venerdì 28 febbraio 2014

Crimea invasa da 2mila soldati russi. Obama: “No ingerenze, siamo preoccupati”...





di Veronica Nicosia

KIEV - Gruppi di cosacchi russi pattugliano insieme a forze della Crimea il checkpoint nei pressi della città di Armiansk lungo la linea che segna l’inizio della Crimea. L’inviato dell’Ansa che si è recato sul posto ha notato anche la presenza al checkpoint, di almeno due postazioni di mitragliatrici.
“Aerei militari hanno violato lo spazio aereo dell’Ucraina e 2mila soldati russi hanno invaso l’aeroporto militare di Gvardiiski, vicino alla capitale della CrimeaSinferopoli“. Il ministero degli Esteri di Kiev ha inviato un comunicato a Mosca e invitato i russi a “far rientrare immediatamente le truppe e i loro veicoli (in Crimea) alle loro basi”.
“Si tratta di una grave ingerenza e siamo molto preoccupati”, ha detto il presidente degli Stati UnitiBarack Obama la sera del 28 febbraio commentando la violazione dello spazio aereo e l’arrivo dei soldati in Crimea.
Intanto l’Onu ha convocato un consiglio e annuncia alla Russia: “Siamo abbastanza forti da difenderci, ritiri i militari”.
Il clima diventa teso in Crimea e i toni tra Russia, Usa e Onu si scaldano: l’arrivo dei soldati diVladimir Putin nella penisola ucraina ha il sapore di una forte provocazione e Obama si dice per questo “fortemente preoccupato”. L’intervento in Ucraina da parte dei russi, sottolinea il presidente americano, “ha un costo e avrà delle conseguenze” e l’incubo di una guerra incombe e spaventa.
SOLDATI RUSSI IN CRIMEA - L’invasione del territorio aereo è scattata la sera del 28 febbraio e 13 aerei militari russi Il-76 hanno portato oltre il confine ucraino 2000 paracadutisti, racconta Serghiei Kunitsinrappresentante permanente del presidente ucraino in Crimea.
In un comunicato il ministero degli Esteri di Kiev ha annunciato la violazione da parte di Mosca del trattato russo-ucraino del 1997, le cui regole impongono alla flotta russa del Mar Nero di restare confinata al porto di Sebastopoli e ha dichiarato:
“Il ministero degli affari esteri ucraino ha protestato in una nota trasmessa alla Russia contro la violazione dello spazio aereo ucraino (…) e chiede il rientro immediato dei militari e dei loro veicoli alle loro basi”.
Il presidente ucraino ad interim, Aleksandr Turcinov, ha chiesto al leader russo Vladimir Putin di far cessare la “aggressione non dissimulata”:
“Mi rivolgo personalmente al presidente Putin per chiedergli di fermare immediatamente la sua aggressione non dissimulata e di ritirare i suoi militari in Crimea. Così si provoca il conflitto e poi si annette il territorio”.
“SIAMO IN GRADO DI DIFENDERCI” - Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito sulla crisi in Crimea, prima in forma privata, poi per consultazioni a porte chiuse per ascoltare un briefing di Oscar Fernandez-Tarranco del Dipartimento agli affari politici e l’ambasciatore di Kiev.
L’ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite, Yuriy Sergeyev, ha chiesto ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di considerare la situazione in corso a Kiev per la sua reale gravità e di assistere il suo Paese a mantenere la pace e l’integrità territoriale: “Siamo forti abbastanza per difenderci, la Russia ritiri le forze militari”.
“NO INGERENZE DA MOSCA” -  Samantha Power, ambasciatrice americana all’Onu, avvisa la Russia: “Non accetteremo ingerenze da Mosca”. Power ha precisato che e’ importante che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sia unito in un momento critico per il futuro dell’Ucraina e del suo popolo, chiedendo anche alla Russia di contribuire al rispetto dell’indipendenza e dell’integrità territoriale dell’ex repubblica sovietica.
“PREOCCUPATI, INVASIONE HA COSTO” – Obama ha dichiarato:
”Siamo profondamente preoccupati. Ogni intervento in Crimea sarebbe una grave violazione del diritto internazionale e della sovranità ucraina”.
Nonostante la situazione con le autorità russa sia “fluida” e non manchino i contatti, Obama sottolinea che l’invasione non sarà a costo zero:
“Un intervento armato ad opera della Russia avrebbe delle conseguenze. Sarebbe profondamente destabilizzante per l’Ucraina e potenzialmente pericoloso”.
Il presidente ha poi sottolineato che gli Usa
“appoggiano la sovranità territoriale dell’Ucraina. Negli ultimi giorni abbiamo parlato spesso con Putin. Credo che la Russia possa essere parte integrante del processo di stabilizzazione dell’Ucraina. Gli Stati Uniti  sostengono il diritto del popolo ucraino di decidere liberamente il proprio futuro”.
(Bliz quotidiano)

Idlib 28 febbraio 2014...dopo i bombardamenti...(Video)





Estrazione dei feriti da sotto le macerie in seguito ai bombardamenti delle forze del regime sulla zona di Jesr Al Shoghour in provincia di Idlib.

