mercoledì 26 marzo 2014

Siria, l'arma dello stupro nelle mani dell'Esercito. Quando la violenza sessuale si fa strumento di guerra...





Di Luca Lampugnani | 26.03.2014 08:44 CET
Nell'immensa brutalità della guerra civile siriana, colpevole di morti, feriti, sfollati e rifugiati, anche il corpo delle donne diventa un "campo di tortura e di battaglia". A usare queste parole è Samar Yazbek, scrittrice nata in Siria e oggi rifugiata in Francia, scappata dalla violenza del conflitto. "Le donne servono come strumenti per colpire padri, fratelli e mariti", ha spiegato intervistata dal quotidiano francese Le Monde.
La guerra scoppiata nel 2011 nel suo Paese, spesso lasciata in disparte e arrivata all'attenzione internazionale con l'attacco chimico nei sobborghi di Damasco nell'agosto del 2013, è stata la risultante di una Primavera Araba appassita o, peggio, mai del tutto sbocciata. All'ombra della capitale e di altre città, da Hama ad Homs, le forze regolari del regime combattono con un fronte ribelle dalle molte facce, frammentario e lontano dagli ideali rivoluzionari laici che diedero vita alle prime manifestazioni e proteste contro Bashar al Assad. E a fare le spese delle estenuanti battaglie, combattute di città in città, sono principalmente i civili: secondo i dati dell'Osservatorio siriano per i diritti umani le vittime di cui si ha attualmente conoscenza sono oltre 146mila. Cifra che va considerata al ribasso, vista la difficoltà di riuscire a raccogliere elementi e prove sul campo. Ma a colpire particolarmente del triennio di sangue in Siria sono soprattutto i continui atti perpetrati dall'Esercito regolare ai danni della popolazione (soprattutto quella sunnita, l'etnia opposta a quella alawita cui appartiene il presidente), dalle torture alla demolizione illegale delle case di quei civili ostili al regime.
Come è facile capire dalle parole usate dalla Yazbek, i militari di Assad sono colpevoli anche di stupri e di violenze sessuali sistematiche e utilizzate come vero e proprio strumento di guerra. Una realtà che è stata messa nero su bianco nel novembre dello scorso anno da un rapporto pubblicato dall'Euro-Mediterranean Human Rights Network: secondo lo studio, infatti, l'utilizzo della violenza sessuale verso le donne è un'emergenza di portata non indifferente, sostenendo inoltre che se da approfondite indagini dovesse emergere che queste vengono pianificate e ordinate dalle 'alte sfere' dell'Esercito e del regime, quest'ultimo potrebbe essere perseguito per crimini contro l'umanitàMa la difficoltà sta tutta nel raccogliere prove e testimonianze, nel dimostrare (o smentire) il coinvolgimento di Damasco in una brutalità simile. Non ha dubbi, però, Sema Nassar, una delle autrici del report: "le donne sono il primo bersagli del regime. Lo confermano le numerose vittime dei cecchini, tra cui si registrano anche donne in gravidanza. Queste vengono inoltre utilizzate come scudi umani, come successo nel quartiere Ashria di Homs nel febbraio del 2012, quando l'esercito ha costretto donne a camminare davanti alle truppe".
Storie e testimonianze, quest'ultime, che Nassar e molti altri operatori di organizzazioni internazionali per i diritti umani riescono a raccogliere, tra mille difficoltà, nei campi rifugiati organizzati nei Paesi con cui confina la Siria. Racconti dell'orrore, che mettono a nudo la brutalità dell'Esercito siriano. C'è ad esempio Alma (nome di fantasia utilizzato dal quotidiano Le Monde per difendere la privacy e la sicurezza della donna), 27enne la cui spina dorsale è stata spezzata dai colpi che le sono stati inferti da un soldato con il calcio del fucile. Sottoposta a cure mediche in un ospedale di Amman, in Giordania, la donna racconta di essere stata membro della prima ora dei ribelli, facendo da staffetta e trasportando prima medicine e cibo, passando poi alle armi e alle munizioni. Proprio mentre svolgeva il suo compito, è stata fermata ad un posto di blocco nella periferia di Damasco e arrestata, gettata per 38 giorni in una cella insieme ad altre centinaia di donne: "ho subito di tutto - spiega -. Sono stata picchiata, frustata con cavi d'acciaio, mi hanno spento mozziconi di sigaretta sul collo e mi hanno fatto tagli su tutto il corpo con lame di rasoio". Infine è stata vittima di abusi sessuali continui e reiterati: "venivo bendata e violentata quotidianamente da diversi uomini che puzzava di alcool e obbedivano agli ordini dei loro superiori, sempre presenti durante gli stupri. Gridavano: 'Volete la libertà? Eccola'".
