sabato 31 maggio 2014

Meriam, ancora una svolta: sarà liberata tra pochi giorni...





La giovane sudanese verrà liberata entro qualche giorno: a darne notizia le autorità sudanesi.

Soltanto nella giornata di oggi era giunta notizia di come Meriam, la 27enne sudanese accusata di adulterio e apostasia. fosse stata condannata a ricevere cento frustate per aver partorito un figlio con un cristiano, nei giorni scorsi.
Ora, un aggiornamento non può che far esultare tutti gli attivisti che, nelle ultime settimane, si sono battuti affinché la giovane venisse tutelata e liberata: le autorità sudanesi hanno infatti annunciato che, a seguito delle mobilitazioni della comunità internazionale, la quale ha accusato il Paese di tenere un comportamento barbaro e arcaico, Meriam sarà liberata presto.
La notizia giunge a poche ore dall'intervento in merito di David Cameron, il premier britannico, che non aveva esitato a definire la vicenda un atto "non accettabile nel mondo moderno", dove la "religione è tra i diritti umani fondamentali".

Secondo quanto rivelato dalla Presidente di Italians for Darfur Antonella Napoli, le accuse nei confronti di Meriam sarebbero cadute in quanto "la costituzione ad interim del Sudan riconosce la libertà religiosa". Secondo fonti locali, la scarcerazione potrebbe non avvenire però prima di due settimane.
(Articolo Tre)

Al Qaeda, governo iracheno denuncia: “Usati disabili mentali come bombe umane”...





Hassan era uno di questi, raccontano i media locali, vent’anni, disabile mentale dalla nascita, e soprannominato Al Mabruk, tradotto "il benedetto". Al Mabruk è stato rapito, imbottito di tritolo e fatto esplodere a un posto di blocco, provocando così la morte, oltre alla sua, di quattro poliziotti.

 “Almeno sette disabili mentali dall’inizio dell’anno sono stati utilizzati in Iraq dai terroristi di Al Qaeda come bombe umane”.  Lo ha denunciato in questi giorni il governo iracheno nella speranza di richiamare l’attenzione internazionale.
Hassan era uno di questi, raccontano i media locali, vent’anni, disabile mentale dalla nascita, e soprannominato Al Mabruk, tradotto “il benedetto”. Al Mabruk è stato rapito, imbottito di tritolo e fatto esplodere a un posto di blocco, provocando così la morte, oltre alla sua, di quattro poliziotti.

L’Isis, un gruppo terroristico legato ad Al Qaeda, sostiene il portavoce del ministero dell’Interno, generale Saad Maan, “rapisce malati mentali nelle strade, fa indossare loro giubbetti esplosivi e li fa saltare in aria con congegni a distanza”.
(blitz quotidiano)

Kafr Batna...durante i bombardamenti...(Video)





YEMEN. Dieci milioni di persone senza cibo...



                                          (Foto: Mohamed al-Sayaghi/Reuters)

Nazioni Unite: metà della popolazione è malnutrita. A monte la povertà strutturale, l’instabilità politica e la costante dipendenza dalle esportazioni estere.

Nena News – Metà della popolazione dello Yemen ha fame. È l’annuncio drammatico dato ieri dall’agenzia delle Nazioni Unite, World Food Program, alla conferenza stampa di Ginevra. Il Paese si sta impoverendo e oltre dieci milioni di persone – su una popolazione totale di 25 – è denutrito. Ovvero, necessitano di sostegno umanitario immediato. Lo scorso mese il WFP è riuscito a consegnare aiuti a circa 840mila persone, una goccia nel mare.
Al dato choc si aggiunge quello fornito da Johannes Van Der Klaauw, il nuovo coordinatore umanitario dell’Onu in Yemen: a maggio milioni di yemeniti non hanno avuto accesso ad acqua potabile e pulita e ad un’assistenza sanitaria adeguata. Servirebbero, ha detto, 600 milioni di dollari per affrontare l’emergenza, ma solo il 20% del budget previsto è ad oggi disponibile: “I continui bisogni umanitari dello Yemen non hanno mai avuto tanta necessità di un intervento internazionale”.
A preoccupare soprattutto il tasso di denutrizione tra i bambini: metà dei minori di 5 anni (un milione di bambini) non mangia abbastanza, ha detto la portavoce del WFP, Elisabeth Byrs. Per questo sarà lanciato un nuovo progetto, “Recovery Operation”, con un target previsto di sei milioni di persone ed un costo previsto di 491 milioni di dollari. Un preventivo enorme se si pensa che l’agenzia Onu gode solo di altri 117 milioni fino alla fine dell’anno.
A monte la povertà strutturale della popolazione yemenita, aggravata dalla difficile transizione politica dopo la deposizione del trentennale presidente del Paese, Ali Abdullah Saleh, seguita alle sanguinose proteste di piazza. L’instabilità politica sta peggiorando le già gravi carenze dello Yemen, a cui si aggiungono l’atavica dipendenza del Paese dalle esportazioni  (il 90% dei prodotti alimentari arriva dall’estero) e la continua crisi energetica dovuta alla mancanza di carburante, che impedisce gli spostamenti e causa frequenti blackout.
La conseguenza diretta della crisi economica e dell’estrema povertà della popolazione è la decisione di molti yemeniti di vendere terre e bestiame, non abbastanza produttivi, per racimolare denaro necessario all’acquisto di beni alimentari. Spesso per provvedere alle necessità della famiglia, milioni di yemeniti sono costretti a indebitarsi, entrando così in un pericoloso circolo vizioso.

Siria: le elezioni insanguinate di Damasco...