Egitto: scontri pro/anti Morsi, 1 morto Comunicato del ministero della Sanità: ferite altre 16 persone...





(ANSA) - IL CAIRO, 28 FEB - Una persona é stata uccisa oggi al Cairo in scontri tra sostenitori e oppositori dell'ex presidente Mohamed Morsi, integralista islamico destituito dall'esercito. Lo ha reso noto il ministero della Sanità egiziano, aggiungendo che altre 16 persone sono state ferite e tra loro nove sono ancora ricoverate in ospedale.

Gli scontri sono scoppiati a margine di manifestazioni pro-Morsi. Da dicembre il partito dei Fratelli Musulmani, cui appartiene Morsi, é stata dichiarata fuorilegge...

Ucraina: venti di guerra, '2.000 para' russi in Crimea' Ianukovich, continuerò a lottare. Putin invita ad evitare escalation...





All'aeroporto militare di Gvardiiski, vicino alla capitale della Crimea, Sinferopoli, sono atterrati 13 aerei militari russi Il-76 ognuno con a bordo 150 paracadutisti per un totale di 2.000 soldati. Lo denuncia il rappresentante permanente del presidente ucraino in Crimea, Serghiei Kunitsin, citato dall'agenzia Unian.

Aerei militari della Russia hanno violato lo spazio aereo dell'Ucraina
: è quanto afferma un comunicato del ministero degli esteri di Kiev trasmesso a Mosca, nel quale si invitano i russi a "far rientrare immediatamente le truppe e i loro veicoli (in Crimea) alle loro basi".

Ianukovich, continuerò a lottare - "Io continuero' a lottare": cosi' ha esordito nella sua conferenza stampa il deposto presidnete ucraino Ianukovich, chiedendo il rispetto dell'accordo firmato il 21 febbraio tra lui, i leader dell'opposizione e tre ministri europei, presente anche un rappresentante russo.

Putin invita ad evitare escalation 
– Vladimir Putin rompe il silenzio sull'Ucraina e invita a evitare una escalation nel Paese: lo ha rende noto il Cremlino riferendo di una serie di telefonate del presidente russo, con il premier britannico David Cameron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente Ue, Herman Van Rompuy.

Usa, Ianukovich ha perso ogni legittimita' 
- Gli Stati Uniti ritengono che il deposto presidente ucraino Viktor Ianukovich, lasciando il Paese, abbia ha perso "ogni legittimità". Lo ha affermato oggi la portavoce del dipartimento di Stato Usa, Jan Psaki.

Mogherini, smembramento scenario da evitare - "Lo smembramento territoriale dell'Ucraina sarebbe lo scenario peggiore, che cerchiamo di evitare. Non c'é alternativa al dialogo inclusivo, è l'unica strada, e posso dire che dai colloqui che ho avuto in questi giorni con colleghi Usa, Ue e Russia,tutti la pensano così. Lo ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini.

Crimea, aeroporto pattugliato da filo-russi 
 - L'aeroporto di Simferopoli, capitale della Crimea, resta pattugliato in queste ore da ronde armate di miliziani locali filo-russi, alcuni in divisa senza insegne, altri in abiti civili. Lo ha constatato l'Afp sul posto, malgrado le autorità di Kiev abbiano annunciato di aver riportato lo scalo sotto il loro controllo.

Sebastopoli,soldati Kiev "circondati da russi" 
- Le guardie di frontiera ucraine a Sebastopoli, in Crimea, sostengono che la loro base sia circondata da militari russi dell'810a brigata della flotta del Mar Nero. Secondo gli ucraini, ci sarebbero anche cecchini piazzati sugli edifici attorno alla base.

Timoshenko si candida presidenziali 
 - L'ex 'pasionaria' della Rivoluzione arancione filo-occidentale Iulia Timoshenko si candiderà alle presidenziali ucraine fissate per il prossimo 25 maggio. Lo fa sapere l'ex pugile Vitali Klitschko, leader del partito 'Udar', alleato di Timoshenko. Anche Klitschko ha più volte annunciato di volersi candidare alla presidenza....
(ANSA)

Bangui, "Sparano, tutti a terra": dove non si sta sicuri neanche negli ospedali...





