lunedì 30 giugno 2014

Iraq: incerta la posizione di UE e USA...





Scritto da: Luca Barana
di Samy Sayed Mohamed
L’attuale situazione irachena è preoccupante. I jihadisti dell’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) continuano ad avanzare con violenza. Qassem Atta, portavoce per gli affari di sicurezza del premier iracheno sciita Nouri Al – Maliki (al potere dal 2006) riferisce che “centinaia di soldati sono stati decapitati e impiccati a Salahaddin, Ninive, Dilaya, Kirkuk e in altre zone”. Gli estremisti islamici continuano a guadagnare terreno e le principali città del Paese cadono una dietro l’altra.
L’esercito iracheno ha perso il controllo delle città di Rutba, Rawah e Ana, di due valichi con la Siria e di uno con la Giordania. Gli islamisti sono riusciti così a costruirsi diversi corridoi oltre confine, garantendosi armi e rifornimenti. Hanno anche rafforzato il controllo della cittadina strategica di Tel Afar, tra Mosul e il confine siriano, nella parte nord-occidentale dell’Iraq. Persino Baghdad rischia grosso, ma i suoi abitanti non si fermano a guardare: le truppe sciite, guidate da Moqtada Al Sadr, uno dei più influenti leader politico – religiosi del Paese, si stanno preparando alla resistenza armata contro i jihadisti.
Il governo iracheno ha invocato l’aiuto della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti e dell’Iran. Il governo iraniano è intervenuto inviando forze speciali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica pochi giorni dopo la presa di Mosul, seconda maggiore città dell’Iraq. Teheran si sta impegnando a proteggere i luoghi sacri degli sciiti in Iraq, ma ha anche ribadito che spetta a Maliki riportare l’ordine all’interno del Paese.
Intanto il Segretario di Stato americano, John Kerry, atterrato a Baghdad e accompagnato dal Ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari, ha incontrato il premier Nouri Al – Maliki, l’influente religioso sciita Ammar al – Hakim, il Presidente del Parlamento Osama al – Nujaifi e il vice premier Saleh al – Mutlaq. Kerry, come previsto, non ha sollecitato le dimissioni del premier, contrariamente a quanto viene richiesto dai politici iracheni, ma ha chiesto di costruire un governo più inclusivo delle minoranze sunnite e curde. “La preoccupazione principale è per il popolo iracheno, per l’integrità del Paese, dei suoi confini, della sua sovranità”, queste le sue dichiarazioni.
Il gruppo armato dell’ISIS che si richiama ad al – Qaeda e al suo programma (califfato, unità dell’Ummah), vuole creare un emirato transfrontaliero, a cavallo del confine fra Iraq e Siria. I suoi combattenti sono in gran parte veterani, ben addestrati e fanatici che evitano gli scontri diretti e ricorrono a raid che colgono di sorpresa, ad attacchi suicidi e ad attentati. Le sue nuove reclute provengono da tribù sunnite, opposte al regime di Al – Maliki, che le ha allontanate dal governo e perseguitate. Se l’ISIS dovesse riuscire a mobilitare completamente gli arabi sunniti, probabilmente l’Iraq si frammenterebbe lungo linee etnico-confessionali. Progetto di difficile realizzazione dato che uno dei leader del “Risveglio Sunnita” (Sahwa) ha dichiarato che appoggerà Baghdad e l’unità dell’Iraq.
Di fronte a tutto questo l’Unione Europea si è unita all’appello degli Stati Uniti, proponendo la creazione di un governo di emergenza nazionale, e, attraverso i Ministri degli Esteri dei 28 Paesi membri, ha affermato di essere fermamente motivata al mantenimento “dell’unità, della sovranità e dell’ integrità territoriale dell’Iraq, che sono essenziali per la stabilità e lo sviluppo economico del Paese”. Mesi fa i servizi segreti di Gran Bretagna e Stati Uniti erano stati informati dall’intelligence curda del pericolo rappresentato dai ribelli dell’ISIS, che si preparavano a lanciare una vasta offensiva nell’Iraq occidentale. A quanto pare però i governi di Londra e Washington hanno ignorato l’avvertimento.
La complessità dell’attuale situazione mostra i segni di una persistente instabilità di due degli Stati centrali del Medio Oriente: Iraq e Siria, entrambi sull’orlo della frammentazione e del collasso. Ormai l’unica cosa certa è che l’incertezza continua a regnare sovrana.
(europae)

Israele: 3 ragazzi ebrei ritrovati morti Israele promette: Hamas la pagherà...





Israele e' a lutto dopo il ritrovamento dei cadaveridi tre ragazzi ebrei rapiti il 12 giugno in Cisgiordania. Sarebbero stati uccisi subito dopo il sequestro. Profondo il cordoglio del Papa e della comunita' internazionale, che esprime anche forti timori per un'escalation della crisi. Prosegue la caccia ai loro presunti assassini. Il premier Netanyahu ha accusato Hamas e ha detto "la pagherà", il viceministro della Difesa ha aggiunto "sarà la fine di Hamas".

