Di Luca Lampugnani
A tutti gli effetti, come sostenuto dalle Nazioni Unite, quella siriana è una delle crisi umanitarie peggiori della storia recente. Armi chimiche, stupri sistematici usati per colpire la popolazione, demolizioni nelle aree 'nemiche' e assedi che portano allo stremo i civili sono una realtà ormai consolidata, mostrata al mondo durante i tre anni di guerra civile tutt'ora in corso. Inoltre, come rivela l'ultimo studio condotto da Physicians for Human Rights (Medici per i Diritti Umani), una nuova ombra si sta addensando nel cielo siriano.
"La Siria è tra i peggiori esempi per quanto riguarda attacchi a strutture mediche e operatori sanitari come arma da guerra", spiega Donna McKay, direttore esecutivo dell'Organizzazione Internazionale. Stando all'ultima ricerca del PHR, infatti, dal 2011 ad oggi sono ben 150 gli attacchi registrati, i quali hanno colpito 124 strutture diverse dislocate in tutto il Paese - la più alta concentrazione si ha nelle regioni controllate dai ribelli. Inoltre, sono 468 gli operatori del settore (medici, infermieri) che hanno perso la vita. Una vera e propria tendenza che nasconde una violazione piena della Convenzione di Ginevra, senza considerare che se dovesse essere riconosciuta a tutti gli effetti come sistematica potrebbe essere riconosciuta come crimine contro l'umanità.
Entrando nel dettaglio, di questi 150 attacchi ben 136 sono attribuibili all'azione dell'Esercito regolare di Damasco, 10 alle fila dei ribelli - 9 di questi solo nell'arco del 2013 - mentre i restanti 4 rimangono momentaneamente senza un colpevole. Come afferma Erin Gallagher, direttore di uno degli uffici del PHR, "la natura sistematica di questi attacchi riflette l'indifferenza del governo per la salute e la vita dei civili", aggiungendo che "i medici e gli infermieri che si sono impegnati nel tentativo di curare chiunque, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche, sono stati uccisi mentre tentavano di salvare vite nelle circostanze estenuanti" della guerra civile. "Come medici - racconta un dottore di Aleppo al Guardian, rimanendo però anonimo per motivi di sicurezza -, siamo spesso percepiti come nemico perché tentiamo di curare tutti, indipendentemente dalle loro opinioni politiche".
Insomma, giorno dopo giorno, tra morti, feriti, rifugiati e profughi, la crisi siriana si sta trasformando in un ordigno sempre più difficile da disinnescare. A sottolineare questo aspetto sono arrivate martedì le dimissioni di Lakhdar Brahimi, inviato delle Nazioni Unite in Siria come mediatore. Il passo indietro, che avrà effetto solo dal 31 maggio, arriva dopo due colloqui completamente falliti a Ginevra - si sarebbe dovuto trovare un accordo tra opposizione e regime -, complicati ulteriormente dalla tensione internazionale dovuta alla crisi dell'Ucraina.
Intanto, mentre i rifugiati in Libano superano quota un milione, all'inizio di giugno un Paese devastato dovrà sottoporsi ad un appuntamento elettorale farsa - i dubbi sono molteplici: come può essere mantenuta la sicurezza? Come possono esprimere un parere tutti i cittadini se molte zone sono sotto il controllo dei ribelli? -, un'elezione (se così si può chiamare) sfruttata da Bashar al Assad come passerella, tanto che nonostante la presenza di un secondo candidato - utile come specchietto per le allodole -, la 'rielezione' del presidente sembra già cosa fatta.
(International Business Times)

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