L'ospedale in un campo per sfollati allestito da Medici Senza Frontiere(Msf). La Repubblica Centrafricana è sprofondata nel caos ed è stata segnata da colpi di Stato e guerre civili sin dall'indipendenza dalla Francia conquistata nel 1960, ma il conflitto attuale è senza precedenti

IRAQ...vicino alla guerra civile...





Decine di morti ieri in una raffica di attentati. Il Paese è ormai parte dell’aperta e sanguinosa contrapposizione tra sciiti e sunniti che sta infiammando la regione mediorientale. Il 30 aprile si vota - 

Roma, 28 febbraio 2014, Nena News – È un vero bollettino di guerra quello che arriva quasi quotidianamente dall’Iraq, teatro di un sanguinoso scontro settario, tra sunniti e sciiti, che sta spingendo il Paese verso una conflitto civile, quando mancano due mesi alle elezioni presidenziali (30 aprile).
Sono almeno 52 le persone morte negli attentati che ieri hanno scosso le città irachene. Il peggiore nel pomeriggio, quando una motocicletta carica di esplosivo è saltata in aria in un affollato mercato di Sadr City, distretto suburbano della capitale Bagdad, uccidendo 31 persone e ferendone 51. Altri attacchi hanno fatto altre vittime in due quartieri sciiti della città: due ordigni sono esplosi su altrettanti minibus, facendo nove morti. In una zona sunnita, invece, un miliziano si è lanciato contro un posto di blocco a bordo di un’auto imbottita di esplosivo: tre i morti e sei i feriti. E ci sono stati altri attentati, con autobombe e kamikaze, in tutto l’Iraq che ha chiuso il 2013 con un bilancio terribile: quasi 9.000 morti nelle violenze.
È stato l’anno più violento dal 2008, ma quello appena iniziato rischia di essere peggiore: soltanto nel mese di gennaio ci sono stati quasi mille attacchi e le vittime sono state 1.500. Cifre che rimandano al sanguinoso biennio 2005-2006, quando lo scontro confessionale fece oltre 50.000 vittime.
La recrudescenza delle violenze è legata anche alla difficile situazione della provincia dell’Anbar, occupata da dicembre dai miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, compagine “ribelle” di al Qaeda rinnegata dalla stessa organizzazione, che hanno assunto il controllo di interi quartieri delle città di Ramadi e di Fallujah. Decine di migliaia di residenti sono fuggiti e l’offensiva del governo non ha fermato gli attentati che spesso portano la firma dei gruppi legati ad al Qaeda. L’Anbar è  uno storico bastione sunnita e in passato ha sostenuto il  regime baathista di Saddam Hussein, mentre negli anni recenti è stato il luogo di nascita di movimenti di protesta antigovernativi, che chiedono più partecipazione politica e denunciano la marginalizzazione che subiscono ad opera di Maliki.
Da due anni l’astio tra gli sciiti alla guida del Paese e i sunniti, estromessi dal potere dopo la caduta di Saddam Hussein, ha assunto la forma del conflitto armato. Dopo l’invasione statunitense iniziata nel 2003 e terminata nel 2011, gli sciiti hanno iniziato a dominare la vita politica e il dissenso, soprattutto da parte dei sunniti, è stato soffocato nel sangue. I movimenti di protesta, seppur pacifici, sono stati zittiti con la forza: nell’aprile del 2013 il premier Nouri al Maliki ha inviato l’esercito a sgomberare il campo di protesta di Hawija, vicino a Kirkuk, lasciando sul terreno 42 manifestanti. Da allora gli scontri si sono inaspriti e pure la stretta repressiva del governo, con leggi antiterrorismo che hanno portato in carcere decine di persone e hanno condannato a morte decine di “terroristi”. Secondo l’associazione Human Rights Watch, le autorità hanno condannato a morte per impiccagione almeno 151 persone nel 2013, 129 nel 2012 e 68 nel 2011.
La comunità sunnita denuncia l’uso strumentale di queste leggi contro i rivali politici di Maliki che, grazie a una sentenza della Corte suprema, potrà ricandidarsi. La strada verso la vittoria è stata spianata anche dall’inaspettato ritiro dalla scena politica irachena di Moqtada al Sadr, anche lui sciita ma strenuo oppositore del governo. Intanto, per l’Iraq non c’è pace. Il Paese sembra essere ormai parte della aperta e spesso violenta contrapposizione tra sciiti e sunniti che sta infiammando la regione mediorientale. 
(Nena News)

Da Rostov parla Yanukovich "La Crimea resti unita all'Ucraina"...





