Nella cittadina curda turca di Suruç sono arrivati migliaia di rifugiati dalla gemella città assediata dai jihadisti. Ogni notte cittadini e profughi tentano lo sfondamento verso la Siria, respinti dalle forze turche. E denunciano l'inazione di Erdogan, che rinvia l'intervento nella speranza di ottenere migliori condizioni per la caduta di Assad
di GIULIA BERTOLUZZI e COSTANZA SPOCCIIl fumo ricopre diversi punti della collina su cui si erge la città di Kobane e le esplosioni continuano sul confine turco-siriano mentre un uomo sfreccia indisturbato in motocicletta proprio sotto il naso dei militari turchi che, dall'altra parte del filo spinato, osservano immobili l'orizzonte.
I colpi di mortaio raggiungono anche la zona più vicina al confine turco, proprio di fronte ai depositi di grano del Tmo - un'organizzazione sussidiaria del Ministero turco dell'Agricoltura - che si ergono sì in suolo turco, ma di fronte ad una delle moschee del centro di Kobane, distante in linea d'aria 400 metri. In questo punto del confine, in mezzo a una strada sterrata in cui nemmeno i carri armati turchi osano stazionare, le case del centro di Kobane e quelle periferiche di Suruç si toccano. E' il lato nord di Kobane, ancora controllato dalle forze dello Ypg (le Unità di protezione del popolo, esercito curdo), mentre la parte est della città è nelle mani dell'esercito islamico, l'Is, che, due giorni fa, ha innalzato la sua bandiera nera su uno degli edifici del quartiere di Maqtala. Questo non significa che la città sotto assedio sia definitivamente caduta, ma i bombardamenti aerei, iniziati solo pochi giorni fa, non sembrano aver respinto definitivamente l'avanzata dell'IS.
Per vedere i combattenti dello Stato Islamico, basta spostarsi due chilometri ad est, a Point Zero. Qui si riuniscono i cittadini di Suruç e i profughi di Kobane per manifestare contro l'inazione turca e sempre qui cercano di oltrepassare il confine, puntualmente fermati dalle forze dell'ordine che aprono il fuoco e sparano lacrimogeni per disperdere la folla. Alle loro spalle l'Is intanto continua a bombardare Kobane.Manifestazioni in sostegno di Kobane. Gli scontri tra curdi e forze dell'ordine si accumulano sul confine di Point Zero, finendo persino nei cortili delle case. "Invece di attaccare l'Is i militari turchi ce la mettono tutta a disperdere le manifestazioni di solidarietà qui a Suruç" spiega adirato Egdi, un anziano molto rispettato la cui casa è diventata il punto di ritrovo per discussioni politiche degli uomini di Point Zero, che monitorano l'avanzamento della guerra - "Erdogan supporta l'Is! Nel villaggio qui vicino i militari lasciano entrare e uscire i jihadisti a rubare delle macchine e invece sparano su di noi e su chi vuole andare a combattere a Kobane".
Nonostante questo, da tutto il mondo e nei modi più disparati, sono arrivate manifestazioni di solidarietà per Kobane. Come un gruppo di ragazze anarchiche, ad esempio, che ha pubblicizzato in rete il viaggio in autobus - organizzato da Istanbul - per raggiungere la resistenza dell'Ypg, ala armata del partito curdo siriano di Unione Democratica (Pyd), o come Jordan Matsonex-militare americano originario del Wisconsin che sta già lottando contro l'Is al fianco dei curdi.
La mobilitazione curda si sparge a macchia d'olio e più l'Is avanza su Kobane, più le manifestazioni si moltiplicano. Mercoledì si sono verificati disordini in tutto il sud della Turchia, con gli scontri più duri nella capitale del Kurdistan turco, Diyarbakir. Si contano per ora 21 morti e sebbene i maggiori combattimenti abbiano visto impegnate le forze curde in sostegno di Kobane contro la polizia turca, cinque dei morti si registrano anche per gli scontri con alcuni membri dell'Huda-Par, un partito curdo islamico (sunnita) simpatizzante dell'Is. Da ieri sera, per la prima volta in 22 anni, è stato imposto il coprifuoco in sei delle città curde nel sud-est della Turchia.
