martedì 31 dicembre 2013

I desideri dei bambini siriani per il 2014...(video)



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31 dicembre 2013 – Siria
“Vorrei giochi, macchinine telecomandate, un pc.
Vorrei una Barbie, un set da parrucchiera e uno da cucina.
Io vorrei che aprissero le strade e che tutte le persone tornino nelle loro case.
Vorrei che tutto tornasse normale, che potessimo mangiare, bere, giocare con i nostri amici.
Vorrei del pane fresco, della frutta e della carne.
Vorrei carne, pollo, uova, pane, vorrei mangiare con i miei fratelli.
Vorrei tornare alla mia casa e vorrei che mio padre mi portasse un trenino da Babbo Natale.
Vorrei tornare a scuola.
Vorrei tornare a fare passeggiate e giocare a pallone con i miei amici; con la guerra non possiamo farlo perchè ci sono i mig, i barili, le bombe.
Vorrei tornare a studiare e rivorrei tutto ciò che ho perso.
Che fortunati che sono i bambini che possono mangiare quello che vogliono con i loro fratelli, che possono andare a scuola.

Chiudono gli occhi i piccoli angeli di Siria...



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Aleppo
Una delle bambine ferite nei bombardamenti con i barili su Aleppo che hanno causato, in una sola settimana, la morte di oltre 150 bambini su un totale di 560 vittime. 
“Chiudi gli occhi piccolo angelo; non guardare il mondo fuori dalla tua anima innocente.
Chiudi gli occhi, non guardare l’orrore disumano degli adulti. 
Non guardare le macerie della tua casa, della tua scuola, della tua città.
Non guardare i corpi sanguinanti, smembrati, esanimi. 
Chiudi gli occhi, cerca di ricordare come era la tua vita prima, l’amore di chi ti ha cresciuta, l’amore di chi vorrebbe proteggerti da tanto dolore ma non può”...

Aleppo...morire in un autobus...54 terribili secondi per non dimenticare...(Video +18)


Aleppo...31 dicembre 2013 - 
Un autobus che trasportava circa 30 passeggeri sulla linea che collega il quartiere di Shaar a quello di Masaken Hanano è stato colpito dai bombardamenti questa mattina mentre attraversava il mercato di Helwaniyeh, nel quartiere di Tariq Al Bab. La maggior parte dei passeggeri, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi dall'incendio divampato al suo interno....

Iran, Egitto, Afghanistan e Siria: dove andrà il Mondo nel 2014...


Di Luca Lampugnani 
Del 2013 si può dire tutto, tranne che non sia stato un anno intenso. In 365 giorni abbiamo visto la situazione siriana - Paese in guerra da quasi due anni e mezzo ma salito alla ribalta internazionale con l'attacco chimico nei sobborghi di Damasco lo scorso agosto - peggiorare giorno dopo giorno così come quella egiziana, dove dalla deposizione di Muhammad Morsi non accennano a diminuire gli scontri tra diverse fazioni.