Israele in lutto piange i suoi tre ragazzi uccisi
GERUSALEMME -
L'esercito israeliano ha ritrovato ieri vicino a Hebron i cadaveri dei tre ragazzi rapiti il 12 giugno in Cisgiordania. Eyal Yifrah (19 anni), Gilad Shaar (16) e Naftali Fraenkel (16) sono stati uccisi subito dopo il sequestro. Il premier Netanyahu ha accusato Hamas e ha detto "la pagherà", il viceministro della Difesa ha aggiunto "sarà la fine di Hamas". Il movimento islamico ha risposto "ogni offensiva di Israele aprirà le porte dell'inferno". Continua la caccia ai presunti responsabili del rapimento, gli attivisti di Hamas di Hebron Marwan Kawasmeh e Amar Abu Ayash. Il gabinetto di sicurezza israeliano, riunito d'urgenza ieri, ha deciso la demolizione delle loro case.
Lunedì l'aviazione israeliana ha attaccato 34 obiettivi di Hamas a sud di Gaza. In Cisgiordania, a Jenin, nella notte fra lunedì e martedì soldati israeliani hanno ucciso un giovane palestinese che, secondo fonti militari, aveva scagliato contro di loro un ordigno. A Gerusalemme proseguono le consultazioni di governo.
La scorsa notte il Consiglio di difesa del governo israeliano ha discusso a lungo le ripercussioni della uccisione dei ragazzi, ma non ha adottato decisioni operative. In serata il premier Benyamin Netanyahu ha convocato gli stessi ministri (assieme con il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che torna oggi in Israele) per proseguire le consultazioni.
Mentre in Cisgiordania l'esercito riduce il volume delle operazioni e si concentra nella zona di Hebron nella caccia a due ricercati palestinesi (Marwan Kawasmeh e Amar Abu Ayshe, entrambi membri di Hamas), la tensione ai margini della striscia di Gaza resta elevata. Nella nottata miliziani palestinesi sono tornati a sparare razzi verso la citta' israeliana di Ashqelon. Le famiglie dei tre ragazzi (Ghilad Shaar, Eyal Yifrach e Naftali Frenkel) si stringono nel loro dolore e compiono i preparativi per i funerali, che dovrebbero svolgersi in giornata.
In Cisgiordania coloni ultra' hanno disseminato messaggi in cui esortano a vendicare l'uccisione dei tre ragazzi. L'esercito israeliano cerca adesso di impedire possibili attacchi di ritorsione da parte di estremisti ebrei contro palestinesi.
(Rai Giornaleradio)

Egitto...bombe al Cairo la tensione sale...





È di due morti e sette feriti il bilancio delle esplosioni di due bombe avvenute vicino al Palazzo presidenziale del Cairo, nel giorno del primo anniversario delle manifestazioni di massa contro l'ex presidente Mohamed Morsi. L'esplosione della prima bomba ha causato il ferimento di 3 spazzini, mentre un secondo ordigno ha ucciso un colonnello della polizia e tre agenti che erano alla ricerca di altri ordigni da disinnescare. Una terza bomba in un giardino vicino all'edificio è stata disattivata.

Il gruppo jihadista Ajnad Masr, che ha rivendicato molti attentati avvenuti nella capitale egiziana nei mesi scorsi, aveva avvertito recentemente di aver piazzato alcune bombe intorno al Palazzo presidenziale, aggiungendo tuttavia di non averle fatte esplodere per evitare di uccidere civili. a settimana scorsa cinque esplosioni avvenute in alcune stazioni della metropolitana e alcune bombe in un tribunale e in un centro per telecomunicazioni hanno ucciso due persone e ne hanno ferite altre sei.

Gli attentati sono avvenuti in risposta alla repressione degli islamisti in Egitto: le autorità giudiziarie hanno recentemente confermato 183 condanne a morte, tra le quali anche quella della Guida suprema dei Fratelli musulmani. La "Coalizione anti-golpe", movimento che sostiene il deposto presidente islamista Mohamed Morsi, ha annunciato che il 3 luglio sarà "la giornata della collera assoluta che segnerà l'inizio della fine del colpo di Stato".

«Salviamo Aleppo»...







Andrea Riccardi

Faccio un appello per Aleppo. Accade qualcosa di terribile. Ma viene ignorato. Oppure si assiste rassegnati. Sono due anni che si combatte ad Aleppo. Nel luglio 2012 è iniziata la battaglia nella città più popolosa della Siria. Eppure i suoi due milioni di abitanti sono rimasti, preservando la millenaria coabitazione fra musulmani e cristiani. La città è segmentata: la maggior parte dei quartieri in mano lealista, ma anche zone controllate dai ribelli, pur arretrati dall'occupazione dell'estate 2012. A loro volta i ribelli sono incalzati da sudovest dalle forze governative. La gente non può uscire dalla città accerchiata dall'opposizione, tra cui fondamentalisti intransigenti e sanguinari. Per i cristiani, uscire dalla zona governativa significa rischiare la vita. Lo sanno bene i due vescovi aleppini, Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, da più di un anno sequestrati. Aleppo è la terza città "cristiana" del mondo arabo, dopo Il Cairo e Beirut: c'erano 300 mila cristiani!

Morte da ogni parte.

La popolazione soffre. L'aviazione di Assad colpisce con missili e bidoni esplosivi le zone in mano ai ribelli; questi bombardano gli altri quartieri con mortai e razzi artigianali. Si soffre la fame e la mancanza di medicinali. C'è l'orribile ricatto dell'acqua che i gruppi jihadisti tolgono alla città. È una guerra terribile e la morte viene da ogni parte. Passando per tunnel sotterranei, si fanno esplodere palazzi "nemici". Come sopravvivere? Si deve fermare una strage che dura da due anni. Occorre un intervento internazionale per liberare Aleppo dall'assedio. Ci vuole un soprassalto di responsabilità da parte dei Governi coinvolti: dalla Turchia, schierata con i ribelli, alla Russia, autorevole presso Assad. Salvare Aleppo val più che un'affermazione di parte sul campo! Si debbono predisporre corridoi umanitari e rifornimenti per i civili. E poi si deve trattare a oltranza la fine dei combattimenti. Una forza d'interposizione Onu sarebbe opportuna. Certo richiede tempo per essere realizzata e collaborazione da parte di Damasco. Intanto la gente di Aleppo muore. Bisogna imporre la pace in nome di chi soffre. Una sorta di "Aleppo città aperta".
(Avvenire .it)

L’Isis può spodestare al-Qaeda...





