giovedì 4 aprile 2013
I destini incrociati di Damasco e Teheran Perché gli Usa hanno subordinato il dossier siriano a un compromesso sul nodo nucleare dell'Iran....
di Armando Sanguini
L'insana minaccia nucleare della Corea del Nord e la pausa propiziata dalle festività pasquali hanno messo in ombra la tragica monotonia della guerra civile siriana.
Neppure l'appello accorato di papa Francesco, al quale hanno fatto eco i desolanti riscontri dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, ha scosso la coscienza politica dei grandi e meno grandi potenti della terra.
A MARZO 6 MILA VITTIME. Rami Abdul-Rahman, il responsabile dell'Osservatorio, ha reso noto che marzo è stato il mese con il maggior numero di morti da quando la guerra civile ha cominciato a distruggere il tessuto sociale e il paesaggio urbano della Siria. Oltre 6 mila persone sono state uccise: 2.950 tra soldati del regime e ribelli, 2.467 civili e 588 combattenti non identificati (stranieri). A questi, si sommano decine di migliaia di persone scomparse e centinaia di shabiha (milizie pro-regime) uccisi dai ribelli.
Sono cifre impressionanti e poco importa che rispecchino l'estensione progressiva del conflitto. Conta il fatto che l’allargamento della guerra sia stato favorito dall'incrementato afflusso di armi dall'esterno. E che l'opposizione veda concretizzarsi la prospettiva dell'apertura di un corridoio strategico tra il confine giordano e Damasco - coincidente con l'area di Houran - in preparazione dell'assalto definitivo (così sperano) alla capitale.
CONTROLLO INCERTO. Ma si è ancora in presenza di una situazione a macchia di leopardo in termini di controllo del territorio. Sebbene i ribelli stiano guadagnando terreno, Assad dispone tuttora di una complessiva capacità offensiva e di fuoco superiore.
E sa che questa superiorità gli sarà consentita ancora per un certo tempo se non interverrà un repentino fattore implosivo, attualmente imprevedibile. Oppure se non si chiuderà un'intesa su un percorso di transizione sul quale l'inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba Lakhdar Brahimi continua a tessere la sua tela.
Ma questa è un’opzione poco probabile, anche se su di essa è impegnato anche il carismatico presidente della Coalizione siriana, Moaz al-Khatib, che dopo aver offerto le sue dimissioni per protestare contro la frustrante inerzia della comunità internazionale, ha ottenuto dalla Lega araba il posto siriano rimasto vacante dopo la sospensione di Bashar al Assad.
Si tratta di una significativa legittimazione. E un primo passo, certo non decisivo ma emblematico, verso l'occupazione di altri seggi di rappresentanza siriana nel tessuto multilaterale del mondo.
Alla visione americana si oppone chi vuole far leva sul rovesciamento di Assad
Khatib ha rinnovato la sua sollecitazione per un maggior sostegno alla causa rivoluzionaria da parte della comunità internazionale, sottolineando la necessità di fermare la guerra e lo spargimento di sangue e richiedendo il sostegno della Nato e degli Usa per difendere la vita dei civili, con particolare riferimento al sistema dei missili patriot installati al confine del Paese.
Khatib si è rivolto in maniera specifica agli Usa ma non all'Europa, perché sa che è divisa tra coloro (come la Francia e la Gran Bretagna) che sono intenzionate ad assicurare armamenti alle forze di opposizione non legate al gruppo estremista di al Nusra, e quanti, come Germania e Italia, vogliono rinnovare l’embargo sulle armi, già in vigore anche per gli insorti.
AMBIGUITÀ USA. Ma la Casa Bianca si mantiene per il momento su una posizione di appoggio politico e di sostegno militare entro gli ambigui confini del non lethal (non letale), anche se ha dato un silente via libera perché altri Paesi, in primis quelli del Golfo, possano superarlo.
A fronte di questa ostinazione, si fa strada l'idea che la linea di condotta faccia ormai parte dell'impostazione pre-negoziale che si sta modellando per giungere a un compromesso finale sul nodo nucleare iraniano.
Su questo fronte, è iniziata la ricerca e la messa a fuoco di un’intesa concreta sulla quantità di uranio che possa essere arricchito per fini civili. E la concretezza di una tale prospettiva - indissolubilmente legata a una sostanziale convergenza di Mosca e Pechino - starebbe consolidando l'orientamento americano a subordinarvi il dossier siriano.
PRIMA L'IRAN, POI LA SIRIA. E pazienza se ciò dovrà imporre mesi di attesa, almeno fino a quest'estate, dopo le elezioni presidenziali iraniane.
Alla visione americana - prima l’Iran, poi la Siria - si oppone chi crede invece che il rovesciamento di Assad sia una leva ben più efficace per indurre il vertice iraniano a più miti consigli sulla vertenza nucleare.
L’idea non è affatto peregrina, e non solo in linea concettuale. Ma Barack Obama sembra averla scartata, almeno come sbocco di un'azione direttamente addebitabile agli Usa. Sindrome irachena? Forse. Che rischia però di dare un ulteriore vantaggio “sunnita” alle monarchie del Golfo.
Resta che in questo contesto l'opposizione siriana avrà di fronte a sé un domani piuttosto lungo e difficile, e la leadership di Moaz al Khatib sarà messa a dura prova nel mix di opzione militare e negoziale che sta perseguendo.
Giovedì, 04 Aprile 2013
( Lettera 43 )
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