Abbiamo visto Cina, Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud affilare le armi di una potenziale e pericolosissima guerra fredda sul Mar della Cina e abbiamo conosciuto, inoltre, gli aut-aut Usa a Karzai, il presidente dell'Afghanistan, sull'accordo bilaterale di sicurezza impostogli da Washington. Ovviamente il 2013 è stato anche l'anno della più grande fuga di notizie riservate della storia Usa, il rinominato caso Datagate. A sei mesi dalle prime rivelazioni giornalistiche sullo spionaggio mondiale degli 007 a stelle e strisce, Edward Snowden, l'ex tecnico della Cia e collaboratore dell'Nsa, si trova ancora in Russia al riparo dei processi e delle sicure condanne che subirebbe in patria. Ma il 2013, che nelle ultime settimane e giorni ha riservato molti aspetti negativi come la guerra etnica in Sud Sudan, la criticità della situazione in Repubblica Centro Africana e le bombe a Volgograd, è anche stato l'anno della probabile svolta: dopo quasi trent'anni di gelo, infatti, l'elezione di Hassan Rohani a presidente dell'Iran ha riaperto la strada dei dialoghi con l'Occidente, tanto che in seguito a numerosi incontri tra i diplomatici di Teheran e i 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu più la Germania) potrebbe essere più vicino che mai un definitivo accordo tra le parti che, in cambio di una drastica frenata sul programma nucleare iraniano, conceda una riduzione delle sanzioni internazionali.
Nucleare, Iran e 5+1 - Certo, quest'ultimo aspetto sulla carta sembra cosa facile, ma come ricorda James M. Lindsay, vice presidente del Council on Foreign Relations (Cfr), non è affatto così. Benché l'amministrazione di Barack Obama tenterà di arrivare a siglare l'accordo durante il corso del 2014, una serie di fattori potrebbero rallentare, se non del tutto bloccare, i risultati diplomatici ottenuti fino a qui. In prima fila nel mettersi di traverso alla possibilità di una riduzione delle sanzioni all'Iran c'è, ovviamente, Israele, storico alleato Statunitense e più d'una volta ago della bilancia in molte decisioni di politica estera di Washington. Ma la situazione potrebbe precipitare anche internamente agli Usa, dove una buona parte del Congresso vede decisamente di cattivo occhio le aperture di Obama al mondo mediorientale, mentre a pesare potrebbero essere ovviamente anche le decisioni o le prese di posizione di alcuni dei membri del 5+1. Archiviata la questione iraniana, passando per l'Iraq che ancora dopo 10 anni subisce gli strascichi violenti della guerra alle fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, arriviamo in Siria.
Siria - Per il Paese, purtroppo, il 2014 rischia di essere il terzo anno di conflitto civile. Se da una parte Assad, 'forte' della sua disponibilità a collaborare con l'Occidente sulla distruzione e rimozione delle armi chimiche, sembra aver ripreso il controllo su molte zone del Paese, dall'altra l'Esercito Siriano Libero, i cosiddetti 'ribelli', si sono trasformati con l'amplificarsi degli interessi internazionali in una accozzaglia di gruppi islamisti più o meno feroci che mettono a ferro e fuoco molte città. E questo aspetto mette a rischio, se non preclude del tutto, la possibilità di una soluzione negoziata alla crisi, lasciando presagire che anche il prossimo anno sarà caratterizzato da un numero elevatissimo di vittime (125 mila siriani sono morti negli ultimi 33 mesi, mentre il bilancio giornaliero supera quello registrato in Iraq tra il 2006 e il 2007) e dall'esodo dei cittadini (2,3 milioni i siriani che sono scappati dal Paese, mentre il 40% della popolazione risulta al momento sfollata) dalla loro patria.