Di Luca Lampugnani | 31.05.2014
Fortemente volute da Damasco, bollate come una farsa dall'Occidente, martedì 3 giugno la Siria conoscerà le prime elezioni presidenziali multi-candidato della sua storia. In precedenza, infatti, il sistema elettorale per la scelta della guida del Paese prevedeva sostanzialmente che il nome venisse deciso dal Baath - il partito che detiene il potere a Damasco -, salvo poi essere sottoposto al consenso popolare tramite un referendum: se il 'candidato' superava il 50% dei 'si', allora diventava a tutti gli effetti il presidente della Siria. E, ovviamente, con percentuali bulgare - Bashar al Assad, presidente dal 2000, ha ottenuto sia allora che nel 2007 qualcosa come il 99% delle preferenze. Tuttavia, le elezioni di quest'anno assumono tutto un altro significato rispetto a quelle del passato.
Per il già citato Assad, ovviamente in corsa e vincitore annunciatissimo, questo sarà infatti un appuntamento elettorale dai molteplici aspetti:
1)  Prima di tutto, sarà l'occasione per mostrare (a chi ci vuole e vorrà credere) il volto democratico della Siria, bollata da tutti come nelle mani di un dittatore ma nella realtà in grado di organizzare delle elezioni dove è rispettata la pluralità. Poco importa se senza troppe spiegazioni dei 24 sfidanti iscritti ne siano rimasti solo 2: Hassan bin Abdullah Al-Nouri, ex ministro di uno dei governi presieduti dal padre di Bashar al Assad, Hafez al-Assad, e Maher Abdel Hafiz Hajjar, comunista, in qualche caso pacificamente contro il governo.
2)  In secondo luogo, daranno al numero uno di Damasco quella legittimazione popolare che, in un colpo solo, spazzerà via ogni voce di ribelle o dissidente - rigorosamente dipinti dal regime come un fronte di terroristi senza scrupoli -, schiaffeggiando idealmente coloro che hanno tentato di sfruttare la guerra per deporre il legittimo potere del Baath e della premiata ditta Assad.
3)  Terzo ed ultimo aspetto, l'ovvio e scontato risultato che uscirà dalle urne suggellerà con il voto la definitiva sconfitta degli insorti, secondo non pochi report in difficoltà sul campo di battaglia mentre l'Esercito regolare, tra un bombardamento e l'altro, sembra stia guadagnando terreno  giorno dopo giorno.   
Proprio per far si che il presidente possa mettersi in tasca tutto questo, le elezioni si terranno a qualsiasi costo. Lo ha messo in chiaro, qualche mese fa, Assad, cui hanno fatto eco le parole del ministro dell'Informazione, Omran Zoabi: "non permetteremo che problematiche relative alla sicurezza, al conflitto in corso, o che per ragioni politiche interne o esterne vengano ritardate o annullate le elezioni presidenziali". The show must go on, insomma, lo spettacolo deve continuare. E così, nonostante si susseguano senza sosta gli scontri e puntualmente la guerra torni sulle pagine dei giornali tra presunte bombe al cloro e massacri, il voto siriano poggerà i piedi sui corpi delle oltre 160 mila vittime del conflitto e dei milioni di rifugiati, non curandosi di quanto sarà inevitabilmente difficile mettere in pratica l'elezione laddove, per esempio, il Paese è in mano ai ribelli.
Nel frattempo, nell'attesa dell'appuntamento elettorale in Patria, nei giorni scorsi i tantissimi rifugiati in Libano e in Giordania hanno fatto da apripista per le presidenziali, partecipando in gran numero al voto anticipato. Dati precisi sull'affluenza è pressoché impossibile averne, così come molto difficilmente i risultati saranno presto noti (benché rimangano del tutto scontati), ciò non toglie che coloro che si sono recati alle urne - le ambasciate siriane nei due Paesi - sembra abbiano espresso più di un favore all'indirizzo di Assad, ritenuto da molti, dopo tre anni di estenuante guerra, l'unico uomo in grado di sconfiggere coloro che hanno distrutto la Siria.
Tuttavia, al di la di tutte le parole che possono essere spese, solo una sembra essere la grande verità di queste elezioni: la loro violenza. Violenza che si esprime e si esprimerà in tutti i sensi, da quella fisica dovuta ai morti, ai feriti e agli scontri - il voto di per se potrebbe essere l'ottimo pretesto per un bagno di sangue senza precedenti -, fino a quella propagandistica, dove un appuntamento teoricamente democratico viene spogliato di ogni suo significato e sfruttato come mera bandiera di autocelebrazione.
Intanto, lontano e sullo sfondo, rimangono i grandi interessi internazionali che si muovono sopra il cielo di Damasco, ormai incapaci di mettere fine ad una situazione che, in complicità con Assad, hanno contribuito a creare. Tanto gli Stati Uniti quanto la Russia - impegnate nell'ennesima puntata di Guerra Fredda, poi abbandonata, almeno mediaticamente, per l'Ucraina -, fino ai Paesi del Golfo e l'Iran - attori protagonisti di una guerra religiosa intestina all'islam che prosegue ormai da tempo -, ognuno ha il suo pezzo di responsabilità per quanto sta succedendo in Siria. Nessuno escluso.   

(International Business Times)

Siria, gli aiuti umanitari faticano ad arrivare a Damasco...





di Mauro Pompili

I convogli carichi di cibo vengono bloccati. O deviati lungo il percorso. E i civili muoiono di fame. Oltre 100 persone hanno perso la vita in due settimane a Yarmouk. E la lista continua ad allungarsi.