Alleati per convenienza logistica i due gruppi sono adesso davanti ad una scelta importante: continuare insieme o lasciare che una prenda il sopravvento. Cosa che a molti analisti sembra già avvenuta


«In parole povere, Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato guerra ad Al Qaeda»: così lo studioso Charles Lister, del centro di ricerche Brooking’s Doha Center analizza gli effetti dell’editto con cui l’Isil, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ha annunciato la nascita del califfato jihadista nell’Iraq settentrionale e in Siria. «Si tratta di una minaccia alla legittimità di Al Qaeda come rappresentante della jihad globale», ha spiegato al Washington Post.
In un articolo intitolato «La guerra al terrorismo non ha sconfitto Al Qaeda. Ma l’Isil potrebbe», il quotidiano americano non manca di sottolineare quella che definisce «una delle grandi ironie dell’attuale battaglia per l’Iraq: malgrado i miliardi spesi per la guerra al terrorismo, i proiettili esplosi, le vite perse, a sconfiggere in definitiva Al Qaeda potrebbe essere – non gli Stati Uniti o un’altra potenza occidentale – ma un gruppo interno al movimento jihadista. Non sono serviti i drone. Nè il ‘surge. Ma un leader carismatico, emergente, noto come Abu Bakr al-Baghdadi». «Il potere ideologico e di reclutamento di Al Qaeda resta fondato nella mitologia che circonda gli attacchi dell’11 settembre 2001. Ma si tratta di un potere che si indebolisce a mano a mano che il tempo trascorso da quegli eventi aumenta, spiegano gli analisti citati dal giornale. »Molti dei jihadisti di oggi all’epoca erano bambini« e non sentono un legame di fedeltà nei confronti di quel movimento, spiega il professore Barak Mendelsohn, dell’Haverford College, su Foreign Affairs.
L’Isil si considera ora come leader legittimo del movimento», gli fa eco Peter Neumann, del King’s College London, citato dal ‘Guardian’. «Per i jihadisti il califfato è l’obiettivo ultimo e l’isil, ai loro occhi, è arrivato più vicino alla realizzazione di questo obiettivo di quanto non abbia fatto nessun altro». «Questo – sottolinea – potrebbe segnare la fine di Al Qaeda, potrebbe essere la fine della visione e dell’eredità di Bin Laden». Una fine che affonda anche nei vecchi contrasti tra i leader jihadisti dell’Iraq e Al Qaeda, nelle differenze – secondo uno studio del Washington Institute for Near East Policy – esistenti innanzitutto tra lo stesso Bin Laden e Abu Musb al-Zarqawi, il giordano a capo di Al Qaeda in Iraq fino alla sua uccisione da parte degli Stati Uniti nel 2006: Bin Laden era istruito, Zarqawi aveva alle spalle un passato di criminale, Zarqawi ha sempre affermato che l’autorità è incarnata da coloro che sono sul campo e non dietro le quinte. Quando le tensioni tra le due correnti sembravano dovessero sfociare in una divisione, improvvisamernte nel 2004 Zarqawi ha scelto di riavvicinarsi e dichiarare la propria fedeltà a Bin Laden. Baghdadi che ha assunto il controllo nel 2010, sembra riassumere in sè le due anime del movimento: è istruito, ma è anche un comandante spietato. E non sembra il tipo disposto a gesti altrettanto concilianti nei confronti della leadership di Al Qaeda di quelli del suo predecessore. Ma più di ogni altra cosa ciò che lo ha maggiormente rafforzato all’interno del movimento – indebolendo ulteriormente la leadership di Ayman al Zawahiri e la rete che quest’ultimo dirige – sono state le recenti conquiste territoriali. Successi che hanno attratto nuove reclute e sono destinati ad attrarre nuovi finanziamenti, assicurano gli esperti.
(Il Journal)

Il traffico d’organi prospera grazie all’ignoranza e alla truffa...





C'è una costante nelle storie di quanti hanno venduto parti del loro corpo ai trafficanti, quella che li vuole poverissimi e facili da ingannare