L'ex presidente definisce "illegali" le elezioni indette per il mese di maggio dal governo di Kiev e rassicura di non aver intenzione di chiedere aiuto militare alla Russia: "Ho parlato con Putin solo al telefono" - ha detto. Intanto Germania, Polonia e Francia esprimono preoccupazione per gli sviluppi della situazione. Le nuove autorità ucraine incassano il pieno riconoscimento da parte degli Stati Uniti e dell'Europa


ROSTOV RUSSIA - Mentre il Crimea i filorussi, dopo l'occupazione del Parlamento, hanno assunto il controllo anche di un aeroporto, dalla Russia, Viktor Yanukovich assicura la sua intenzione di continuare a combattere per il suo paese. Da Rostov sul Don, nel sud della Russia, l'ex presidente ucraino precisa in una conferenza stampa di non essere stato deposto, ma costretto a lasciare il paese da forze estremiste, ''per le minacce di morte'' ricevute. La crisi in cui si trova il paese, ha aggiunto chiedendo la convocazione di un referendum sulla costituzione, ''è stata provocata da politici europei irresponsabili''.
''La Crimea deve rimanere parte dell'Ucraina, anche se con ampia autonomia'': lo ha affermato Yanukovich precisando che, ''pur simpatizzando con il desiderio delle milizie di autodifesa di proteggere le loro famiglie e le loro case, le invita a mantenere moderazione ed evitare qualsiasi conflitto''. Yanukovich ha detto di non avere intenzione di chiedere alla Russia assistenza militare e di trovarsi a Rostov, e non per esempio a Mosca, solo perché in questa città ha un amico che ha acconsentito a ''offrirgli rifugio''. Una volta arrivato in Russia, ho parlato al telefono con Putin, ha aggiunto precisando che con lui ''ha concordato che quando sarà disponibile ci incontreremo, ma non so quando questo sarà'''. Il deposto presidente ucraino  ha affermato poi che non parteciperà alle elezioni presidenziali del 25 maggio definendole "illegali".
Le preoccupazioni in EuropaGermania, Francia e Polonia sono "profondamente preoccupate" per gli sviluppi della situazione in Crimea, dove le tensioni tra filorussi e pro governativi mettono a rischio la stabilità dell'area. "Deve essere fatto tutto il possibile", si legge in un nota congiunta dei rispettivi ministri degli Esteri, "per ridurre le tensioni nelle regioni orientali dell'Ucraina e per promuovere un dialogo pacifico tra tutti i poteri". Nei giorni caldi della rivolta di Kiev capi delle diplomazie di Berlino, Parigi e Varsavia -rispettivamente Frank-Walter Steinmeier, Laurent Fabius e Radosalw Sikorski- avevano negoziato un accordo con l'allora presidente della Repubblica ex sovietica, Viktor Yanukovich.
Intanto il nuovo governo dell’Ucraina ha incassato il pieno riconoscimento da parte di Stati Uniti ed Europa...
(Rai Giornaleradio)

giovedì 27 febbraio 2014

Sarajevo calling...





Mentre a Sarajevo e a Mostar i cittadini organizzano plenum di discussione, la protesta sociale dilaga dalla Bosnia al resto del territorio della ex Jugoslavia. Gli unici paesi a non rispondere, per il momento, sono la Slovenia e la Serbia.

di Francesca Rolandi

27 febbraio 2014 - Il territorio della ex Jugoslavia è un luogo strano, parla la stessa lingua e ha condiviso per più di un terzo di secolo la stessa storia, ma sembra far finta di non capirsi e di non conoscersi. Forse perché gran parte delle classi dirigenti al potere sono ancora legate a doppio filo con quelle che negli anni ’90 hanno costruito la propria fortuna sulla disgregazione della Federazione.
Tuttavia, a volte succede che alcuni avvenimenti, come le proteste che hanno infiammato la Bosnia Erzegovina negli ultimi giorni, abbiano un’eco ben oltre le frontiere erette e presidiate dai custodi delle nuove nazioni. Così ha risposto la Croazia, la quale aveva già dato prova nel biennio precedente di un rinnovato attivismo, che affondava per la prima volta le radici non nell’antinazionalismo, ma nella lotta per i beni comuni. In Croazia, inoltre, l’influenza della diaspora bosniaca è forte e sono molti i legami che uniscono i due paesi.