Erano persone, ma sembravano fantasmi.
«Uomini e donne con la faccia nera perché non c’è una goccia d’acqua per lavarsi, che vagavano per le strade alla disperata ricerca di cibo e medicinali».
Marawan Hanedye, un operatore di Wfp, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa degli aiuti alimentari, è da poco rientrato da una missione nella zona Sud di Damasco. «La gente è così affamata che quando c'è una distribuzione di cibo non torna neppure a casa per mangiare. È doloroso vedere uomini adulti in piedi mangiare lì, sulla strada».
100 MORTI IN DUE MESI A YARMOUK.Yarmouk, Jaramana, Hajar al Aswad, sono i sobborghi alla periferia meridionale della capitale siriana dove da tre anni si combatte una delle battaglie più lunghe e violente della guerra civile. Decine di migliaia di persone, che non sono riuscite a fuggire. Ostaggi stretti tra i gruppi islamici più integralisti, che hanno fatto di quelle aree la loro roccaforte, e l’esercito che impedisce a chiunque di entrare e uscire.
Secondo le stime delle Nazioni Unite sono 250 mila i siriani intrappolati in quella sacca e negli ultimi due mesi solo nel campo palestinese di Yarmouk più 100 persone sono morte per fame o per mancanza di farmaci essenziali.
I RIFORNIMENTI DI CIBO SCARSEGGIANO. L'agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) riesce sporadicamente a consegnare aiuti, soprattutto alimentari, quando ottiene il permesso del governo. Lo scorso mese di aprile i convogli sono potuti entrare solo nelle prime due settimane.
«Questi risultati ci obbligano, con dolore, a dichiarare che le risoluzioni delle Nazioni Unite sugli aiuti umanitari in Siria non sono ancora attuate», ha detto Chris Gunness, portavoce di Unrwa.
A febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 2139, ha imposto a governo e opposizione di consentire l’accesso ai convogli umanitari nelle aree dove si trovano i civili, ma secondo gli operatori poco o nulla è cambiato.
LA RISOLUZIONE: «GARANTIRE GLI AIUTI». La risoluzione è stata approvata con il voto favorevole di Russia e Cina, alleati di Bashar al Assad, e chiede che «tutte le parti impegnate nel conflitto consentire prontamente un accesso umanitario rapido, sicuro e senza ostacoli per le Agenzie umanitarie delle Nazioni Unite e i loro partner operativi». Inoltre, nel testo si richiede l’accesso attraverso corridoi da oltreconfine, al fine di garantire che l’assistenza umanitaria possa raggiungere tutte le persone bisognose.

Convogli costretti su itinerari complicati

Nelle aree controllate dall’esercito regolare le Agenzie delle Nazioni Unite operano con il permesso del governo, un permesso che potrebbe essere rifiutato se intervenissero nelle zone in mano ai ribelli senza il consenso di Damasco.
La risoluzione ha consentito all’Onu di raggiungere anche alcune aree in mano ai miliziani nella città di Aleppo, ma i convogli sono stati costretti a percorrere un itinerario lungo e percorso partendo da Damasco piuttosto che dalla Turchia. In un solo caso agli aiuti è stato concesso di passare dalla frontiera turca, utilizzando un valico controllato dal governo.
Intanto ai problemi della guerra sta per aggiungersi lo spettro della carestia. Gli effetti del conflitto e la pesante siccità hanno portato ai minimi storici la produzione agricola, colpendo soprattutto il raccolto di grano.
LA CRISI DEL GRANO. Gli esperti prevedono che la produzione di alimenti di base possa crollare a un terzo dei livelli di prima del conflitto, per il frumento si stima un raccolto al di sotto di 1 milione di tonnellate. Un risultato mai registrato negli ultimi 40 anni. L’ultima volta che il raccolto di grano non superò il milione di tonnellate era il 1973.
Nei giorni scorsi il segretario Generale dell’Onu, Ban Ki–moon, ha dichiarato che «nessuna delle parti in conflitto ha aderito alle richieste del Consiglio di Sicurezza. La popolazione siriana continua a morire senza motivo ogni giorno».
SITUAZONE DRAMMATICA. La risoluzione autorizza il Consiglio ad adottare sanzioni in caso di mancata applicazione. Questo, però, richiederebbe una nuova risoluzione, che difficilmente avrebbe l’approvazione di Russia e Cina.
A quattro anni dall’inizio del conflitto le esigenze si moltiplicano e gli aiuti sembrano scemare. «La situazione è drammatica», dice Mohamed Hazam di Wfp, «quelle foto che hanno fatto il giro del mondo mostrando centinaia di persone in fila in attesa della consegna del pane non riescono a descrivere la realtà».
Sabato, 31 Maggio 2014
(Lettera 43)

Strage di civili in Afghanistan...





Le vittime, sette donne, tre bambini e due uomini che si stavano rientrando da un matrimonio, sono state uccise da un ordigno, piazzato sul ciglio di una strada nella provincia di Ghazni, nell'Est del Paese, esploso al loro passaggio in auto. L’attentato non è stato rivendicato ma i sospetti ricadono sui talebani impegnati in una campagna di terrore in vista del ritiro delle forze da combattimento Usa, previsto per la fine del 2014

ROMA -
Afghanistan ancora macchiato da sangue innocente. Dodici civili sono morti e due sono rimasti feriti a causa dell'esplosione di un ordigno piazzato sul ciglio di una strada nella provincia di Ghazni, nell'Est del Paese. Le vittime facevano parte di una comitiva che stava rientrando da un matrimonio.
A dare la notizia il governatore del distretto di Giro, Abdullah Khairkhwa, dove è avvenuto l'attentato, che rilasciando una dichiarazione all'agenzia d'informazione Xinhua, ha detto: "Dodici civili, tra cui sette donne, hanno perso la vita in un'esplosione di un ordigno improvvisato nel distretto di Giro". L’uomo a ha indicato nei Talebani i responsabili dell'attacco, avvenuto a circa 125 chilometri a Sud di Kabul, ma fimora non rivendicato da alcuna organizzazione o gruppo terriorstico. Tra le vittime anche tre bambini e due uomini.
Le esplosioni di ordigni su strada sono le principali minacce sia per le forze di sicurezza afghane che per i civili in tutto il Paese. Attacchi del genere sono aumentanti con l'intensificarsi della campagna dei talebani in vista del ritiro delle forze da combattimento Usa, previsto per la fine del 2014.
(Rai Giornaleradio)

Le foto della settimana....Per non Dimenticare...


















venerdì 30 maggio 2014

Profughi siriani: al voto sotto tortura...