Il fenomeno del traffico di organi è particolarmente evidente in Asia, ma pare che non risparmi nessuna parte del globo e che le vittime siano tutte poverissime e facili da ingannare perché poco o per nulla istruiti.
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COME FANNO - Una recente inchiesta di CNN ha illuminato i meccanismi che presiedono al traffico di organi, reni in particolare, in Nepal. Ma il fenomeno è diffuso in tutta l’Asia e le contromisure adottate dai governi non bastano a fermare i trafficanti, che possono attingere a un bacino di potenziali donatori vastissimo e facile da predare. CNN racconta la storia del distretto di Kavre nei pressi della capitale nepalese Kathmandu, ormai noto come «la banca del rene nepalese» perché meta prediletta dai trafficanti, che solo nell’area avrebbero «convinto» più di 300 persone a offrirsi come donatori dietro il pagamento di una somma che dopo l’intervento cala all’improvviso, sempre che qualcosa venga corrisposto.
IL COMMERCIO - Ad approfittarne sono i pazienti ricchi, quelli che si possono permettere i servigi di un’organizzazione che trasferisce pazienti e donatori in India, fornisce questi ultimi di documenti che li rappresentano come parenti dei beneficiari e infine si dileguano senza lasciare tracce. Per gli altri, quelli che non possono permetterselo, c’è invece solo la dialisi. Lo stesso per i donatori, che con un rene in meno e una volta dileguati i mediatori, restano da soli ad affrontare le conseguenze e le eventuali complicazioni dell’intervento.
DAL NEPAL ALL’INDIA - La storia di Nawaraj Pariyar spiega come funzionano le cose, Pariyar è stato avvicinato da un mediatore che gli ha promesso l’equivalente di 30.000 dollari per farsi asportare «un pezzo di carne» che secondo quello che gli ha detto sarebbe ricresciuto. Poi lo ha vestito a nuovo, lo ha portato al cinema e infine in India, in una clinica nella quale è stato spacciato per fratello di una donna destinata a ricevere il suo rene, perché là i trapianti sono ammessi dalla legge solo tra consanguinei. Portato a termine l’intervento il mediatore ha consegnato circa 300 dollari al donatore, promettendo di saldare il resto poi, ed è sparito.
LA TRUFFA - Pariyar tornato a casa ha cominciato ad avere qualche sospetto e anche dei dolori, una visita in ospedale ha confermato che gli avevano asportato un rene. Lui non poteva accorgersene, perché in ospedali parlavano una lingua a lui sconosciuta e la parola che usavano per indicare il rene non la conosce, l’avessero detta in nepalese avrebbe capito, dice. Sono circa 300 i nepalesi «donatori» che negli ultimi 5 anni hanno percorso questa trafila partendo da Kavre, dove il traffico prospera da una ventina d’anni. Ma saperlo non serve a molto, pare infatti che l’attenzione sull’anomalia di Kavre si sia risolta semplicemente nello spingere i trafficanti un po’ più in là.
UN METODO CONSOLIDATO - Trafficanti che operano in modo simile in tutto il continente asiatico, dall’India al Vietnam, alla Cina e che globalmente vanno a costituire un business valutato intorno al miliardo di dollari all’anno in tutto il globo. Non una cifra enorme, ma che divisa per le cifre minime pagate ai donatori più poveri, concentrati in Asia e Sudamerica, spesso inconsapevoli, segnala la mutilazione di migliaia di persone.
CHI NE BENEFICIA - Un business esteso anche in Occidente, dove tuttavia resta residuale e lascia poche tracce, visto che la convenienza economia e i il rischio d’incappare in una giustizia più efficiente e severa consigliano di delocalizzare gli interventi richiesti da quanti non vogliano mettersi in lista in attesa dei veri donatori. Un business che come spesso accade trasferisce i benefici agli attori più ricchi, dai trapiantati paganti ai medici che effettuano gli interventi, fino ai mediatori che li organizzano, e lascia ai più poveri l’onere di una vita di stenti in cambio di somme risibili, oltre alle conseguenze impredicibili d’interventi che non sono certo portati a termine a loro beneficio.
LE CICATRICI DEL TRAFFICO - Il risultato si può osservare visivamente in luoghi come il distretto di Kavre o dove i mediatori di questi traffici riescono a dilagare approfittando di povertà e ignoranza, decine di persone che portano sui loro corpi le lunghe cicatrici degli interventi e che raccontano tutti la stessa storia, una storia di sfruttamento inumano, che strappa gli organi ai poveri per venderli ai ricchi.
(Giornalettismo)

Trovati i corpi dei tre ragazzi israeliani rapiti...



  •                              Gilad Shaarh, Naftali Frenkel ed Eyal Yifrah, i tre ragazzi israeliani rapiti. (Ansa)
Lo annuncia al Arabiya. Indetta una riunione d'emergenza del governo. Cadaveri a Hebron, in Cisgiordania.

I corpi senza vita dei tre ragazzi israeliani rapiti - Eyal Yifrah (19 anni), Gilad Shaar (16) e Naftali Fraenkel (16) - sono stati trovati in Cisgiordania. Lo ha riferito un tweet della televisione al Arabiya.
Il governo israeliano, che ha confermato la notizia, ha indetto una riunione d'emergenza.
La tivù satellitare araba al Jazira ha scritto in un tweet che secondo alcune informazioni l'esercito israeliano, durante le ricerche, ha trovato i cadaveri vicino al villaggio di Halhul, nei pressi di Hebron.
ERANO NASCOSTI DAI CESPUGLI. Secondo la tivù canale 10 erano sul terreno, non sepolti e seminascosti dai cespugli.
I militari hanno messo posti di blocco e chiuso l'intera zona, dove si sono verificati violenti incidenti.
Israele ritiene che i tre siano stati catturati da due membri del braccio armato di Hamas, originari di Hebron e irreperibili anch'essi dallo stesso giorno.
UCCISI SUBITO DOPO IL RAPIMENTO. Indagini iniziali mostrano - secondo i media - che i giovani sono stati ammazzati subito dopo il rapimento.
MOGHERINI: «GRANDE DOLORE». Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha espresso il suo «grandissimo dolore» per la notizia. «Siamo vicini a Israele in questo momento di grave lutto», ha detto.
«Faccio appello a tutte le parti affinché mostrino che chi attenta alla sicurezza di Israele non potrà prevalere minando la via del dialogo, unica speranza di pace vera e duratura nella regione».
(Lettera 43)


Perchè l’ISIS è così ricco...





di Luca Marchesini 

Armi o contributi umanitari, beneficenza o finanziamenti militari? Non è facile seguire i flussi di denaro diretti verso la Siria e le altre zone di conflitto mediorientali e prevedere il loro reale utilizzo.