Mar della Cina - Come è ormai noto, da anni Cina e Giappone si contendono il controllo delle isole Senkaku/Diaoyu, più che altro una serie di scogli caratterizzati da un mare circostante molto pescoso e ricco di risorse naturali. Qualche mese fa il 'conflitto freddo' si è riacceso con la decisione della Cina di istituire una "zona di identificazione per la difesa aerea", tratto di cielo che teoricamente rientrerebbe tra le zone controllate dal Dragone e che, ovviamente, comprendo anche le isole della discordia. La situazione ha poi coinvolto anche Corea del Sud e Stati Uniti, tanto che il rischio più grande in questo momento, ma anche per tutto il 2014 se non si troverà una soluzione comune, è quello di un'escalation di violenze involontaria o accidentale. Già in passato, ad esempio, un aereo cinese e uno statunitense erano entrati in rotta di collisione in quella zona, sorte che hanno rischiato qualche settimana fa due imbarcazioni, una del Sol Levata e l'altra di Pechino. Insomma, in relativamente poco spazio si muovo gli interessi, e i mezzi, di quattro nazioni che, per quanto riguarda la situazione tra Cina e Giappone, sono a comunicazioni zero.
Egitto - Sull'onda della Primavera Araba, il Paese ha conosciuto la rimozione nel giro di tre anni di due presidenti. Il secondo, Muhammad Morsi, era il primo democraticamente eletto (nonostante ci siano sempre state voci e dubbi di brogli elettorali) dell'Egitto. Con il colpo di Stato del 3 luglio scorso, il Cairo ha conosciuto giorni e giorni di scontri e rabbia che hanno portato in piazza, contrapposti, i fedeli ai Fratelli Musulmani e gli anti Morsi. In seguito, con l'istituzione del governo temporaneo di Adli Mansur, il Paese sarebbe dovuto andare verso la democratizzazione ma, come in altri casi, il processo procede a rilento e alcune mosse dell'esecutivo (poteri pressoché illimitati a militari e forze dell'ordine) sono decisamente lontane dal concetto di democrazia. Ad agitare il Paese, inoltre, recentemente è arrivata la costituzione come "organizzazione terroristica" dei Fratelli Musulmani, bandendoli sostanzialmente dall'Egitto. Questo ha dato il pretesto agli oppositori del governo ad interim per tornare in piazza e riprendere le violenze, situazione che rischia di protrarsi anche per buona parte del 2014.
Afghanistan - Quali prospettive porta il nuovo anno per il Paese di Karzai? Secondo alcuni rapporti statunitensi, niente di buono. Come riportato da Al-Jazeera, che cita il Washington Post, alcune previsioni effettuate dall'intelligence Usa affermano che entro il 2017 la situazione in Afghanistan potrebbe anche precipitare nel caos. Secondo il rapporto, infatti, sembra che entro quella data le forze ostili alla presenza internazionale sul loro Paese, a partire dai Talebani, potrebbero aumentare la loro influenza anche se gli Usa continuassero a finanziare le autorità di Kabul. Su cosa si basi questa previsione non è dato saperlo, può darsi però che si tratti, benché l'allarme sia assolutamente da prendere sul serio, di unamossa tutta americana per incutere il timore necessario a Karzai affinché firmi l'accordo bilaterale sulla sicurezza. Dal 2014, infatti, la maggior parte delle forze Nato e di Washington lasceranno il Paese, ma l'eventuale firma del documento da parte del presidente afghano farebbe si che alcuni contingenti rimangano ancora qualche anno.  
(INTERNATIONAL BUSINESS TIMES)