Now Lebanon denuncia i metodi usati da Hezbollah per costringere i profughi siriani ad andare a votare per Assad. E le organizzazioni internazionali presenti non sanno?

Ufficialmente i profughi siriani in Libano stanno correndo a migliaia nei seggi allestiti per loro in Libano per votare, annunciano, per Assad. Questa sarebbe la loro "libera scelta". 

Pochi si azzardano a smentire, a negare le verità ufficiali, propalate a nome dei profughi da loro portavoce. 

Ma il periodico on line NOW LEBANON ha avuto il coraggio di entrare nell'Hezbollastan, cioè nei quartieri e nei territori libanesi sotto il controllo del partito di Dio. E quello che ha aprpeso è molto diverso, anzi, di più.

I racconti riferiti da NOW LEBANON dimostrano che i profughi vengono intimiditi, in alcuni casi torturati dai miliziani di Hezbollah, fino a quando non accettano di recarsi a votare e di far votare, il che vuol dire ovviamente per Assad. 

Il portale NOW LEBANON riferisce con coraggio dove e chi ha raccolto queste testimonianze. Uno scandalo nello scandalo. 

Sarebbe importante capire cosa facciano le numerose organizzazioni internazionali presenti: devono far finta di non sapere, di non vedere? Sono anch'esse sotto il ricatto, la minaccia di Hezbollah? E i paesi europei che hanno consentito che questa ignobile farsa elettorale si svolgesse anche qui, in Europa?
(Il Mondo di Annibale)

Siria, nuova bozza a Consiglio Onu: aiuti umanitari senza ok di Assad...





Beirut (Libano), 30 mag. (LaPresse/AP) - Australia, Lussemburgo e Giordania intendono far circolare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite una bozza di risoluzione che autorizzerà la consegna di aiuti umanitari in Siria attraverso quattro valichi di confine, senza l'approvazione del governo di Bashar Assad. L'ambasciatore australiano all'Onu, Gary Quinlan, ha dichiarato ai giornalisti che il 90% degli aiuti attuali finisce "in zone in mano al governo" e che i siriani nelle zone controllate dall'opposizione non ottengono sufficienti cibo e medicine. La risoluzione, che sarà fatta circolare "a breve", risponderà alla richiesta del segretario generale Ban Ki-moon di azioni del Consiglio. I diplomatici a conoscenza della bozza spiegano che essa è scritta secondo il capitolo 7 dello Statuto Onu, il che significa che potrebbe essere imposta con azioni militari. Autorizza l'accesso umanitario attraverso tre valichi dalla Turchia e uno dall'Iraq.
(La Presse.it)

Siria, senza cibo e senza medicine nelle città assediate...



                                                        Douma (Siria) - foto di Abd Doumany

Federica Iezzi è un medico che ha operato in Siria. Ci descrive la tragica situazione medico-sanitaria all’interno delle città assediate.

Nelle città siriane assediate, da mesi la guerra causa silenziosamente migliaia di vittime per la drammatica mancanza di cibo e di farmaci. 6,8 milioni di persone aspettano improrogabile aiuto, senza elettricità né riscaldamento, con gli occhi freddi di chi ha visto troppa sofferenza.Di Federica Iezzi 
Douma (Siria) – I penosi anni di ostilità hanno fatto a pezzi ospedali, laboratori e farmacie. Il 60% degli ospedali è danneggiato o completamente distrutto. La metà dei medici ha lasciato il Paese. La medicina e gli ospedali diventano improvvisati.
Dagli ultimi dati divulgati da Save the Children, i neonati scompaiono nel vuoto delle incubatrici a causa della mancanza di elettricità. I più fortunati dispongono di elettricità solo per un’ora e mezzo al giorno. Si amputano arti ai bambini per mancanza di cure alternative. Si muore come negli anni ’20 di morbillo, diarrea o polmonite. Non ci sono antibiotici. Non ci sono anestetici per gli interventi chirurgici.
I pochi medici rimasti, lavorano in scantinati bui. Possono solo centellinare farmaci dalle loro irrisorie scorte. A volte li ottengono dopo lunghe contrattazioni e scendendo a vili compromessi con soldati del governo di Damasco.
Nelle città sotto assedio dei governativi non entra e non esce nessuno. Non entra e non esce niente. Alle organizzazioni umanitarie non è concesso portare nemmeno sciroppi per la tosse ai bambini che vivono nell’instabilità senza fine delle città assediate. Homs è sotto assedio da 716 giorni di fila. I bambini uccisi sono 14.000. Secondo l’UNICEF più di 250.000 persone sono tagliate fuori dagli aiuti all’interno della Siria.
Nelle zone sotto assedio, il governo al-Assad ha tagliato la corrente e le comunicazioni, impedendo l’afflusso di cibo e medicine. Palazzi distrutti, case rase al suolo, quartieri fantasma, isolati e assediati, senza nessun collegamento con il resto dell’umanità, senza che i convogli umanitari riescano a penetrare all’interno.
Secondo le stime dell’UNICEF 2,8 milioni di bambini non vanno a scuola da quasi due anni. Le scuole insieme agli ospedali sono stati convertiti in alloggi collettivi delle forze di al-Assad.
Disattesi regolarmente gli accordi per l’apertura di corridoi umanitari per l’arrivo di beni di prima necessità alla popolazione civile. Falliti miseramente gli accordi di Ginevra I e Ginevra II.
Le pattumiere hanno sostituito il negozio sotto casa, dove i bambini si precipitavano con poche lire strette tra le mani, per comprare pane e frutta. La gente è affamata. Il regime di al-Assad ha strappato il cibo a 500.000 persone.
Sono passati tre anni dall’inizio del conflitto e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha smesso di contare le vittime. Le stime parlano di più di 150.000 morti. 600.000 feriti. Tutti nel paese sembrano aver perso qualcuno. Il drammatico bilancio è stato diffuso dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, una piattaforma dell’opposizione anti-regime che dal 2007 monitora le violenze nel Paese. Un terzo delle vittime è costituito da civili e di questi almeno ottomila sono bambini.
Il mondo continua a guardare disorientato i crimini di guerra, le accanite torture, l’arbitrario sterminio di Bashar al-Assad. Vane e timide sanzioni su scambi economici e militari, su rapporti politici e quelli bancari. Intanto miliziani qaedisti antigoverantivi della Jabhat al-Nusra hanno privato di acqua potabile i quartieri occidentali di Aleppo, controllati dalle forze lealiste, ormai da settimane. Chi vive sotto assedio non ha elettricità da più di 18 mesi. La gente continua a non avere voce.
(Frontirenews.it)