Se la guerra al terrorismo condotta dagli Stati Uniti durante il primo decennio del secolo era riuscita a compromettere la salute economica della galassia jihadista collegata ad Al Qaeda, i recenti sviluppi sul terreno ed il successo apparentemente inarrestabile dell’ISIS e degli altri gruppi sunniti impegnati nella creazione del califfato del terzo millennio hanno sparigliato le carte in tavola e messo in crisi alcune sicurezze. I gruppi jihadisti che hanno preso il controllo di enormi porzioni di territorio a cavallo tra Iraq e Siria sono più ricchi che mai, spiegano Juan C. Zarate e Thomas M. Sanderson sulle pagine del NYT, e il denaro affluisce nelle loro casse segue percorsi estremamente articolati.
I soldi per le armi e il proselitismo, si nascondono, a volte, dietro le sembianze rassicuranti degli aiuti umanitari. Nei paesi del Golfo si organizzano aste ed eventi benefici allo scopo di raccogliere fondi per i rifugiati siriani o per alleviare le sofferenze dei bambini coinvolti nel conflitto. Il marketing umanitario è solo un pravento però. Chi partecipa a questi eventi ed elargisce finanziamenti sa bene che i fondi saranno destinati a gruppi combattenti e non ad organizzazioni no profit e che il loro utilizzo sarà deciso unicamente in funzione delle necessità espresse dal campo di battaglia e dalle strategie di propaganda. Alcuni rivoli del torrente dei finanziamenti si tramuteranno in cibo e medicine per i civili, ma la maggior parte dei fondi sarà utilizzata a scopi militari. 
I guerriglieri dell’ISIS e degli altri gruppi fondamentalisti non fanno affidamento solamente sui canali di finanziamento privati. Le vittorie sul campo producono risorse economiche immediatamente disponibili. Il caso più eclatante, in tal senso, si è verificato in occasione della presa della città di Mosul, nel nord dell’Iraq, da parte dello Stato Islamico. Il 10 di giugno i combattenti hanno svaligiato la principale banca della città mettendosi in tasca oltre 400 milioni di dollari in contanti e diventando, di fatto, il movimento integralista più ricco tra tutti quelli attualmente all’opera. Nessuno, sottolineano Zarate e Sanderson, ha il potere di impedire all’ISIS di spendere quella montagna di soldi come meglio crede.
Il finanziamento dei gruppi armati sunniti ha assunto ormai una dimensione duale o glocale. L’ISIS ha saputo accumulare ricchezza direttamente sul posto, svaligiando banche e prendendo il controllo delle forniture di petrolio; al contempo, i suoi successi militari hannorinvigorito il network globale dei finanziatori privati che nell’era delle guerre di Bush Jr si era gradualmente sfilacciato.
Per conservare il proprio appeal presso i donatori del Golfo e gli altri centri di finanziamento sparsi nei cinque continenti, i movimenti jihadisti hanno compreso la necessità di rendere duplice anche il contenuto della propria azione. Prendendo a modello realtà storiche e radicate territorialmente come Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano, l’ISIS e i suoi fratelli hanno cominciato ad intercalare le azioni militari con iniziative di tipo umanitario in favore delle popolazioni e delle vittime civili del conflitto. Un modello di governance e di welfare che facilita i rapporti dei miliziani con le popolazioni assoggettate al loro controllo e gli consente di usufruire dei flussi di donazioni elargite per “motivi umanitari”.
Questo cambiamento era del resto già in corso nel Nord Africa, dove il gruppo Al Qaeda per il Maghreb Islamico si finanzia da tempo con i proventi dei rapimenti e del contrabbando. Come le organizzazioni mafiose di casa nostra, i gruppi terroristici hanno compreso che la chiave del successo risiede nella diversificazione delle attività e degli affari e non solamente nei risultati delle campagne militari. In Afghanistan e in Pakistan, i Taliban hanno adottato la stessa strategia, operando rapimenti a scopo di estorsione e assumendo il controllo del contrabbando e dei traffici di eroina. Il movimento Shabab in Somalia è andato ancora oltre, organizzando un sistema di riciclaggio di denaro basato sull’import-export di carbone e zucchero e imponendo un sistema di tassazione sui territori sotto il proprio controllo.
Di fatto in Iraq oggi l’ISIS sta perfezionando un modello già sperimentato con successo altrove, riuscendo a renderlo efficiente su larga scala. Lo Stato Islamico sta ormai combattendo una guerra di tipo economico, attraverso il controllo delle risorse alimentari ed energetiche. I proventi di questa guerra vengono reinvestiti sul piano militare, ma non solo a livello locale. Da semplice destinatario delle iniziative di fund raising “Jihad-friendly”, l’ISIS è divenuto egli stesso un ente finanziatore e dalle sue casse partono i flussi di rifornimento che tengono in vita i movimenti integralisti nelle altre zone del mondo.
Come già riportato, l’ISIS si distingue anche per la capacità di utilizzo dei social network e, in tale ambito, le iniziative di auto-finanziamento non fanno eccezione. Twitter viene usato per promuovere campagne di investimenti o di finanziamento e per agiornare i donatori sullo stato di avanzamento delle azioni in corso. Al-Naba, La Notizia, è invece una vera e propria pubblicazione on-line attraverso la quale il gruppo rende noti i progressi di specifici progetti.
Come affrontare l’ISIS ed indebolirla militarmente ed economicamente? Zarate e Sanderson individuano la necessità di agire sul duplice canale e, in primo luogo, ritengono inevitabile un’azione di tipo militare, non necessariamente condotta dagli Stati Uniti, per sottrarre all’ISIS i territori che attualmente controlla. Parallelamente, occorre mettere in campo una strategia complessa ed articolata per prosciugare i canali di approvvigionamento esterni. Per riuscire nello scopo si dovrà intervenire contro i network di donatori internazionali, stringere accordi con i paesi coinvolti per rafforzare le misure legali di contrasto e rendere più severi i controlli di frontiera per interrompere i flussi di denaro contante, esercitare pressione costante su paesi come il Kuwait, il Qatar o la Turchia perché esprimano una reale volontà politica di isolamento nei confronti di quei settori che in modo opaco finanziano il terrorismo, nascondendosi dietro le sigle di sedicenti organizzazioni umanitarie.
Se non si saprà agire con intelligenza ed efficacia sui molti piani inclinati che compongono il panorama del nuovo jihadismo transnazionale, sarà difficile contrastarne le mire espansionistiche. Il rischio, per l'Occidente, è una nuova guerra al terrorismo contro un nemico forte e ben organizzato.
(AgoraVox)

Ucraina: a Donetsk ucciso un cameraman russo...







