lunedì 10 febbraio 2014

Sud Sudan, la fuga di donne e bambini...





Senza cibo, medicinali e vestiti. Spesso isolate. Obbligate a vivere di elemosina. Le voci delle madri in fuga con i loro figli dal Paese flagellato dalla guerra. Per cercare la salvezza in Uganda. 

di Barbara Ciolli - 
Si scappa, lungo le strade sterrate e sui barconi del Nilo Bianco, per centinaia di chilometri, in direzione Sud. Un esodo silenzioso di donne e bambini. Ragazze spesso adolescenti, alla disperata, spesso vana ricerca di mettere in salvo giovani e numerose famiglie.
Se i politici in lotta trattano una pace fittizia per il Sud Sudan ai colloqui in Etiopia, un po' come a Ginevra per la Siria, le milizie distruggono case e villaggi. I cessate il fuoco promessi reggono l'arco di qualche ora. Poi la guerriglia ricomincia e riparte l'esodo.

L'ESODO DI DONNE E BAMBINI. Gli uomini vanno a fare la guerra o restano a difendere i territori. Le spose-bambine si incamminano verso i campi d'emergenza degli Stati confinanti o di zone più sicure come Juba.
 Ma non c'è sempre una tenda ad accoglierle. Alcune famiglie trovano rifugio da parenti o amici, altre sono accolte dai capi-villaggi. Altre ancora sono costrette e ripararsi in luoghi di fortuna come chiese o edifici in costruzione.
 Di giorno chiedono l'elemosina, la notte dormono per terra, senza vestiti né coperte. Alcune di loro, pur di aiutare i figli o i fratelli, vanno incontro a pericoli e si perdono.

IN FUGA VERSO SUD. Dai registri ufficiali del governo sono 34 mila gli sfollati individuati e soccorsi, per quanto possibile, grazie all'aiuto delle Ong e dell'Onu. Ma tutti sanno che da dicembre il numero cresce di giorno in giorno per le violenze ormai croniche di una delle nuove guerre dimenticate dell'Africa.
 Da Bor, nello Jonglei devastato dai combattimenti, verso Juba, capitale relativamente tranquilla, fino a Nimule, al confine meridionale con l'Uganda, Lettera43.it ha seguito l'odissea delle ragazze del Sud Sudan e dei tanti minori in fuga. Raccogliendo le loro storie.

In una scuola senza vestiti né ripari: la storia di Amal, 17 anni

Mancano i medicinali, l'acqua corrente per lavarsi e il cibo, nonostante gli sforzi, non arriva a tutti.
 Alla fine di gennaio 2013, all'aeroporto di Juba sono atterrati due aerei con 70 milioni di aiuti e sono in corso migliaia di vaccinazioni dei bambini contro le epidemie.
 Ma entrare nell'inferno di Bor non è facile. Le strade dalla capitale verso nord sono accidentate e a forte rischio di imboscate; mentre in città le rappresaglie esplodono continuamente. A sud, lungo la rotta da Juba verso Nimule, nello Stato dell'Equatoria orientale, la situazione è calma e i combattimenti lontani: ma capita che le famiglie sfollate, dopo tanti chilometri, si disperdano, in balia dei bisogni e del caso.
 Le donne e i bambini spesso irraggiungibili sono quelli degli accampamenti improvvisati.

ACCAMPATI SENZA PROTEZIONE. Amal, 17 anni, per esempio, da un mese vive in una scuola in costruzione, con la madre e le sorelline più piccole. «Il compound non ha né porte, né finestre. Non ci sono neanche i letti. Per loro la comunità del posto ha trovato dei sacchi a pelo, sono stati davvero gentili. Ma è come una goccia nell'oceano», racconta a Lettera43.it Yari Betty Gorle, responsabile per il sostegno ai rifugiati nei programmi d'emergenza dell'Ong Plan Sud Sudan, che ha accompagnato gli sfollati nel loro viaggio attraverso il Paese. «Bisogna considerare che alcune ragazze si sposano già a 12 anni, vivono in uno stato già problematico che peggiora con la guerra».

MANCANO ACQUA, CIBO E MEDICINALI. Con sé Amal ha i pochi indumenti portati via nella fuga. Per sfamare i figli, la madre è costretta a chiedere l'elemosina nel villaggio. Ma quando torna a mani vuote, la ragazza si sente in colpa, vorrebbe assistere la famiglia, riscattarla da uno stato così degradante.
«Si sente il bisogno di spendersi per gli altri, fare qualcosa anche se non si ha l'istruzione, né l'età per un lavoro», continua Gorle. «Queste adolescenti non vedono e non trovano una possibilità di aiuto. Non riescono a fronteggiare la situazione e per loro il pericolo è ancora maggiore».

Dallo Jonglei a Nimule, verso l'Uganda: il fiume di sfollati

A Bangui, nella vicina Repubblica centrafricana, è in corso un'altra guerra dimenticata e l'Unicef ha denunciato bambini e bambine soldato nei gruppi armati.
 L'agenzia dell'Onu per l'infanzia è preoccupata anche per il Sud Sudan. L'alternativa, per le ragazze, è la prostituzione e l'esposizione a stupri e violenze.
 Dorcas, 16 anni, è riparata in una scuola: prima di essere costretta a scappare dal Nord frequentava un liceo e forse potrà difendersi di più. Tabiha, 15enne, dorme a Nimule in una casa ammassata con persone conosciute ed è molto impaurita. Un'altra famiglia abita in una chiesa e la domenica, quando la gente del posto viene a pregare, deve uscire.

GLI SFOLLATI AI MARGINI. «Si capisce quant'è imbarazzante la loro condizione Non hanno nulla e tutti possono vedere la loro disperazione», spiega Gorle, «c'è chi vive in famiglie allargate con le zie e i cugini. E chi, come Tabiha si ritrova con decine di parenti del capo-famiglia in casa. Persone in realtà estranee».
L'Ong Plan International, cui Plan Italia e Plan Sud Sudan sono affiliate, soccorre alcuni degli sfollati più isolati. Chi è nei campi o ha trovato ospitalità è stato identificato dalle autorità, altri invece sfuggono alle statistiche. «È più facile localizzarli fuori dai grandi centri. I leader delle comunità sono in grado di segnalarli», continua l'operatrice.
 Una sfida enorme. Ma, nella guerra, c'è anche solidarietà. «Le agenzie umanitarie sono in grado di lavorare con il governo che ha registrato gli sfollati. Che, a loro volta, hanno selezionato dei rappresentanti che cooperano con l'esecutivo e le Ong», precisa Gorle.

EMERGENZA CONTINUA. Da Nimule, l'operatrice è rientrata a Juba, dove prosegue la consegna di razioni di cibo e kit sanitari. Il flusso di sfollati è continuo, più veloce dell'aggiornamento dei dati. In centinaia approdano a Nimule, per sconfinare in Uganda. Altri, invece, cercano varchi per il Sudan.
«Per quanto possiamo essere ottimisti sul cessate il fuoco, l'emergenza non finirà. La storia di regioni come lo Jonglei è fatta di tregue e continue nuove crisi» , spiega la responsabile. «In alcune aree tornerà la pace, in altre no. E, comunque, al loro ritorno le migliaia di donne e bambini troveranno case, scuole e ospedali distrutte». Senza niente, dovranno ripartire da zero. - See more at: http://apocalisselaica.net/focus/diritti-umani-eutanasia-omofobia-e-sessismo/sud-sudan-la-fuga-di-donne-e-bambini?
(apocalisse laica)

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