Di Luca Lampugnani
Del 2013 si può dire tutto, tranne che non sia stato un anno intenso. In 365 giorni abbiamo visto la situazione siriana - Paese in guerra da quasi due anni e mezzo ma salito alla ribalta internazionale con l'attacco chimico nei sobborghi di Damasco lo scorso agosto - peggiorare giorno dopo giorno così come quella egiziana, dove dalla deposizione di Muhammad Morsi non accennano a diminuire gli scontri tra diverse fazioni.
Abbiamo visto Cina, Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud affilare le armi di una potenziale e pericolosissima guerra fredda sul Mar della Cina e abbiamo conosciuto, inoltre, gli aut-aut Usa a Karzai, il presidente dell'Afghanistan, sull'accordo bilaterale di sicurezza impostogli da Washington. Ovviamente il 2013 è stato anche l'anno della più grande fuga di notizie riservate della storia Usa, il rinominato caso Datagate. A sei mesi dalle prime rivelazioni giornalistiche sullo spionaggio mondiale degli 007 a stelle e strisce, Edward Snowden, l'ex tecnico della Cia e collaboratore dell'Nsa, si trova ancora in Russia al riparo dei processi e delle sicure condanne che subirebbe in patria. Ma il 2013, che nelle ultime settimane e giorni ha riservato molti aspetti negativi come la guerra etnica in Sud Sudan, la criticità della situazione in Repubblica Centro Africana e le bombe a Volgograd, è anche stato l'anno della probabile svolta: dopo quasi trent'anni di gelo, infatti, l'elezione di Hassan Rohani a presidente dell'Iran ha riaperto la strada dei dialoghi con l'Occidente, tanto che in seguito a numerosi incontri tra i diplomatici di Teheran e i 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu più la Germania) potrebbe essere più vicino che mai un definitivo accordo tra le parti che, in cambio di una drastica frenata sul programma nucleare iraniano, conceda una riduzione delle sanzioni internazionali.
Nucleare, Iran e 5+1 - Certo, quest'ultimo aspetto sulla carta sembra cosa facile, ma come ricorda James M. Lindsay, vice presidente del Council on Foreign Relations (Cfr), non è affatto così. Benché l'amministrazione di Barack Obama tenterà di arrivare a siglare l'accordo durante il corso del 2014, una serie di fattori potrebbero rallentare, se non del tutto bloccare, i risultati diplomatici ottenuti fino a qui. In prima fila nel mettersi di traverso alla possibilità di una riduzione delle sanzioni all'Iran c'è, ovviamente, Israele, storico alleato Statunitense e più d'una volta ago della bilancia in molte decisioni di politica estera di Washington. Ma la situazione potrebbe precipitare anche internamente agli Usa, dove una buona parte del Congresso vede decisamente di cattivo occhio le aperture di Obama al mondo mediorientale, mentre a pesare potrebbero essere ovviamente anche le decisioni o le prese di posizione di alcuni dei membri del 5+1. Archiviata la questione iraniana, passando per l'Iraq che ancora dopo 10 anni subisce gli strascichi violenti della guerra alle fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, arriviamo in Siria.
Siria - Per il Paese, purtroppo, il 2014 rischia di essere il terzo anno di conflitto civile. Se da una parte Assad, 'forte' della sua disponibilità a collaborare con l'Occidente sulla distruzione e rimozione delle armi chimiche, sembra aver ripreso il controllo su molte zone del Paese, dall'altra l'Esercito Siriano Libero, i cosiddetti 'ribelli', si sono trasformati con l'amplificarsi degli interessi internazionali in una accozzaglia di gruppi islamisti più o meno feroci che mettono a ferro e fuoco molte città. E questo aspetto mette a rischio, se non preclude del tutto, la possibilità di una soluzione negoziata alla crisi, lasciando presagire che anche il prossimo anno sarà caratterizzato da un numero elevatissimo di vittime (125 mila siriani sono morti negli ultimi 33 mesi, mentre il bilancio giornaliero supera quello registrato in Iraq tra il 2006 e il 2007) e dall'esodo dei cittadini (2,3 milioni i siriani che sono scappati dal Paese, mentre il 40% della popolazione risulta al momento sfollata) dalla loro patria.