Anatoli Klian, 68 anni, che da 40 anni lavorava per la tv russa ed aveva compiuto diverse missioni pericolose. Seguiva separatisti per la tv pubblica di Mosca Perviy 

L'Ucraina continua ad essere un terribile teatro di guerra, morte e distruzione, non solo per militari e ribelli ma anche per civili e professionisti. Il cameraman dell'emittente russa Channel One (Pervyj kanal) è morto nella regione ucraina di Donetsk, a seguito di una ferita di arma da fuoco all'addome: è stato colpito al ventre da un proiettile, per lui non c'è stato nulla da fare.

«Questa notte - ha riferito il canale televisivo in un comunicato ripreso dalle agenzie di stampa russe - il nostro collega Anatoly Klyan, cameraman di Channel One è morto a Donetsk. La tragedia è avvenuta nei pressi di una delle unità dell'esercito», dove si trovava per filmare un servizio. «Sul posto - si legge ancora - sono stati sparati improvvisamente dei colpi dalla parte dei militari. Anatoly Klyan è stato colpito mortalmente all'addome. Aveva 68 anni».

Anatoli Klian da 40 anni lavorava per la tv russa e aveva compiuto diverse missioni pericolose, fa sapere l'emittente sul proprio sito. Insieme ad un gruppo di giornalisti russi stava seguendo a bordo di un pullman i filorussi dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk che si accingevano a incontrare le madri di alcuni soldati che erano venute a supplicare che i loro figli potessero lasciare la zona. Il viaggio verso l'unità dell'esercito era stato organizzato dal servizio stampa dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. I giornalisti stavano viaggiando a bordo di un autobus con le madri dei soldati che intendevano chiedere il rientro a casa dei loro figli in servizio.

«Una volta sul posto, sono partiti dei tiri da parte dei militari e Anatoli Klian è stato colpito a morte al ventre», scrive la tv. Anche l'autista del pullman è rimasto ferito. Dopo gli spari i giornalisti sono riusciti a raggiungere un autobus e ad allontanarsi di circa 500 metri. Successivamente ci sarebbe stata una nuova sparatoria, in cui è rimasto ferito Klyan. L'uomo è stato trasportato in ospedale dai suoi colleghi, ma è deceduto per le gravi ferite riportate.
(Globalist)

Armi chimiche Siria, Gioia Tauro si prepara per il trasbordo...





Il porto sarà blindato a partire da domani notte. Centinaia di uomini delle forze dell'ordine garantiranno l'isolamento della zona in cui avverà il trasferimento dei 60 container carichi di 570 tonnellate di agenti letali

Iraq: scontri tra Stato Islamico e rivali confine Siria. Bagdad: "Califfato minaccia il mondo"...





Combattimenti al valico di Bukamal. Miliziani dell'Is hanno proclamato la nascita del califfato islamico da Aleppo a Diyala

BEIRUT - Intensi combattimenti tra il gruppo estremista Stato Islamico e le brigate islamiste rivali si sono registrati nella località siriana di al-Bukamal, alla frontiera con l'Iraq. Lo riferisce l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. Secondo l'ong, lo Stato islamico ha ricevuto rinforzi militari dal deserto che circonda al Bukamal, nella provincia siriana di Deir al-Zur, ad appena 3 chilometri dal villaggio iracheno di al-Qaem, in mano all'organizzazione estremista.

In contemporanea, aerei del regime di Bashar al-Assad hanno bombardato i villaggi di Al Basira e al Quria, a Deir al Zur, dove ci sono stati gli scontri tra lo Stato islamico e il Fronte al-Nusra, propagine di al-Qaeda in Siria. Venerdì il Fronte al-Nusra e i suoi alleati avevano lanciato un'offensiva per recuperare i controllo di al-Bukamal: la località era in mano al gruppo Yund al Haq, Soldati del Diritto, che prima era legata al Fronte al Nusra, ma la settimana scorsa aveva giurato fedeltà allo Stato Islamico.

Ancora combattimenti a Tikrit. Le forze irachene sostenute da carri armati ed elicotteri militari stanno combattendo gli insorti sunniti che hanno preso il controllo di Tikrit, città natale di Saddam Hussein nel nord del Paese. Le truppe stanno ricevendo rinforzi con l'arrivo, nella tarda giornata di ieri, di 25 aerei da guerra Sukhoi Su-25, acquistati di seconda mano dalla Russia. I velivoli sono progettati per fornire supporto alle truppe di terra e distruggere obiettivi in movimento. "Questi aerei - dichiara il comandante dell'aviazione generale Anwar Hama Amin - entreranno in servizio entro pochi giorni, tre o quattro, per sostenere le unità e combattere i terroristi dello Stato islamico".

Minaccia per mondo intero. Ieri i jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq hanno annunciato la ricostituzione del Califfato, regime politico islamico sparito da circa un secolo. In un audio su Internet, l'Is ha anche designato il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi "califfo", cioè "capo dei musulmani" nel mondo. Secondo gli autori del filmato, il nuovo "stato" si dovrebbe estendere da Aleppo (Siria) a Diyala (Iraq).

"Le parole 'Iraq' e 'Levante' sono state rimosse dal nome dello stato islamico nei documenti ufficiali", ha precisato il portavoce dell'Isil (che dunque diventa Is), Abu Mohammad al-Adnani, nella registrazione audio diffusa in Rete, in cui ha sottolineato come il califfato rappresenti "il sogno di tutti i musulmani" e "il desiderio di ogni jihadista".

