L’ipotesi viene ancora negata, ma alcuni comandanti iniziano a parlarne…
Gli attacchi aerei non bastano: contro l’Isis serva un attacco di terra. La convinzione si sta rapidamente diffondendo presso le cancellerie occidentali, che dovranno agire di conseguenza.
La guerra contro l’autoproclamato Stato islamico si sta mostrando più difficile rispetto a quanto immaginato all’inizio delle operazioni militari. Il generale Martin Dempsey non ha fatto mistero che l’opzione debba essere valutata, facendo eco alla presa di posizione dell’ex premier britannico Tony Blair. Così il presidente turcoErdogan ha rilanciato l’argomento, trovando anche la motivazione per non intervenire a Kobani, dove la resistenza è affidata solo alle milizie curde.
Il numero uno della Casa Bianca, Barack Obama, ha sempre respinto l’ipotesi di un intervento terrestre contro i jihadisti comandati da Abu Bakr al Baghdadi. Ma senza uno sforzo maggiore la guerra potrebbe protrarsi a lungo, permettendo peraltro all’Isis di conservare territori ampi e allargare la propria economia. Basti pensare che Fallujah è da gennaio sotto il controllo degli islamisti, che hanno così radicato il proprio potere. Anche a Mosul hanno potuto consolidare le loro postazioni militari e amministrative. Perciò non potrebbe bastare l’offensiva dei peshmerga curdi e l’esercito regolare iracheno, per quanto equipaggiati con armi sofisticate.
Isis: il fronte iraniano
In un quadro geopolitico molto complesso, anche l’Iran comincia a percepire la minaccia dell’Isis come qualcosa di tangibile. Nel Paese gli estremisti sunniti vogliono colpire il regime sciita, visto come un grande nemico. Per questa ragione Teheran ha dato la propria disponibilità ad aiutare attivamente il governo siriano di Bashar Assad, qualora Damasco concedesse il proprio placet all’intervento.
Ma prima che nello scacchiere arrivi l’Iran, è probabile che sia lanciata la guerra di terra da parte degli Stati Uniti e dei Paesi che daranno la loro disponibilità.
(Il Journal)

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