessato dal virus ha eletto a polo di contrasto di Ebola, sono molte decine le persone ricoverate e poste in quarantena in attesa che trascorrano le tre settimane di isolamento. Ma la rabbia delle gente cresce: un'equipe della Croce rossa in Guinea è stata aggredita da decine di persone armate di coltellacci perché ritenuta il simbolo di un fallimento, quello della guerra a una malattia che fa sempre più paura.
(TGCOM24)

Siria: Eid di sangue, almeno 116 morti...





Ankara, 31 lug. (Adnkronos/Aki) - Almeno 116 persone sono rimaste uccise in combattimenti, scontri e violenze in Siria per mano delle forze del governo di Bashar al-Assad solo durante i tre giorni di Eid al-Fitr, che segna la fine mese sacro di Ramadan. Lo denuncia la Rete siriana per i diritti umani, gruppo legato agli attivisti delle opposizioni, come riporta l'agenzia di stampa turca Anadolu.
Tra le 116 vittime, secondo le informazioni della Rete che non possono essere verificate in modo indipendente, ci sono almeno 21 bambini e 16 donne. In un comunicato citato dalla Anadolu, il gruppo afferma che durante l'Eid si sono registrati attacchi nelle zone di Aleppo, Daraa e Idlib. Nei giorni scorsi la Rete siriana per i diritti umani ha denunciato l'uccisione di 2.378 persone durante il mese di Ramadan, che si è concluso domenica scorsa.