Mar della Cina - Come è ormai noto, da anni Cina e Giappone si contendono il controllo delle isole Senkaku/Diaoyu, più che altro una serie di scogli caratterizzati da un mare circostante molto pescoso e ricco di risorse naturali. Qualche mese fa il 'conflitto freddo' si è riacceso con la decisione della Cina di istituire una "zona di identificazione per la difesa aerea", tratto di cielo che teoricamente rientrerebbe tra le zone controllate dal Dragone e che, ovviamente, comprendo anche le isole della discordia. La situazione ha poi coinvolto anche Corea del Sud e Stati Uniti, tanto che il rischio più grande in questo momento, ma anche per tutto il 2014 se non si troverà una soluzione comune, è quello di un'escalation di violenze involontaria o accidentale. Già in passato, ad esempio, un aereo cinese e uno statunitense erano entrati in rotta di collisione in quella zona, sorte che hanno rischiato qualche settimana fa due imbarcazioni, una del Sol Levata e l'altra di Pechino. Insomma, in relativamente poco spazio si muovo gli interessi, e i mezzi, di quattro nazioni che, per quanto riguarda la situazione tra Cina e Giappone, sono a comunicazioni zero.
Egitto - Sull'onda della Primavera Araba, il Paese ha conosciuto la rimozione nel giro di tre anni di due presidenti. Il secondo, Muhammad Morsi, era il primo democraticamente eletto (nonostante ci siano sempre state voci e dubbi di brogli elettorali) dell'Egitto. Con il colpo di Stato del 3 luglio scorso, il Cairo ha conosciuto giorni e giorni di scontri e rabbia che hanno portato in piazza, contrapposti, i fedeli ai Fratelli Musulmani e gli anti Morsi. In seguito, con l'istituzione del governo temporaneo di Adli Mansur, il Paese sarebbe dovuto andare verso la democratizzazione ma, come in altri casi, il processo procede a rilento e alcune mosse dell'esecutivo (poteri pressoché illimitati a militari e forze dell'ordine) sono decisamente lontane dal concetto di democrazia. Ad agitare il Paese, inoltre, recentemente è arrivata la costituzione come "organizzazione terroristica" dei Fratelli Musulmani, bandendoli sostanzialmente dall'Egitto. Questo ha dato il pretesto agli oppositori del governo ad interim per tornare in piazza e riprendere le violenze, situazione che rischia di protrarsi anche per buona parte del 2014.
Afghanistan - Quali prospettive porta il nuovo anno per il Paese di Karzai? Secondo alcuni rapporti statunitensi, niente di buono. Come riportato da Al-Jazeera, che cita il Washington Post, alcune previsioni effettuate dall'intelligence Usa affermano che entro il 2017 la situazione in Afghanistan potrebbe anche precipitare nel caos. Secondo il rapporto, infatti, sembra che entro quella data le forze ostili alla presenza internazionale sul loro Paese, a partire dai Talebani, potrebbero aumentare la loro influenza anche se gli Usa continuassero a finanziare le autorità di Kabul. Su cosa si basi questa previsione non è dato saperlo, può darsi però che si tratti, benché l'allarme sia assolutamente da prendere sul serio, di unamossa tutta americana per incutere il timore necessario a Karzai affinché firmi l'accordo bilaterale sulla sicurezza. Dal 2014, infatti, la maggior parte delle forze Nato e di Washington lasceranno il Paese, ma l'eventuale firma del documento da parte del presidente afghano farebbe si che alcuni contingenti rimangano ancora qualche anno.
(INTERNATIONAL BUSINESS TIMES)

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