Nel 2013 morti 129 reporter, 211 in prigione, 6 rapiti. Il triste primato spetta alla Siria, seguita dall’Iraq dove la guerra dura da dieci anni. Un mestiere sempre più difficile...



giornalistiuccisi
E’ doloroso talvolta fare bilanci, ma ogni anno è uno spartiacque della storia ed è impossibile evitarli. La strage dei reporter purtroppo continua, con una media ormai drammaticamente confermata. Nel 2013 sono state 129 le vittime fra gli operatori dell’informazione: un tributo di sangue pagato alla voglia di testimoniare il mondo difficile. Un impegno che le nuove tecnologie hanno trasformato in conflitti mediatici dove i tanti regimi del pianeta hanno interesse a manipolare, se non addirittura a cancellare, anche fisicamente. I numeri talvolta sono discordanti. Personalmente ho scelto di seguire il rapporto molto documentato, spesso in tempo reale, dal PEC (Press Emblem Campaign). Non solo cifre, ma nomi e circostanze che raccolgo in un blog dedicato ai colleghi meno fortunati, dove non conta la nazionalità e neppure il ruolo (http://acidcamera.wordpress.com/) .
Il Paese più pericoloso anche quest’anno è la Siria, con 17 morti (ai quali ci sono da aggiungere 19 bloggers), seguito da Iraq, Pakistan e Filippine. Prima di fornire la lista completa, una considerazione va fatta. E’ abbastanza normale che il maggior numero di vittime appartenga a un territorio in piena guerra, ma che quasi lo stesso numero bagni un Paese dove la guerra dura da dieci anni è assurdo. In Iraq, infatti, si continua a morire: 16 quest’anno, 40 negli ultimi cinque anni, addirittura 290 dall’inizio del conflitto. Segno del fallimento di  un intervento militare sbagliato, nato da una serie di bugie. Non meno sintomatica, anche se in apparenza meno grave, è la situazione in Afghanistan dove comunque quest’anno sono stati uccisi tre giornalisti (35 dal 2001). Il sangue scorre ormai da molto tempo in Somalia e un po’ in tutta l’Africa. Ma ci sono anche soprese, scorrendo i nomi di Brasile, Filippine, Russia, Kenya considerati luoghi vacanzieri. Nessuna meraviglia invece per Egitto e Libia dove infuriano ancora le rivolte. Ecco l’elenco completo.
17: Siria. 16: Iraq. 14. Pakistan. 11: Filippine. 9: India. 8: Somalia. 7: Egitto. 6: Brasile. 5: Messico. 4: Guatemala. 3: Colombia, Libia, Honduras, Russia, Afghanistan. 2: Haiti, Kenya, Mali, Paraguay. 1: Nigeria, Repubblica Centrafricana, Perù,  Yemen, Ecuador, Congo, Uganda, Costa d’Avorio, Tanzania.
Per avere un quadro più completo, vale tuttavia allargare il quadro agli ultimi cinque anni, cioè dal 2009 al 2013 compresi (in totale 609 vittime). E qui sorprende sicuramente il primo posto delle Filippine, con 67 morti, dove da tempo è in corso una guerra sanguinosa fra il governo molto autoritario e gruppi di guerriglieri separatisti, attivi nelle isole dell’arcipelago. Seguono Pakistan 59, Siria 56, Messico 55, Somalia 43, Iraq 40, Honduras 29, India 20 e Russia 19.
Fin qui le perdite umane. Poi ci sono i rapiti, mai come quest’anno che sta per concludersi (sei soltanto in Siria, quattro francesi  e due spagnoli, senza dimenticare gli italiani Quirico e Ricucci liberati). E gli scomparsi  (a decine). Infine ci sono quelli in prigione. Un esercito: attualmente sono in 211 in carcere. Spicca ancora la Turchia, con 40 prigionieri, che supera anche Paesi ritenuti più restrittivi della libertà individuale come Iran (35) e Cina (32). Subito dietro Eritrea (22) e Vietnam (18), dove il mestiere di raccontare è sempre più difficile.
Concludiamo con la graduatoria della libertà di stampa dove i migliori Paesi da questo punto di vista sono sempre quelli nord-europei (Finlandia, Olanda e Norvegia), mentre i peggiori restano in assoluto Turkmenistan, Corea del nord ed Eritrea. L’Italia ha guadagnato quattro posizioni rispetto all’anno precedente, ma il suo 57.esimo posto non è motivo di orgoglio anche se autentici colossi mondiali come Cina, Russia, Israele e Brasile stanno peggio....
(Articolo 21)

2013 in Medio Oriente: una violenta eredità...


Un anno complesso e terribilmente insanguinato. Dall’Egitto alla Siria, dalla Tunisia all’Iraq. Unica positività, per ora, l’accordo occidentale con Tehran sul nucleare iraniano...



di Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 31 dicembre 2013, Nena News – Il 2013 in Medio Oriente e Nord Africa è stato un anno di grande complessità politica e di immensi spargimenti di sangue. Una eredità che peserà sul 2014. Nell’anno che ci volge le spalle ha dominato ancora la guerra civile siriana con i suoi 120mila morti e che, nella seconda metà di gennaio, dovrebbe essere affrontata al tavolo della conferenza di Ginevra II, sponsorizzata da Usa e Russia. La crisi siriana travolge l’Iraq e rischia di far precipitare il Libano.
In Siria si combattono potenze regionali come Arabia saudita e Iran e si contrappongono gli interessi di Washington e Mosca. Lo scontro tra Riyadh e Tehran, tra musulmani sunniti e sciiti, divampa ogni giorno in Iraq, finito in una nuova spirale di violenze che ogni giorno fa molte decine di mortijavascript:void(0) nel disinteresse del mondo. Al Qaeda, nata come una organizzazione segreta di pochi militanti, ha adottato una linea più «movimentista» che fa molti proseliti tra i salafiti più radicali. Torna ad avere una forte presenza in Iraq e si è rapidamente diffusa in Siria dove ha stabilito alleanze con «formazioni sorelle» come il Fronte Nusra e il Fronte islamico. Stesso discorso per il Libano dove bombe e violenze da diversi mesi colpiscono sunniti e sciiti, le roccaforti del fronte anti-siriano «14 marzo» come quelle dello schieramento «8 Marzo» dominato da Hezbollah, alleato di Damasco e sostenuto da Tehran.
Proprio il movimento sciita è nell’occhio del ciclone. La sua decisione di mandare centinaia, forse migliaia, dei suoi uomini migliori a combattere in Siria in appoggio all’esercito governativo, ha ridato fiato alle trombe delle forze libanesi di destra che chiedono il completo disarmo dei guerriglieri sciiti e che sia «rimosso» dal vocabolario politico nazionale l’idea di «resistenza armata».
Il 2014 rischia di rivelarsi subito un anno drammatico per il Paese dei Cedri: il 16 gennaio si apre presso il Tribunale Speciale per il Libano il processo contro alcuni militanti di Hezbollah accusati dalla procura internazionale di aver preso parte all’attentato del 14 febbraio 2005 in cui rimase ucciso l’ex premier Rafik Hariri, stretto alleato dell’Arabia saudita e padre del leader sunnita Saad Hariri. Per il segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il processo del 16 gennaio è un «complotto internazionale», appoggiato da Usa e Israele, volto a disarmare la resistenza.
Parlare ancora di «rivoluzione» in atto in Siria contro il regime del presidente Bashar Assad è fuorviante, serve solo a ingannare l’opinione pubblica internazionale e a nascondere la realtà sul terreno. Sono svanite le proteste popolari in nome di diritti e libertà della primavera del 2011 che dalla città meridionale di Deraa si erano poi allargate ad altre città, inclusa la capitale Damasco. L’opposizione politica siriana, raggruppata in maggioranza nella Coalizione Nazionale, e il suo braccio armato, l’Esercito libero siriano (Els), armato e finanziato dai governi occidentali e dai petromonarchi, contano sempre meno e alla conferenza di Ginevra II rischiano di prendere decisioni impossibili da attuare.
Il neonato Fronte Islamico (sostenuto da Riyadh), lo Stato islamico in Iraq e nel Levante (al Qaeda) e il Fronte Nusra non hanno alcuna intenzione diplomatica, piuttosto vogliono continuare la «guerra santa» contro il regime alawita (sciita) di Assad che, da parte sua, è convinto di poter riprendere una buona parte dei territori siriani caduti in mano ai ribelli. Il bagno di sangue perciò andrà avanti, non solo in Siria ma anche in Iraq dove lo scontro tra gli alleati di Iran e Arabia saudita si fa sempre più violento. Potrebbe essere il destino anche del Libano dove la guerra civile in effetti è già in atto ma a bassa intensità.
E nel 2013 c’è stato il duro ridimensionamento del movimento dei Fratelli Musulmani (e del Qatar, suo sponsor regionale) – che solo un anno fa era in forte ascesa nel Medio Oriente – per effetto del colpo di stato militare in Egitto, che il 3 luglio ha deposto il presidente Morsi e il suo governo islamista, e il progressivo sfaldarsi del consenso di cui ha goduto per anni il premier turco Erdogan, travolto prima dalle proteste di Gezi Park e poi dalla tangentopoli turca. I contraccolpi si sono sentiti anche in Tunisia, con le gravi difficoltà che sta incontrando il partito islamista «en Nahda», e a Gaza dove il governo di Hamas subisce di nuovo le misure restrittive imposte dalle nuove autorità del Cairo.
Mentre si è aggravata l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, con l’espansione senza sosta delle colonie, nonostante la ripresa del negoziato bilaterale imposto alle parti dal Segretario di stato Usa, John Kerry. Le tensioni quotidiane non mancano, numerosi gli uccisi nel 2013, quasi tutti palestinesi. Tra i rari sviluppi positivi c’è l’accordo preliminare raggiunto dalle potenze occidentali con Tehran sul programma nucleare iraniano. Tuttavia il percorso verso un’intesa definitiva è lungo, Israele e Arabia saudita remano contro l’accordo con il presidente Rowhani e tengono sotto pressione l’Amministrazione Obama favorevole, almeno in apparenza, a voltare pagina nelle relazioni con Tehran e a sotterrare l’ascia di guerra. Nena News...
(Bocche Scucite)