E ancora viene riportato l'esempio di una ragazzina di Hama, ora rifugiata negli Stati Uniti, vittima insieme ai tre fratelli della brutalità dell'Esercito. Mentre i quattro si trovavano in casa, alcuni soldati hanno fatto irruzione intimando in seguito ai tre fratelli di abusare della sorellina. Il primo si è rifiutato e gli è stata tagliata la testa, stessa sorte è toccata al secondo. Il terzo ha obbedito all'ordine ed è stato ucciso mentre si trovava sopra la giovane ragazza, poi stuprata a turno dai membri delle forze armate. Oppure spicca per efferatezza la testimonianza di una siriana che insieme ad altre donne è stata portata dall'Esercito in una casa nella periferia di Homs nell'estate del 2012 subendo torture e violenze sessuali, il tutto ripreso da una telecamera le cui registrazioni sono state spedite allo zio, uno sceicco noto e predicatore della televisione, membro dell'opposizione al regime di Assad.  
Racconti precisi, duri e raccapriccianti. Ma per le donne vittime di stupro, poi rilasciate dopo giorni o mesi di prigionia totale, la sofferenza è tutt'altro che finita: molte di queste scappano verso la Giordania perché le famiglie voltano loro le spalle, lasciandole sole. In Siria, infatti, le vittime di violenza sessuale vengono considerate delle reiette, 'sporche', indegne. Anche per questo motivo, infatti, molte di loropreferiscono non raccontare gli abusi subiti, nascondendoli alle persone vicine. Ed è anche grazie a questa realtà che le violenze sessuali si fanno armi potentissime nelle mani dell'Esercito: "lo stupro sistematico - spiega Sema Nassar -, che a subirlo siano bambine di 9 o donne di 60 anni, è un modo per distruggere definitivamente l'intero tessuto sociale". La violenza sessuale rompe le linee 'nemiche', corrode nuclei famigliari e condanna spesso le donne a divenire vittime di delitti d'onore. E, purtroppo, quello degli stupri è un fenomeno molto diffuso in Siria: "è una delle conseguenze comuni dei raid nei villaggi, così come avvengono sistematicamente nei centri di detenzione dei servizi segreti", racconta a Le Monde il presidente della Lega siriana per i diritti umani Rihaoui Abdel Karim.
Ma nonostante questa realtà venga raccontata ciclicamente, riuscendo solo in parte ad aggirare le difficoltà che si incontrano nel trovare donne disposte a condividere le loro storie del terrore, il silenzio internazionale è ancora troppo. Il punto, ad esempio, non è stato nemmeno lentamente sfiorato durante i colloqui di Ginevra 2, terminati con un nulla di fatto e probabilmente ultimo baluardo di speranza affinché il conflitto si potesse risolvere pacificamente. Un silenzio che la già citata Samar Yazbek definisce "assordante". Mutismo generale che si aggiunge ad altri casi simili sparsi per tutto il mondo, specialmente in quei fronti aperti africani dove periodicamente scoppiano violenze devastanti, sistematiche e settarie. Infatti, benché la brutalità dello stupro come arma nelle mani di eserciti e militanti sia tornata relativamente sotto i riflettori con la guerra civile siriana, non è assolutamente una novità.
Nella storia recente, ad esempio, spicca il caso della Bosnia Erzegovina e del "fenomeno dello stupro di massa". Secondo i dati dell'Unione Europea si calcola che tra il 1992 e il 1995 all'incirca tra le 20mila e le 50mila donne siano state vittime di stupri perpetrati dalle forze serbe, dati ovviamente che fotografano solo la superficie di una realtà probabilmente molto peggiore. E ancora episodi simili si sono verificati e ancora oggi si verificano in molti Paesi del Continente Nero. Dalla Repubblica Democratica del Congo (dal 1998 al 2004 solo a Goma si sono registrati 1625 casi di abusi sessuali) al Sud Sudan, dal Ruanda alla Repubblica Centro Africana fino al Darfur, i casi di assalti, saccheggi e distruzioni di paesi e villaggi durante i periodi di tensioni sociali sono spesso accompagnati da stupri di massa e sistematici, usati come estrema arma del disprezzo e dell'odio verso l'etnia con cui si è in conflitto. Anche in questi casi, così come in Siria, le donne vengono poi considerate impure e indegne dai famigliari, costrette perciò ad allontanarsi dalla comunità invece di poter avere quello che sarebbe il giusto supporto e la giusta comprensione. E ancora stupri sistematici e utilizzati come arma di 'distruzione di massa' si sono verificati in Libia, tanto durante l'egemonia del Rais Gheddafi quanto durante i giorni delle rivolte, in Iraq dove molta attenzione mediatica ebbero le violenze perpetrate da alcuni soldati USA nella tristemente nota prigione di Abu Ghraib, in Sri Lanka, in Kosovo e nel Sudan.
Fermare questa tendenza violenta e brutale non sarà certo facile, soprattutto se si considera la difficoltà di tenere sotto stretta osservazione Paesi dove è all'ordine del giorno la possibilità di conflitti e guerre. È pur vero, del resto, che dalla Comunità Internazionale deve arrivare una netta presa di posizione rispetto a questa realtà siriana, nella speranza che il lavoro delle organizzazioni per i diritti umani possa portare, quando a Damasco si poseranno le armi, ad una dura e giusta condanna di tutte le violazioni e dei crimini perpetrati dall'Esercito regolare della Siria.

(International business time)

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