BOSNIA-UNREST-ECONOMY-PROTEST

Ha risposto il Montenegro, il giovane stato balcanico non particolarmente uso alle proteste sociali, sebbene non manchino certo i motivi, con un sistema politico-affaristico basato su clientelismo e corruzione. Ha risposto la Macedonia, con centinaia di lavoratori di imprese ex statali che sono andate in bancarotta in seguito alle privatizzazioni e che hanno gridato lungo il corteo “Bosnia, Bosnia”, prima di scontrarsi con la polizia. Anche in Kosovo gli studenti dell’università di Pristina hanno manifestato per alcune settimane fino ad ottenere le dimissioni del rettore.
Nelle mobilitazioni di questi giorni ci sono due grandi assenti: la Slovenia, che pur essendo stata fortemente colpita dalla crisi ha subito una sorte un po’ diversa dagli anni ’90, con privatizzazioni meno rovinose, un maggior potere nelle mani dei sindacati e un relativo minore impoverimento di vaste fasce della popolazione; e la Serbia, che invece condivide tutti questi infelici primati con il vicino bosniaco. E proprio la Serbia, insieme al territorio della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina) sono state immobili mentre l’ex Jugoslavia si infiammava. Difficile capire il perché.
Nella Republika Srpska c’è stata una campagna mediatica diretta contro le proteste nate nella Federazione, bollate di essere un’anticamera verso una volontà di annessione da parte dell’entità croato-musulmana ai danni dell’entità serba. Tuttavia, una seppur diversa campagna anti-manifestazioni – tesa a presentare i manifestanti come teppisti – si è sviluppata anche sui media federali, ma non ha fermato le proteste. E inoltre il potere dei mezzi di informazione tradizionali impallidisce nei confronti del potenziale della rete.
Viene da pensare che forse la mancanza di una solidarietà tra i lavoratori dei due paesi si possa legare alle difficoltà che ha in Serbia un’alternativa progressista ad emergere. E che questa difficoltà sia legata, tra le altre cose, anche al fatto che il partito socialista, diretto erede della Lega dei comunisti jugoslavi, sia stato qui, a differenza che nelle altre repubbliche, il responsabile dell’escalation nazionalista prima e bellica dopo. Il fatto che sull’attuale arena politica serba, prossima si confrontino diverse opzioni politiche di centro-destra non è che un altro sintomo delle difficoltà che incontra qualsiasi alternativa progressista nel paese. Le mobilitazioni sociali degli ultimi anni nei paesi della ex Jugoslavia sono avvenute spesso in contrasto con governi o politici social-democratici e con i sindacati, giudicati ormai privi di contatto con le classi sociali. Tuttavia, probabilmente si sono nutriti dello stesso background e delle stesse radici almeno dichiarate.

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Intanto, le manifestazioni in Bosnia Erzegovina proseguono e il premier della Federazione croato-musulmana Nermin Niksic, che si è ben tenuto stretta la poltrona nei giorni più caldi, offre concessioni ai manifestanti e aspetta che le proteste scemino per dare posto al disinteresse di sempre. I plenum continuano a riunirsi sia a Sarajevo che in altre città, tra cui anche Mostar, la città divisa par excellance.Tra le loro richieste, elementi di una maggiore giustizia sociale, indagini sulle privatizzazioni truffaldine e taglio dei privilegi della classe politica. Forzare i meccanismi burocratici della Bosnia Erzegovina per apportare un cambiamento non sarà un gioco facile per i manifestanti.

Ma questi plenum sono stati anche e soprattutto importanti perché hanno rappresentato un’occasione per sfogarsi e dire chiaramente quello che non si diceva da anni: che le élite politiche bosniache hanno rubato il futuro di un intero paese offrendo una finta protezione dalla paura dell’altro, a suon di fabbriche, terreni e centrali elettriche svenduti in cambio di un’identità nazionale piccola come un fazzoletto ma tagliata su misura.
(Q COD MAG)

Yarmouk...Onu distribuisce aiuti...(Video)





Damasco Yarmouk…

 27 febbraio 2014 - 
L'Onu ha distribuito oggi circa 500 razioni di cibo ai civili nel campo profughi palestinese di Yarmouk dopo che il governo siriano ne ha permesso ieri l'ingresso; tre le vittime di malnutrizione e mancanza di medicine nel campo, dove secondo gli attivisti sono 123 le vittime dall'inizio dell'assedio.

Siria - 15 marzo 2014! 3 anni dopo per non dimenticare .....





IRAQ... 35 morti in nuova ondata violenza Maggior parte delle vittime in due attentati a nord di Baghdad...