Siracusa. In arrivo tonnellate di armi chimiche dalla Siria...



-Redazione- Il porto di Augusta potrebbe ospitare entro metà gennaio una nave contenente centinaia di tonnellate di armi chimiche sequestrate dall’Opac, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa della distruzione delle armi chimiche.
 La notizia si è diffusa poche ore fa e sulla vicenda il deputato nazionale del Pd, Pippo Zappulla ha promesso un approfondimento.
“Presenterò subito un’interrogazione urgente ai Ministri competenti per chiedere spiegazioni in merito – ha annunciato il parlamentare siracusano – perché il territorio siciliano di tutto ha bisogno per esempio bonifiche, progetti di riqualificazione e riconversione industriale ed iniziative per lo sviluppo tranne che ospitare una nave carica di micidiali e pericolosissimi sistemi di distruzione di massa”.
Il carico dovrebbe arrivare entro la metà di gennaio con la nave mercantile in cui saranno stipate le centinaia di tonnellate di gas nervini che l’Opac, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per la distruzione delle armi chimiche, ha sequestrato in Siria.
La sosta in un porto italiano dei micidiali sistemi di distruzione di massaera stata anticipata una settimana fa a Bruxelles dal ministro degli Esteri, Emma Bonino che aveva sostenuto che il nostro Paese ha dato la sua disponibilità per le operazioni logistiche dell’unità che trasporterà il materiale proveniente dalla Siria, che però non toccherà il territorio italiano...
(ArticoloTre)

Proiettile centra bus civili ad Aleppo...almeno 10 morti...



E' di almeno 10 morti il bilancio di un bombardamento su Aleppo, la seconda citta' della Siria. Un proiettile d'arma pesante, afferma l'Osservatorio siriano per i diritti umani, ha centrato un autobus di civili nel quartiere di Tariq al-Bab. Tra le vittime vi sarebbero due bambini. Numerosi, i feriti....

Mosca: attacco Volgograd "stessi mandanti" come in Siria e Usa...


                                   "nemico non conosce confini, può essere fermato solo insieme"

Mosca, 30 dic. (TMNews) - L'attacco a Volgograd dove nelle ultime ore si sono susseguiti due attentati, con oltre 30 morti, sono "attacchi criminali" che "così come gli attacchi terroristici negli Stati Uniti, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Nigeria e altri paesi" seguono "modelli uniformi e hanno gli stessi mandanti generali". Lo ha detto il ministero degli Esteri russo in un comunicato.
In base al messaggio il doppio attacco è stato "cinicamente programmato alla vigilia delle celebrazioni di Capodanno", causando "il panico e il caos, l'inimicizia interreligiosa e conflitti nella società russa. Ma noi non ci piegheremo e continueremo la lotta dura e coerente contro il nemico insidioso che non conosce confini e può essere fermato solo insieme" conclude il documento .
Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una legge per bloccare i siti con contenuto estremista, proprio a poche ore dal doppio attentato di Volgograd. In base a quanto pubblicato la norma prevede il blocco immediato di siti web che distribuiscono appelli a sommosse e altre informazioni estremiste.
Il disegno di legge sulle modifiche alla legge "Sulla informazione, le tecnologie dell'informazione e la protezione delle informazioni" era stata preparato e presentato da tre deputati della Duma: Andrei Lugovoi (Ldpr), Nikolai Ivanov (comunisti) e Sergei Chindyaskinym (Russia Unita). La Duma e il Consiglio della Federazione hanno già approvato il documento...