Emergenza Siria: Milano lasciata sola. Dal ministro Alfano solo parole...





emergenza-siria-milanoGli assessori Marco Granelli (Sicurezza, Protezione Civile e Coesione sociale) e Piefrancesco Majorino (Politiche sociali), del Comune di Milano, partecipando ad un vertice in Prefettura, durante il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza, in riguardo l’emergenza dei cittadini siriani in fuga dalla guerra, sottolineando che dal Ministero dell’Interno non è più giunto alcun segnale di collaborazione, nonostante sia stato più volte ribadito al Prefetto “la necessità che dal Ministero dell’Interno arrivi una proposta concreta di accoglienza e soccorso dei cittadini siriani”.
I due assessori hanno anche fatto presente come da mesi si evidenzia la necessità di coordinamento nazionale, ma dal Ministro Alfano solo una promessa di tre settimane, rimasta inattuata.
“Da ottobre ad oggi – precisano i due assessori – sono transitate da Milano più di settemila persone, 2.300 nel solo mese di maggio e un quarto di questi sono bambini. In questo il Ministero e anche Regione Lombardia, che aveva annunciato una riunione tra enti, sono rimasti nella loro totale immobilità. Hanno lasciato soli noi e i tanti operatori che ringraziamo per lo sforzo con cui continuano ad assistere non meno di 500 persone ogni giorno”.
I cittadini siriani sono stati soccorsi e accolti nelle strutture allestite dall’Unità di crisi costituita dal Comune di Milano e da associazioni del Privato sociale tra cui: Progetto Arca, Cooperativa Farsi Prossimo, Albero della Vita, Fondazione Don Gnocchi, Casa della Carità, Fratelli di San Francesco, Medici Volontari e Giovani Musulmani. L’ accoglienza è realizzata a seguito di una convenzione sottoscritta con la Prefettura lo scorso ottobre.
E’ solo attraverso uno sforzo organizzativo, che ogni giorno in Stazione Centrale un presidio fisso composto da funzionari del Comune del Servizio per Adulti e Politiche per l’immigrazione, Protezione Civile, operatori delle onlus e volontari accolgono le persone in arrivo verificando la disponibilità delle strutture e organizzando le operazioni di trasferimento: famiglie con bambini, che sono la maggior parte, sono ospitate separatamente dai giovani adulti.
(duerighe.com)

India, ancora violenze: due adolescenti stuprate e impiccate...





Di Gabriella Tesoro 
Violentate, strangolate e impiccate. È questo il triste destino a cui sono andate incontro due sorelline di 14 e 15 anni.

Questo è solo l'ennesimo episodio di violenza sessuale nei confronti delle donne in India, che con i suoi 1,2 miliardi di abitanti rappresenta la più grande democrazia del mondo e dove, purtroppo, avviene uno stupro ogni 22 minuti. Nella sola Nuova Delhi, in media, vengono violentate sei ragazze al giorno. Quello che fa impallidire è che i numeri potrebbero essere ben maggiori, dato che molte vittime non denunciano lo stupro per la vergogna o per la paura di ritorsioni. 

Siria: ad Aleppo nuovo attacco dell'esercito con barili di esplosivi...(Video)





La Siria verso il voto...



                                          Siriani votano a Beirut, Libano


Il 3 giugno si aprono i seggi in un Paese in guerra da tre anni. L’opposizione sostenuta dall’Occidente chiama al boicottaggio, ma sono stati tanti i siriani all’estero ad avere votato, soprattutto in Libano. In due sfideranno Assad