(ANSA) - BAGHDAD, 27 FEB - Almeno 35 persone sono morte oggi in Iraq in una nuova ondata di violenza, secondo fonti della sicurezza. La maggior parte delle vittime, almeno 26, in due attentati a Sadr City, a nord di Baghdad. Sangue anche a Al-Sharqat nel nord - con due miliziani uccisi - e a Kirkuk, con tre soldati morti. Dal 1 febbraio in tutto il Paese sono morte circa 710 persone e oltre 1.700 da inizio anno, secondo l'Afp che cita fonti mediche e della sicurezza....

SOMALIA...50.000 bambini a rischio malnutrizione e condizioni igieniche inadeguate...



In Somalia la carestia del 2011 è finita, i miliziani sono stati mandati via da Mogadiscio, in politica sono stati fatti grandi progressi. 



Radio Vaticana - Eppure le Nazioni Unite e il governo somalo continuano a chiedere ai benefattori internazionali di aiutare il Paese, che sostengono essere in grave crisi. Le associazioni umanitarie, pressate dalle situazioni di emergenza in Somalia degli ultimi anni, non sono state in grado di impiegare tempi e risorse necessarie per la ricostruzione del Paese. Molti sopravvivono in condizioni terribili, la vita di 50 mila bambini è a rischio per malnutrizione severa. I benefattori internazionali, a causa del perdurare della crisi in Siria e delle nuove continue emergenze in Sud Sudan e nella Repubblica Centrafricana, hanno dato meno contributi alla Somalia, anche se gli indicatori sanitari somali sono molto più gravi rispetto a quelli di altri Paesi

Destano inoltre preoccupazione i furti di denaro e la corruzione, in un Paese dove il governo non ha un controllo efficace sull’economia. Un rapporto del gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite sulla Somalia e l’Eritrea aveva già denunciato in passato casi di corruzione tra i ministri del governo, di appropriazione indebita di generi alimentari destinati agli aiuti, di cattiva amministrazione. 

Circa il 60% della popolazione, 3milioni e mezzo di persone che vivono nella Somalia centro meridionale, sono sotto il controllo di al-Shabab. L’Onu teme che l’offensiva potrebbe scattare nella stagione della semina proprio in questa regione conosciuta come paniere di beni di consumo e di servizi essenziali del Paese, e potrebbe quindi avere un grave impatto sul prossimo raccolto. (R.P.) 

Apriamo le porte delle nostre case ai profughi siriani...