La strategia di Ankara. "È perché la Turchia non sta facendo nulla per salvare Kobane, al contrario, spinge per la sua caduta", protesta uno degli uomini seduti sui lunghi cuscini del salone di Egdi, "sono loro che hanno messo le armi in mano all'Is". Un giornalista curdo siriano che passa sovente da Suruç per seguire la situazione, rincara la dose: "Strategicamente l'Is non ha bisogno della presa di Kobane. La città è semplicemente facile da prendere per i jihadisti perché a sud, est e ovest è circondata da villaggi arabi, mentre a nord confina con la Turchia che ha tutto l'interesse perché l'Is avanzi nel territorio curdo siriano di Rojava".
Erdogan dal canto suo ha dichiarato che, poiché Kobane sta cadendo nelle mani dell'Is, urge un intervento militare della Turchia. La decisione segue i primi bombardamenti della coalizione guidata dagli Usa sul confine turco-siriano, ma non è ancora stata eseguita. La Turchia, infatti, risponde così allerichieste di Biden e Kerry per un maggiore impegno turco nella lotta contro l'Is, ma nella realtà dei fatti prende tempo. In parte per far sì che non sia la coalizione a liberare Kobane, poiché in questo modo i curdi ne beneficerebbero e si rafforzerebbero ulteriormente su entrambi i lati della frontiera, in parte perché Ankara vuole legare la sua entrata "ufficiale" in Siria all'istituzione di una no-fly zone sul territorio siriano e ad una promessa americana di destituire Assad una volta terminato il conflitto. Mehmet Gurses, professore curdo di scienze politiche alla Florida Atlantic University, sostiene che Kobane sia la chiave di lettura della strategia turca in Siria e sulla questione curda: "Ankara sta aspettando che il Ypg sia indebolito al punto tale da dipendere da un intervento militare della Turchia, così che Erdogan possa guadagnare potere negoziale e tentare di spingere il Pyd (Partito di unione democratica, formazione curda siriana) ad entrare nella coalizione anti-Assad" che, precisa, è "un obiettivo strategico che la Turchia fortemente condivide con gli Stati Uniti ma che non può essere raggiunto senza prima un accordo di pace con il Pkk", il partito dei lavoratori del Kurdistan che si batte per l'autodeterminazione dei curdi in Turchia.
Abdullah Ocalan, che dalla prigione guida i negoziati del Pkk con il governo, ha già dichiarato che con la caduta di Kobane il processo di pace sarà concluso immediatamente. Intanto l'assedio continua, i combattimenti si fanno più intensi anche nei villaggi di Botan, Megtel e Kaniya Kurdan e i morti si moltiplicano sia per l'IS che per le milizie curde. Ormai la maggioranza dei civili di Kobane sono fuggiti, 160.000 solo i primi due giorni di assedio.
Il disastro umanitario. Suruç "è letteralmente triplicata", racconta Faruk Tatli, responsabile della municipalità e membro attivo di Rojava. Considerando che tante persone di Kobane sono imparentate con quelle di Suruç, dei circa 180.000 che sono arrivati nelle ultime settimane, soltanto 80.000 sono ancora nelle tende messe a disposizione dal comune, mentre gli altri sono ospitati dai familiari. "Magari una famiglia di Suruç prende in casa una o due intere famiglie di Kobane, è molto difficile per loro riuscire a sostenere questo peso, così il comune aiuta anche loro" continua Tatli. Kamiran Mdirs con tutta la famiglia allargata è scappato da Kobane il 19 settembre. Più di trenta persone sono state alloggiate nelle tre stanze della casa di un cugino nato e cresciuto a Suruç. "Quando ci hanno avvertiti siamo partiti con le donne e i bambini, vestiti così com'eravamo. Per noi curdi, le donne son tutto, non avremmo mai potuto permettere che Is le prendesse", parla con veemenza mentre tutta la sala lo ascolta rabbrividendo.
"Quando ci hanno avvertiti, abbiamo pensato a quello che era successo a Sanjar in Iraq, non ci abbiamo pensato due volte ad andarcene" continua Naze al Hussein, nipote ventisettenne di Kamiran.
Come spiegato da Tatli, la tattica del Ypg è diversa da quella utilizzata dai Peshmerga in Iraq, che sono scappati prima di avvertire i civili; il Ypg al contrario ha evacuato i civili quasi totalmente da Kobane con un anticipo di tre settimane. In un tweet del 8 ottobre il Ypg rettifica dicendo: "Ci sono ancora migliaia di civili, Kobane non è una zona militare, e noi combatteremo per proteggere i civili".
(R.it Esteri)

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