Nena News – Quando mancano tre giorni all’apertura dei seggi per le presidenziali, una parte dell’opposizione torna a esortare i siriani a disertare le urne da cui uscirà certamente vincitore il presidente Bashar al Assad, secondo le previsioni praticamente unanimi degli analisti. È il comandante dell’Esercito siriano libero (Esl), il generale Abdullah al-Bashir, a parlare in un video in cui definisce il voto una “grande menzogna”, non diversa dai “referendum del passato”, come i plebisciti che hanno consacrato al potere gli Assadi.
Un giudizio condiviso dagli alleati occidentali, il cosiddetto gruppo degli “amici della Siria” (i membri della Nato Turchia, Germania, Regno Unito, Italia, Stati Uniti e i Paesi del Golfo Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e poi Giordania ed Egitto), che hanno cercato di ostacolare le operazioni di voto, iniziate mercoledì scorso per i siriani residenti all’estero. Francia, Germania, Belgio e i Paesi del Golfo hanno proibito il voto, mentre le ambasciate siriane di Stati Uniti e Canada sono state costrette a chiudere, impedendo così la  partecipazione alla tornata elettorale. Tutto per ragioni di sicurezza.
In Libano, invece, Paese che subisce sulla propria economia e stabilità politica i contraccolpi della guerra in Siria e che ha accolto circa un milione e mezzo di siriani, l’affluenza è stata così alta (decine di migliaia di persone) che l’apertura dei seggi è stata prolungata. Un fatto piuttosto ironico, ha notato Rick Sterling, del Syrian Solidarity Movement, su Countepunch, considerato che negli stessi giorni il governo egiziano prolungava la tornata elettorale per la ragione opposta: bassissima affluenza. Nel Paese dei cedri, come in Giordania, ci sono state anche le proteste dei sostenitori dell’opposizione, e qualche tafferuglio davanti alle ambasciate.
Bisognerà però aspettare la prossima settimana, il 3 giugno, per capire quale sarà la partecipazione a una tornata elettorale che si tiene in un Paese in guerra da tre anni, con quasi tre milioni di persone fuggite all’estero e cinque milioni di sfollati interni, devastato dai combattimenti tra le truppe fedeli ad Assad, aiutate dai miliziani del movimento sciita libanese Hezbollah, e i diversi gruppi dell’opposizione, tra cui anche fazione di stampo jihadista.
È delle ultime ore la notizia dell’evacuazione di Idlib, città della Siria nord-occidentale, dove domenica scorsa un ribelle cittadino statunitense si è fatto saltare in aria, il primo “martire” americano tra i tanti combattenti stranieri unitisi ai jihadisti o ai qaedisti. Formazioni armate, foraggiate spesso dai Paesi del Golfo, che si scontrano anche con gli altri gruppi di opposizione più laici, sostenuti dall’Occidente. Da Iblid sono andate via centinaia di persone in seguito alla richiesta di lasciare la città entro ieri. Alcuni temono un attacco dei ribelli, mentre altri sostengono che le strade saranno chiuse in vista delle elezioni. Le notizie dalla Siria sono poche e difficili da verificare. Intanto la città settentrionale di Aleppo è martoriata dagli scontri e dai bombardamenti con le micidiali bombe barile che, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dall’inizio della settimana hanno fatto almeno 70 vittime. Quasi duemila i morti da gennaio, sempre secondo l’organizzazione con sede a Londra. Notizie di esecuzioni sommarie, torture, detenzioni arbitrarie e stragi sono ormai all’ordine del giorno.
Negli ultimi mesi la situazione sul campo si è modificata. Sebbene i ribelli occupino ampie porzioni di territorio, le forze governative hanno riguadagnato terreno e Assad cerca la consacrazione del popolo per restare al potere, mentre diverse potenze occidentali lo vorrebbero fuori dai giochi. Difficile immaginare come potranno svolgersi le operazioni elettorali in Siria mentre si continua a combattere, come si garantirà la trasparenza e la sicurezza delle operazioni voto,  ma per la prima volta non saranno elezioni a partito unico, in base a una modifica costituzionale del 2012. A marzo il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale che per la prima volta apre al multipartitismo, anche se vieta la candidatura a chi ha doppia cittadinanza (molti oppositori che vivono nella diaspora). Gli sfidanti del presidente sono il comunista Maher al Hajjar e l’uomo d’affari Hassan al Nouri, entrambi hanno con scarse possibilità di battere Assad.



Aleppo...La disperazione di una Madre...3 minuti per non dimenticare...(Video)





Non si muore solo di bombe o a causa dei cecchini...si muore anche per mancanza di cibo e di medicine...

Africa occidentale...l'Ebola miete altre vittime...





n Sierra Leone ha mietuto almeno una vittima il virus di Ebola: lo ha confermato il ministro della Sanità Miatta Kargbo, precisando che il primo caso è stato accertato nel distretto di Kailahun (est), confinante con la Guinea, epicentro di un’epidemia di febbre emorragica dallo scorso gennaio. Accertamenti sono in corso sui corpi di altre tre persone decedute nella stessa zona della Sierra Leone, la cui morte potrebbe essere stata causata dall’Ebola.
Intanto dalla vicina Guinea, dove nelle scorse settimane le autorità hanno decretato l’epidemia “sotto controllo”, è giunta la notizia di nuovi focolai di febbre emorragica in altre zone del paese, a Télimélé e a Macenta. Nella prima località occidentale si sono registrate quattro vittime da Ebola e nella seconda, a sud-est, altre sei. In base all’ultimo bilancio l’epidemia ha già causato in tutto almeno 155 morti. In Liberia ci sono stati sei casi mortali di Ebola accertati.
Lo scorso 6 maggio, sulla base di notizie positive, le autorità di Dakar hanno riaperto la frontiera tra il Senegal e la Guinea.

giovedì 29 maggio 2014

Italiani in fuga: sono di più degli stranieri in arrivo...





A partire sono soprattutto 40enni laureati o diplomati. Meta degli italiani in fuga, soprattutto l'Europa, in particolare l'Est, e poi l'Asia.
Italiani in fuga: sono di più degli stranieri in arrivo-Redazione- Per molti decenni il popolo italiano è stato un popolo di emigranti, di chi abbandonava la propria terra natale per andare a cercare fortuna in America prima e in Germania poi. Per un periodo è stato il nostro Paese El Dorado per molti, per coloro che fuggivano dalla miseria, dalle dittature, dalle guerre. Ma adesso, siamo tornati ad essere noi un popolo in fuga, e gli stranieri che vogliono venire in Europa, non vogliono rimanere in Italia, una parentesi solamente forzata, una tappa, prima di continuare il viaggio verso Nord. L'Italia non è più, se mai lo fosse stata prima, la terra promessa, nemmeno per i suoi stessi cittadini.
L'Italia torna a essere un Paese di emigranti. Secondo un rapporto di Caritas migrantes, infatti gli italiani che fuggoni all'estero oggi sono molti di più degli stranieri che arrivano in Italia. Il saldo negativo è di circa 20-30mila individui in più tra coloro che partono. Per decenni era stato il contrario. A partire sono per lo più 40 anni laureati o diplomati
Metà degli italiani in fuga si ferma in Europa, tanti anche quelli che però si spingono fino alla Cina. In Oriente ad esempio arrivano laureati, imprenditori ma anche cuochi attratti dalla ristorazione italiana in Asia. Per quanto riguarda il Vecchio Continente sono cambiate le mete preferite dagli italiani: se prima c’era la Spagna ora si tende a guardare verso Est. Tanti i connazionali che partono per la Romania, l’Ungheria, la Polonia e la Russia. Nei primi mesi di quest’anno sono oltre 6mila gli italiani che hanno scelto di vivere a Mosca.
“La capacità attrattiva dell’Italia è certamente diminuita, anche perché la crisi qui ha penalizzato gli immigrati più degli italiani”, è quanto spiega – leggiamo suLa Stampa – Ferruccio Pastore, direttore del Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione - Per chi arriva da fuori le opportunità si sono ridotte. Nel Sud Europa, dalla Spagna alla Grecia, il saldo migratorio si è invertito un paio d’anni fa, mentre l’Italia ha resistito ancora un po’, arrivando a fronteggiare oggi questo fenomeno. Nel 2011 sono stati 90 mila gli italiani che hanno cercato rifugio all’estero, l’anno dopo erano 60 mila, poi di nuovo 75 mila. Quest’anno, secondo Caritas Migrantes, saranno più di 100 mila".
-30 maggio 2014-
(Articolo Tre)