La proclamazione di un califfato islamico nell'ampio settore a cavallo tra Iraq e Siria è il segnale che il gruppo jihadista è diventato "una minaccia" per il mondo intero, ha detto il portavoce dell'esercito iracheno, Qassim Atta. "L'annuncio della nascita di un califfato è un messaggio da parte dello Stato islamico non solo per l'Iraq o la Siria, ma per la regione e il mondo. Il messaggio è che lo Stato islamico è diventato una minaccia per tutti i Paesi".
(R.it)

Isis: chi sono quelli che hanno proclamato il califfato in Iraq e Siria...





di  - Emerso da qualche mese come protagonista nella guerra civile siriana, ora si fa largo anche in Iraq


Un gruppo estremista e violento, nato da una costola di al Qaeda e diventato in pochi mesi  il maggiore fattore di destabilizzazione del Medio Oriente tanto che nei giorni scorsi ha proclamato la costituzione di un califfato: è l’Isis
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La taglia su al Baghdadi
UNA FORMAZIONE GIOVANE - L’ISIS nasce nell’aprile del 2013 da una costola di al Qaeda in Iraq (AQI) e si segnala fin da subito come uno dei gruppi più attivi nel caos della guerra civile siriana, alimentando allo stesso tempo un netto aumento della violenza in Iraq a forza di attentati ed esecuzioni. Guidata da Abu Bakr al-Baghdadi, un combattente emerso dalla resistenza sunnita all’invasione americana del 2003.
LA SCISSIONE - Insofferente alla guida di al Zawahiri, il teologo leader di al Qaeda, che gli aveva ordinato di dedicarsi al teatro siriano, Baghdadi si è messo in proprio con i suoi, al punto da finire scomunicato dalla casa-madre. Nel 2014 i ribelli siriani hanno costituito un’alleanza contro l’ISIS, alleanza alla quale se è associato anche il fronte al Nusra, i qaedisti che in Siria sono riconosciuti da al Qaeda. Oltre a una base locale tra i sunniti iracheni e siriani, l’ISIS conta soprattutto sull’afflusso di combattenti dall’estero, secondo le stime che circolano può contare da un minimo di 4.000 a un massimo di 10.000 combattenti, non molti, ma molto determinati e pronti anche al suicidio.
LA DENOMINAZIONE - La formazione è conosciuta con diverse denominazioni, anche se ultimamente si è consolidata nell’uso comune quella di ISIS, acronimo che traduce Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, in ISIL sostituida dal «Levante», termine di origine occidentale con il quale un tepo s’indicava la regione e Oriente del Mediterraneo. A loro piace definirsi anche al Sham, un termine che si può tradurre con Damasco, il Levante o Grande Siria e che fa riferimento all’uso che se ne faceva nel settimo secolo per indicare i territori sotto il controllo dei califfi musulmani.
IL CALIFFATO - E proprio nel fine settimanA quelli dell’ISIS hanno proclamato la costituzione del califfato, una dichiarazione che ha lasciato più d’uno perplesso, anche se tradisce chiaramente l’intenzione di farsi stato e di combattere per un riconoscimento in tal senso. Uno stato per ora senza confini, senza califfo, senza esercito e senza alcun riconoscimento, tanto che proprio dal mondo islamico sono giunte le reazioni più scettiche, quando non platealmente ostili.
TUTTI CONTRO L’ISIS - Quelli dell’ISIS infatti non piacciono, sono un gruppo militare che impone una legge spietata dove riesce a radicarsi, imponendo costumi da fanatici, punizioni medioevali e facendo strage di sciiti e di cristiani, oltre a dedicarsi a demolire chiese e santuari che considera eretici. Abbastanza da preoccupare gli abitanti della regione, nella quale neppure i gruppi più estremisti sembrano intenzionati a fare altro che combatterlo, anche perché espandendo le sue mire anche su Giordania, Israele, Palestina, Libano e la Turchia meridionale, l’Isis è riuscito a mettere d’accordo anche nemici giurati sulla necessità di liberarsene al più presto. Proprio com’è accaduto in Siria, dove la santa alleanza che gli s’oppone ha solo anticipato quella poi vista all’opera tra Damasco e Baghdad, che ha visto addirittura il premier iracheno al Maliki congratularsi con Assad perché i suoi aerei avevano bombardato in Iraq per colpirli.
(Il Giornalettismo)

Pakistan, l’obiettivo è il leader di Al Qaeda...





L'esercito, entrato nel Waziristan, punta alla cattura del numero di Al Qaeda, sempre più isolato.


La storia sembra un paradosso: in Iraq gli islamisti dichiarano la formazione delCaliffato, in Pakistan il leader di Al Qaeda rischia di essere vittima dell’operazione lanciata dall’esercito.
Le forze di sicurezza pachistane, infatti, stanno proseguendo l’operazione militare in Waziristan con l’impiego di truppe terrestri. La campagna è iniziata lo scorso 15 giugno ed è stata denominata Zarb-e-Azb. L’obiettivo è quello di eliminare le sacche di resistenza talebane, spesso coperte dai capi tribali delle zone più impervie del Paese.
Gli attacchi dell’esercito sono stati promossi dopo il fallimento dei negoziati di pace con i gruppi islamisti: il premier Nawaz Sharif ha cercato di risolvere lo scontro senza spargimenti di sangue, ma i guerriglieri hanno rifiutato le condizioni.
L’offensiva del Waziristan ha in realtà un obiettivo molto ambizioso: catturare il leader di Al Qaeda, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, che è protetto dai suoi fedelissimi in quell’area. L’erede di Osama Bin Laden è già in difficoltà, perché la sua leadership è messa in discussione dall’ascesa di Abu Bakr al-Baghdadi, il numero uno di Isis che in Iraq sta ottenendo molti successi.
L’operazione, molto dispendiosa da un punto di vista militare, ha provocato circa 400 vittime. Ma il bilancio è destinato ad aggravarsi, visto il progetto del governo di eliminare i jihadisti legati ancora al vecchio regime e all’influenza qaedista.
(Il Journal)

domenica 29 giugno 2014

Immigrazione, barcone soccorso nel Canale di Sicilia: 30 cadaveri a bordo...







