di francesco Giappichini
La piaga della tortura, in America latina non è stata debellata. Né vi sono segnali incoraggianti per il suo sradicamento nella Regione. Il rapporto pubblicato nelle scorse ore da Amnesty Internationalparla chiaro: il timore di violenze da parte della Polizia - o dei più svariati corpi paramilitari - è diffuso un po' in tutta l'area. A colpire è soprattutto la sfiducia dei cittadini nei sistemi penitenziari, ma andiamo con ordine, rendendo tutto più chiaro con qualche numero.
In Brasile, solo il diciotto per cento degli intervistati ha affermato di essere 'tranquillo' - ossia assolutamente fiducioso di non subire torture - casomai fosse tradotto in carcere. La percentuale sale al venti in Messico, al trentacinque in Perù, e al quarantotto in Argentina. Ove comunque un terzo del campione ha affermato di temere concretamente delle violenze, nel caso dovesse sprofondare nel tunnelcarcerario. Ciò che però ha sorpreso più di ogni altro aspetto i ricercatori, è l'elevata percentuale degli intervistati che tollerano questa pratica. Il quindici per cento degli argentini si dice «d'accordo» con l'affermazione secondo cui la tortura è a volte necessaria e accettabile, se si tratta di ottenere informazioni utili a proteggere la popolazione. E in India e Cina le cose vanno molto peggio: la percentuale di chi tollera la pratica raggiunge addirittura quota settantaquattro per cento (a livello globale siamo invece al trentasei).
Se poi si analizza il ricorso effettivo ai sistemi di tortura (trattamenti crudeli, inumani e degradanti, perpetrati da corpi incaricati dell'ordine pubblico), la situazione più preoccupante appare quella del Messico. Secondo l'opinione di Juan E. Mendez, relatore speciale sulla Tortura dell'Organizzazione delle Nazioni unite, in questo Paese siamo di fronte a una situazione endemica di «tortura generalizzata». Una «pratica permanente», che tuttavia - a giudizio del funzionario - non consisterebbe in una vera e propria politica di Stato, decisa dalle alte sfere. I fatti occorrerebbero soprattutto entro le ventiquattro ore dall'arresto, prima che lo stesso sia formalizzato e il fermato sottoposto all'Autorità giudiziaria. Mendez è convinto che alla base del raggelante fenomeno vi sia l'impunità dei responsabili, seppure, come detto, non creda all'esistenza di espliciti ordini, del tipo «vadano e torturino». E se il fine sono le confessioni - o comunque, le 'soluzioni' dei casi a ogni costo - l'apice delle violenze si sarebbe toccato un paio di anni fa, quando l'offensiva contro la criminalità organizzata attraversava la fase più cruenta.
Per quanto riguarda la nostra esperienza personale, possiamo confermare di averne sentite, ma anche viste di tutti i colori; e ci scusiamo se questo spazio non può consentirci di elencare tutti gli episodi. Consigliamo poi, a chi avesse interesse ad approfondire il tema, di entrare in contatto con la giornalista e militante italiana, Annalisa Melandri. Membro della Comisión nacional de los derechos humanos (Cndh) della Repubblica dominicana, è responsabile delle Relazioni internazionali della sezione de La Romana. La nostra connazionale potrà mostrarvi un'ampia documentazione (anche fotografica) sulla ripugnante pratica, cui si continua a ricorrere ampiamente nell'intera America latina.
(Lettera 43)

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