In Sud Sudan peggiora l’epidemia di colera: quasi 700 casi...





L'allarme dell'Unicef: servono 10 milioni di dollari
Milano, 29 mag. (TMNews) - In meno di un mese il colera ha già contagiato quasi 700 persone a Juba, la capitale del Sud Sudan, paese africano scosso da un conflitto che ha provocato oltre un milione di morti. La situazione preoccupa l'Unicef che sta cercando di arginare la diffusione della malattia che ha ucciso ad ora 23 persone. Le risorse però cominciano a scarseggiare ha spiegato Adbulkadir Musse, specialista delle situazioni d'emergenza per l'Unicef.
"Tutto questo ha un impatto enorme sulla nostra situazione finanziaria che è veramente complicata visto che l'Unicef ha usato risorse proprie per 1,7 milioni di dollari per rispondere alla diffusione della malattia. Ora abbiamo bisogno con grande urgenza di 10 milioni di dollari supplementari per continuare la nostra operazione in risposta al colera e per aumentare le nostre azioni di prevenzione in tutto il Paese".
Il Sud Sudan è uno Stato giovane che ha ottenuto l'indipendenza nel 2011 dopo decenni di guerra civile, una conquista a cui non è seguito un miglioramento delle condizioni della popolazione: il 90% vive sotto la soglia della povertà e l'aspettativa di vita media è di 42 anni.

Crisi Ucraina, rivolte a Est: l'Occidente sta a guardare...





di Anna Lesnevskaya

Oblast orientali nel caos: Mosca e Kiev muro contro muro. Ma l'Ue pensa alla crisi del gas. E gli Usa temporeggiano.

Un Paese spaccato dalla guerra e zavorrato da «una grande instabilità» economica. L'Ucrainafinita sotto la guida dell'oligarca Petro Poroshenko naviga in acque quanto mai agitate. E a riconoscere la gravità della situazione è lo stesso 're del cioccolato'.
LE TENSIONI NON SI ALLENTANO. Il problema dell'Est ribelle va risolto, e al più presto. Su questo concordano non solo i diretti interessati - l'Ucraina e la Russia - ma anche l'Ue e gli Usa che hanno accolto con soddisfazione la vittoria di Poroshenko. Nonostante i segni di distensione tra Kiev e Mosca, che si sono dette pronti al dialogo, le loro posizioni sulle possibili vie d'uscita dalla crisi rimangono molto diverse. Allo stesso tempo l'Ue ha spostato la sua attenzione sul dossier energetico e gli Usa mantengono un profilo basso nonostante la richiesta di un'alleanza militare lanciata da Poroshenko.
ARRIVANO I RINFORZI, I TEMPI SI ALLUNGANO. «Porremo fine a questo orrore», ha promesso l'oligarca, scagliandosi contro i «terroristi» del Donbass «sostenuti» da Mosca. Il suo obiettivo è ambizioso: finire l'operazione antiterrorismo nell'Est non in due o tre mesi, ma in alcune ore. Con la sua vittoria infatti le azioni delle forze ucraine contro i filorussi hanno subito un'accelerazione. Ma i separatisti resistono e l'arrivo di nuovi rinforzi (secondo Kiev, nella notte del 27 maggio hanno varcato le frontiere con la Russia numerosi camion carichi di armi) complica non poco i piani di Poroshenko.

1. La proposta di Poroshenko: più potere alle autorità locali 

  • L'oligarca Petro Poroshenko, vincitore delle elezioni presidenziali (Getty).
La soluzione che l'oligarca propone per riunificare il Paese dilaniato dalla guerra civile si riassume in una parola: decentralizzazione. Prevede il rafforzamento del ruolo delle comunità locali e dei deputati regionali. Anche se Kiev, tramite i prefetti, continuerà comunque a controllare la autorità locali che possono essere sciolte se accusate di corruzione o nel caso perdessero il contatto con gli elettori.
La decentralizzazione dovrebbe reggersi anche sulla garanzia di alcuni diritti alla popolazione, tra cui quella dell'Est. «Possiamo proporre loro tante cose, a cominciare dalle garanzie della sicurezza e della difesa dei loro diritti personali, compreso il diritto dell'uso della lingua russa nella regione, anche a livello ufficiale», ha detto Poroshenko, rivolgendosi agli elettori all'indomani delle elezioni presidenziali.
REFERENDUM? NO, ELEZIONI AMMINISTRATIVE. Sul referendum nell'Est il 're del cioccolato' è stato netto: l'idea in sé «non lo spaventa», ma non accetta che il voto si svolga sotto il controllo di uomini armati. Riferimento alla votazione dell'11 maggio promossa dai separatisti filorussi nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Invece che un referendum sull'indipendenza, secondo Poroshenko, all'Est serve un'elezione amministrativa per eleggere nuovi rappresentanti locali.
Poroshenko ha ipotizzato un incontro con il presidente russo Vladimir Putin nella prima metà di giugno per discutere la crisi ucraina. Il Cremlino però, nonostante la promessa di riconoscere i risultati delle elezioni presidenziali ucraine, ha frenato. «Putin farà le sue congratulazioni a Poroshenko solo dopo l'ufficializzazione dei risultati», ha detto il 28 maggio il consigliere del leader russo, Yuri Ushakov.