Peschereccio preso a rimorchio dai mezzi della Marina militare. A bordo c'erano oltre 590 persone


Un peschereccio con a bordo oltre 600 profughi e almeno 30 cadaveri, è stato soccorso dai mezzi della Marina militare nel Canale di Sicilia. L'imbarcazione è stata presa a rimorchio per essere portata martedì nel porto di Pozzallo, nel Ragusano. Gli immigrati sarebbero morti per asfissia: i corpi, che si trovano in una parte angusta dell'imbarcazione, saranno recuperati dopo l'arrivo del peschereccio a Pozzallo.
Immigrazione, barcone soccorso nel Canale di Sicilia: 30 cadaveri a bordo
Proprio la posizione in cui si trovano i corpi ha impedito il loro immediato recupero: solo un paio di cadaveri sono stati portati a bordo della nave militare. Già soccorse invece due donne incinta Quella che si è conclusa domenica tragicamente è stata un'altra giornata di soccorsi per gli uomini e le unità del dispositivo Mare Nostrum. Da venerdì le navi della Marina militare e della Guardia costiera hanno soccorso sette barconi e hanno salvato 1.654 persone partite dalle coste africane.

Il primo intervento, venerdì mattina, è stato eseguito dalla nave Dattilo della Guardia costiera, che ha preso a bordo 416 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà. Quattro invece le imbarcazioni soccorse dalla nave Grecale: un primo intervento, nei confronti di un barcone che aveva una falla ed era alla deriva, ha consentito il salvataggio di 227 persone, tra cui 19 donne e 18 minori.

Successivamente sono state soccorse altre 218 persone (tra cui 29 donne e 39 minori) su un barcone e 84 su un gommone che aveva difficoltà di galleggiamento. L'ultimo intervento ha coinvolto un barcone con a bordo 327 migranti, di cui 13 donne e 25 minori. Sono complessivamente 382, invece, gli immigrati che erano sulle due imbarcazioni soccorse da nave Orione della Marina militare.
(TGCOM24)

Caos in Medio Oriente e il mondo si interroga su come intervenire...





L’Isis ricostituisce il califfato dall’Iraq alla Siria. Israele appoggia i curdi. Papa Francesco invita al dialogo.


La notizia rischia di destabilizzare tutto il Medio Oriente e ha riportato la memoria all’anno 1924 quando è crollato l’impero Ottomano Il portavoce dei jihadisti dell’Isis (l’organizzazione ha assunto da ieri la nuova denominazione di Stato Islamico) Abu Mohammad al - Adnani ha comunicato in un audio su internet che si è avverato “il sogno di tutti i musulmani” perchè, al termine della riunione del consiglio dello Sato islamico, è stato ricostituito il regime politico del Califfato che si estende tra il nord della Siria a partire dalla città di Aleppo fino a quella di Diyala situata nell’Iraq orientale.
La nuova organizzazione politica sarà guidata da un Califfo riconosciuto dai musulmani di tutto il mondo, lo sceicco Abu Bakr al – Baghdadi, che ha già giurato fedeltà al nuovo stato. Il ministero della Difesa iracheno ha riferito che la Russia ha inviato al suo paese cinque aerei da guerra (altri ne arriveranno prossimamente) da utilizzare contro l’avanzata degli estremisti. Baghdad ha anche annunciato che Tikrit, la città natale di Saddam Hussein, è nuovamente sotto il controllo delle forze governative dopo una battaglia contro gli jihadisti che ha provocato circa un migliaio di morti e la fuga di moltissimi residenti.
I qaedisti hanno giustiziato ad Aleppo, in Siria, otto miliziani per poi esporre i loro cadaveri su croci di legno. Lo scenario geopolitico, dopo quanto è accaduto ieri, potrebbe ulteriormente complicarsi dato che Israele ha affermato di volere “costruire una barriera di sicurezza anche ad est” da Eliat fino a quella già edificata sulle alture del Golan e creare una coalizione di forze regionali moderate che contengano da un lato gli estremisti sunniti legati ad Al qaeda e dall’altro gli sciiti sostenuti dall’Iran (con cui il governo di Tel Aviv non è proprio in buoni rapporti).
Un grosso problema potrebbe emergere in futuro per la decisione del premier israeliano di sostenere pure la realizzazione di uno stato indipendente nel Kurdistan iracheno nonostante la contrarietà della Turchia (paese membro della Nato) che vedrebbe minacciati i propri confini e quella degli Stati Uniti che puntano all’integrità territoriale dell’Iraq.
La situazione complessiva rischia di aggravarsi anche a causa delle forti tensioni di queste ore tra israeliani (appoggiati storicamente dagli Usa) e palestinesi. Il Medio Oriente potrebbe incendiarsi dato che gli iraniani e i siriani sostengono alcune organizzazioni palestinesi come Hezbollah e i governi di Teheran e Damasco (considerati ostili dall’occidente) godono, a loro volta, di una stretta alleanza militare ed economica con la Russia.
Il rischio che il corso degli eventi possa andare fuori controllo è molto alto perché potrebbero generarsi alcuni scontri militari diretti o indiretti tra grandi potenze come gli Stati Uniti e il Cremlino (essi purtroppo continuano ad avere molte divergenze sui principali temi di politica estera) dal momento che queste zone sono ricche di risorse, come il petrolio, che interessano loro e gli altri big della comunità internazionale.
Papa Francesco, durante l’ angelus di ieri, ha pregato con i fedeli presenti in piazza san Pietro per il popolo iracheno e ha espresso la propria vicinanza alle famiglie delle vittime ricordando a tutti che “il dialogo è l’unica via per la pace”.
(Blasting.news)