A tre anni dall'inizio degli scontri in Siria, tutte le speranze che il paese ritorni ad una vita normale sembrano andate perdute. L'incontro a Ginevra, avvenuto qualche settimana fa, lungi dal trovare un accordo fra le parti, non ha fatto altro che peggiorare, se possibile, la situazione. Quando finiranno i bombardamenti, i morti, le torture, la distruzione, di un intero popolo? Non so quanti se lo chiedano, in Italia o nel mondo. La cosa, in fondo, sembra non interessare più di tanto. I media, nonostante tutto, ci aiutano a dimenticare. È chiaro che se ogni giorno siamo sottoposti a bombardamenti visivi, con foto di distruzione e sangue, anche il nostro cervello incamera queste immagini come "già viste", cioè "normali". Foto di bambini uccisi, ritratti di medici che hanno perso la vita, adulti torturati e violentati, prima e dopo la morte, edifici ed interi quartieri che saltano in aria, non sembrano farci più alcun effetto.
Altra cosa, invece, è avere a che fare con le persone direttamente, cioè con uomini e donne coraggiosi che solo nella fuga, abbandonando casa, lavoro, parenti, amici, lasciandosi alle spalle un vita intera, ritrovano una nuova speranza di vita per sé stessi e per i loro figli. Sono circa 2.500.000 i siriani che hanno trovato rifugio nei campi profughi dei paesi limitrofi, Egitto, Giordania, Libano; in Siria sono rimasti circa nove milioni di sfollati. Ma anche i paesi limitrofi negli ultimi giorni hanno chiuso le frontiere. I numeri comunque sono destinati a salire. Se non si fermano le atrocità, non si fermano i profughi.
Molti di essi partono per l'Europa, diretti verso i paesi del nord, che, almeno fino ad oggi, li hanno accolti: Germania, Svezia, Danimarca. Ma fino a quando?
Uno dei percorsi più utilizzato è quello che passa dall'Italia. I profughi partono dall'Egitto, arrivano in Libia, prendono un battello per l'Italia, arrivano sulle coste della Sicilia. Da lì, la tappa successiva è la stazione Centrale di Milano. Dal 18 ottobre 2013, cioè durante quattro mesi, ne sono passati 1800. Non credo che nessuno di loro si sia fermato a Milano. Dopo i primi giorni, un po' confusi, Milano si è organizzata per l'accoglienza; è l'unica città che ha allestito dei centri per i profughi siriani "di passaggio". Ufficialmente i profughi siriani non esistono, l'Italia dovrebbe essere solo un "corridoio umanitario", e lo è, di fatto. Quando essi arrivano in stazione centrale c'è sempre qualcuno ad accoglierli, ad aiutarli per trovare un luogo dove restare qualche giorno, in attesa di organizzare la tappa successiva.
E' successo però che il due centri di accoglienza abbiano spesso esaurito la loro capacità di accoglienza. Come medico in uno di tali centri, ho avuto l'opportunità di conoscere molte delle famiglie che sono transitate da Milano ed ora vivono finalmente in Svezia, dove si sono perfettamente inserite, fin dai primi giorni. Sono stati loro a chiedermi di ospitare per qualche ora una famiglia, in transito per la Svezia, in una giornata di pioggia terribile, in cui sono arrivati a Milano circa cento profughi ed il Comune si stava attivando per trovare loro un luogo dove stare.
Ho pensato al progetto già attuato in Svizzera, dove cento famiglie hanno dato la loro disponibilità ad ospitare in casa loro i profughi siriani. In Svizzera certo non sarà quindi considerato un reato ospitarli nella propria casa, visto che su questo si è costruito un progetto. Perché no? Mi sono detta. Ed è stato tutto facile. La famiglia è arrivata: padre, madre, incinta, con tre bambini. Ho dato loro un stanza dove stare tranquilli e riposare, bagni e docce a disposizione, la signora mi ha aiutato a cucinare per tutti, i bimbi si sono messi al computer con i loro giochi (già espertissimi). Alla sera abbiamo dovuto discutere un po' perché si rifiutavano di andare nel Centro di accoglienza, non si fidavano ed avevano paura di essere identificati, cosa che avrebbe impedito loro di andare in qualsiasi altro paese. Ma tutto è andato per il meglio. So che sono già arrivati a destinazione.
Come esperienza la ripeterei, anche per periodi più lunghi, e la consiglierei. In fondo a Milano sarebbe sufficiente che 30/40 famiglie aprissero le porte della propria casa e sarebbe già una piccola rivoluzione: la famiglia al posto del centro di accoglienza, che ,fra l'altro, oggi c'è, ma domani non si sa....
(L'HUFFINGTON POST)

Aleppo ieri...(Video)





Aleppo…26 febbraio 2014…

I primi momenti dopo un attacco aereo condotto dall'aviazione siriana sul quartiere di Kallaseh…

mercoledì 26 febbraio 2014

“il Giorno del Giudizio” al campo Al Yarmouk...





dal blog di ASMAE DACHAN

Campo profughi palestinese di Al Yarmouk – periferia di Damasco
Un fiume umano di persone in attesa di un pasto.
Sono civili palestinesi che vivono da decenni come profughi nella periferia meridionale di Damasco, nel campo di Al Yarmouk.
Il loro campo è stato pesantemente bombardato, nell’ennesima violazione del Diritto internazionale.
Migliaia di civili che vi abitano sotto assedio da oltre un anno.
Bambini, donne, giovani e uomini stremati dalla fame.
La foto è stata ribattezzata “Il giorno del Giudizio” al campo Al Yarmouk..

Sveglia Europa, l’Ucraina non è una “primavera” ma una guerra fredda...