2. Putin tira dritto: federalizzazione sul modello della Groenlandia

  • Il presidente russo Vladimir Putin (Getty).
La Russia è contraria al piano di decentralizzazione proposto dall'oligarca e continua insistere sul concetto di federalizzazione.
Secondo quanto ha svelato il 28 maggio il quotidiano russo Kommersant, il Cremlino ha in mente anche un modello concreto che potrebbe essere applicato alla situazione ucraina. Si tratta dell'isola della Groenlandia, politicamente incorporata nella Danimarca, ma indipendente sul piano economico, tanto che non fa parte dell'Unione europea.
UN PAESE SPACCATO IN DUE. Nei piani di Mosca, ha spiegato al Kommersant il consigliere di Putin Segei Glazyev, la federalizzazione comporterebbe la divisione dell'Ucraina in due tramite una frontiera doganale. Questo permetterebbe, secondo il Cremlino, di riconciliare gli interessi della Russia e dell'Ue in Ucraina. Una parte del Paese così andrebbe verso l'integrazione con l'Ue, mentre l'altra entrerebbe a far parte dell'Unione doganale promossa dalla Russia, e succesivamente dell'Unione economica eurasiatica.

3. L'Unione europea snobba i disordini a Est: la priorità è il gas

  • Il commissario Ue all'Energia, Guenther Oettinger, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel (Getty).
Con l'elezione di Poroshenko pare ormai imminente la sottoscrizione della seconda parte, quella economica, dell'accordo di associazione tra l'Ue e l'Ucraina. Il presidente della Lituania Dalia Grybauskaite ha detto che la firma è nell'agenda del veritice europeo del 26-27 giugno. Per quanto riguarda la soluzione alla crisi, scatenata anche dall'avvicinamento tra Kiev e Bruxelles, l'Ue continua a fare appello al dialogo tra Kiev e l'Est dell'Ucraina. Raccomandazione fatta a Poroshenko il 27 maggio, dopo il vertice informale dell'Ue, dal presidente francese François Hollande, che il 6 giugno è atteso da «un incontro a quattr'occhi» con il presidente russo Vladimir Putin durante le cerimonie di commemorazione dello sbarco alleato in Normandia. Tra i temi ovviamente la crisi ucraina.
LE PRESSIONI DI BRUXELLES. La guerra civile nell'Est dell'Ucraina è però una questione meno calda per Bruxelles rispetto a quella del dossier sulla sicurezza energetica. Come dimostrauno studio della Comissione europea, se ci fosse uno stop delle forniture di gas dalla Russia in inverno «quasi l'intera Ue, eccetto la Penisola iberica e la Francia del Sud, sarebbe verosimilmente toccata in modo diretto». Secondo la proposta ribadita dal commissario Ue all'Energia, Guenther Oettinger, Kiev dovrebbe pagare entro il 30 maggio una parte del debito per il gas di Mosca, ossia 2 miliardi di dollari, per sbloccare il negoziato sulle restanti forniture. Soluzione di fatto già bocciata dall'Ucraina, che prima vuole concordare con Mosca il prezzo del gas («Deve essere di mercato, non politico», ha detto il ministro dell'Energia Yuri Prodan). Senza intesa, Kiev è pronta a ricorrere all'istituto arbitrale della Camera di commercio di Stoccolma.

4. L'Ucraina chiede un'alleanza militare: gli Usa prendono tempo

  • Il presidente statunitense Barack Obama (Getty).
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è stato tra i primi leader a congratularsi con Poroshenko per la sua vittoria alle elezioni.
L'inquilino della Casa Bianca ha sollecitato riforme rapide per «ricompattare» il Paese e ha promesso sostegno al futuro presidente ucraino.
Una ulteriore discussione della situazione in Ucraina è stata però rimandata all'incontro tra Obama e Poroshenko che dovrebbe svolgersi nell'ambito del tour europeo del presidente americano all'inizio di giugno.
DIFFICILE L'ADESIONE ALLA NATO. Poroshenko, che frena sull'adesione alla Nato, attende da Washington una risposta per quanto riguarda un'alleanza militare tra gli Stati Uniti, l'Ue e l'Ucraina volta a garantire la sicurezza del suo Paese, visto che l'accordo di Budapest del 1994, di cui faceva parte anche la Russia, è venuto meno, secondo Kiev, dopo l'annessione della Crimea.
Il 're del cioccolato' punta sul supporto degli Usa per rinforzare il proprio esercito e sconfiggere i separatisti dell'Est. Nessuna risposta ufficiale è ancora arrivata da Washington, che per il momento preferisce non sbilanciarsi se non a parole. Decisivo potrebbe essere proprio il faccia a faccia di giugno tra Poroshenko e Obama.
Venerdì, 30 Maggio 2014
(Lettera 43)

Sudan: papà Daniel abbraccia la piccola Maya, ma Meriam torna in carcere...





Italians for Darfur rilancia la raccolta di firme per la liberazione della giovane donna


“Ieri finalmente Daniel ha potuto vedere e abbracciare Maya, nata nelle prime ore del 27 maggio. È felice anche se l’angoscia del futuro che attende sua moglie turba la gioia per la nascita della sua seconda figlia. Mi ha pregato di ringraziare e salutare tutti gli italiani che stanno sostenendo la campagna-petizione che chiede la liberazione di Meriam”. È quanto afferma Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur che ha parlato con il marito di Meriam Yayia Ibrahim Ishag, la donna cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia. “Maya sta bene, ma non è una bimba libera. Come Martin, il fratellino che da febbraio è in carcere con la mamma” ha sottolineato la Napoli su Twitter dove ha postato la prima foto della piccola e rilanciato l’appello per la raccolta di firme da inviare al governo del Sudan affinché conceda la libertà alla giovane donna.