È molto #bellosognare di portare la #democrazia nel mondo con i social network. Siamo sempre dentro le “primavere” come nel Truman Show. Piazza Tahrir come piazza Maidan. Immense piattaforme per gli spot delle multinazionali digitali. Ma fuori dal Truman Show la realtà è ben più spessa. Dopo i disastri in EgittoLibia e Siria, Kiev è l’ennesimo terreno di scontro della nuova guerra fredda fra Stati Uniti e Russia. Il pressing di Mosca su Yanukovich affinché non firmasse l’accordo di associazione con Bruxelles, così come le telefonate intercettate fra la rappresentante Usa presso la Ue Victoria Nuland e l’ambasciatore del suo paese in Ucraina, che discutevano le strategie che l’opposizione avrebbe dovuto adottare, lasciano intendere l’importanza che le due superpotenze annettono a questa crisi.
Per gli Stati Uniti si tratta della possibilità di mettere in difficoltà Vladimir Putin nel cortile di casa, e di invertire l’inerzia della sfida geopolitica fra Mosca e Washington che lo scorso anno ha riservato all’amministrazione Obama una serie di sconfitte che vanno dal caso Snowden al mancato intervento militare in Siria, dal riavvicinamento fra Russia ed Egitto alla mancata integrazione di Ucraina e Armenia nella sfera di influenza occidentale. Per la Russia si tratta di una questione vitale, perché senza Ucraina l’Unione Euroasiatica che il Cremlino ha in mente sarebbe monca, e perché gli oppositori che hanno piegato Yanukovich non sono certo tutti europeisti, ma sono tutti fieramente antirussi.
Barack Obama, Vladimir Putin.
In un’Ucraina che si risposta verso Bruxelles, il gioco delle parti potrebbe invertirsi senza finire: ad alimentare la destabilizzazione del potere in carica non sarebbe più Washington, ma Mosca. La New York Review of Books ha offerto una visione idilliaca delle proteste di Maidan, presentando una piazza dove tutte le componenti (europeisti e nazionalisti, ebrei ed estrema destra, tartari, cosacchi e russofoni) si sarebbero date la mano nel nome della democrazia. In un paese etnicamente e religiosamente articolato che ha visto cambiare anche profondamente i suoi confini una dozzina di volte negli ultimi due secoli, e che oggi si ritrova sull’orlo della bancarotta (gli restano riserve valutarie solo per due mesi di importazioni), il futuro sarà presumibilmente poco roseo anche all’indomani di libere elezioni. Sfruttare lo scontento degli uni o degli altri sarà sempre molto facile per chiunque.
Se vuole evitare di ritrovarsi con una seconda guerra civile strisciante alle porte dopo quella balcanica degli anni Novanta, l’Europa deve avere chiaro che America e Russia continueranno a muoversi secondo logiche da grandi potenze. Alla prima non importa troppo che l’Europa paghi il prezzo della sua rinnovata rivalità con Mosca, la seconda non può fare a meno di una profondità strategica che collide con l’espansione verso est dell’Unione Europea.
Soprattutto Bruxelles deve smettere di pensare che il problema sia l’autoritarismo di Putin: la Russia va trattata come un vicino col quale individuare i rispettivi legittimi interessi e quelli comuni. Non come un dinosauro politico da convertire al verbo democratico europeo. Di cui si può essere orgogliosi, purché si accetti che non è la ricetta per tutte le latitudini.

IL 2013 L’ANNO CON PIÙ CONFLITTI ARMATI DALLA II GUERRA MONDIALE...





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Il 2013 è stato, insieme al 2011, l’anno con più “guerre” dalla II Mondiale, con un totale di venti, secondo il rapporto annuale dell’Istituto di Heidelberg per l’Indagine dei  Internazionali (Hiik) pubblicato ieri.
Il “Barometro dei conflitti 2013″ indica che ai conflitti radicati in Afghanistan, Siria, Pakistan e Iraq si sono sommati lo scorso anno quelli in Mali e Repubblica Centrafricana. Si tratta di violenze di “livello cinque”, secondo i parametri Hiik.
“La Siria è chiaramente il conflitto che ha causato il maggior numero di vittime mortali”, ha detto alla presentazione dello studio il presidente di Hiik, Peter Hachemer.
Nel documento si sottolinea che undici di queste venti guerre si stanno svolgendo in Africa sub-sahariana: solo in Sudan e Sud Sudan l’istituto tedesco ha registrato cinque conflitti che qualifica come “guerre”.
Il resto di queste guerre si svolgono principalmente in Medio Oriente (Siria, Egitto e Iraq) e Asia (Afghanistan, Pakistan e Filippine), mentre il Messico continua ad essere l’unico paese delle Americhe ad essere presente nella lista a causa del narcotraffico.
Il rapporto aggiunge che “gli scontri altamente violenti” che avvengono in Messico per le guerre tra i cartelli della droga e per la lotta del governo contro il narcotraffico hanno portato ad oltre 10 mila morti nel 2013.
In totale, Hiik registra 414 conflitti, nove in più rispetto l’anno precedente, dei quali 45 sono “molto violenti”, 20 ricevono la qualifica di “guerra” e altri 25 di “guerra limitata”.
In quest’ultima categoria rientrano, oltre i conflitti in Repubblica Democratica del Congo, Libia, Tunisia e Turchia, quelli in Brasile (tra i cartelli della droga) e in Colombia (che vedono come protagonisti la guerriglia delle Farc, i cartelli della droga, i gruppi paramilitari e il governo)...
(Atlas)