Morto sul lavoro un minorenne in Siria...



Mario Boccia

Si  chia­mava Molhem Bara­kat, era nato a Istan­bul e aveva 17 anni. Era bravo a fare le foto ed era diven­tato un col­la­bo­ra­tore della Reu­ters. E’ morto ad Aleppo, la città dove viveva, il 20 dicem­bre scorso, men­tre foto­gra­fava uno scon­tro tra gruppi ribelli e l’esercito siriano all’ospedale Kindi (i ribelli accu­sano i rego­lari di avere tra­sfor­mato l’ospedale in una caserma e per que­sto lo ave­vano attac­cato).
Que­sta è la noti­zia nuda; una lunga dida­sca­lia sotto la foto di un ragaz­zino sor­ri­dente, in posa con la mac­china foto­gra­fica con il teleo­biet­tivo bianco, con­ces­sa­gli in uso dalla Reuters.
Ma è dav­vero tutto qui? Nel breve arti­colo uscito su Repub­blica on-linec’è un’informazione impor­tante: Bara­kat pren­deva 100 dol­lari per dieci foto tra­smesse al giorno. A conti fatti sono 10 dol­lari a foto, più un bonus nel caso che qual­cuna fosse pub­bli­cata su testate importanti.
Molti com­men­ta­tori su carta e in rete, hanno copia-incollato con varia­zioni minime la stessa noti­zia d’agenzia. Qual­cuno ha sba­gliato la tra­du­zione e “bar­racks”, per troppi, è diven­tato “bar­ri­cate” invece che “caserma”. Pazienza per la descri­zione dei fatti, pur­ché ci sia abbon­danza di pseudo-poesia nei pezzi: “sor­riso già adulto su un volto di bam­bino”, “ric­cioli neri”, “sogno infranto”, “morire per una pas­sione”, “ritraendo vita e morte della sua gente ne era la coscienza”, fino al top: “Lui è rima­sto lì, pic­colo e uomo insieme, accom­pa­gnato da un’arma mici­diale che ora giace rico­perta del san­gue del suo sol­dato”. Ancora: “Molhelm e la sto­ria si sono tenuti per mano, egli è stato i suoi occhi, monito futuro per le guerre che ine­so­ra­bil­mente ver­ranno. È stato il ragaz­zino che con le sue imma­gini ha mostrato il mondo che vor­rebbe mal­grado tutto, riu­scendo a cata­liz­zare l’attenzione sull’innocenza fan­ciul­le­sca che si ritrova pro­ta­go­ni­sta nel ter­ri­fi­cante tea­tro della morte”.
Oltre ai pro­dut­tori di pes­sima let­te­ra­tura, ci sono gior­na­li­sti che sanno fare il loro mestiere. Sui siti e gior­nali inglesi, per esem­pio. Rai News 24 se n’è accorta e ha rilan­ciato, espri­mendo dubbi sul ruolo della Reu­ters nella vicenda, ma ormai la noti­zia è fredda e Bara­kat ha fatto l’ultimo regalo ai suoi datori di lavoro: la sua fac­cia e la gal­le­ria delle sue foto, pub­bli­cate ovunque.
Molhem Bara­kat e quelli come lui sono fuori dal sistema di difesa dei diritti e della tutela della sicu­rezza sul lavoro, che pure ci appas­siona, tanto che nes­suno si pone domande a riguardo. Que­sto è un indi­ca­tore cul­tu­rale del paese che siamo diven­tati. La pro­po­sta di col­la­bo­ra­zione di una major dell’informazione diventa “un’opportunità di coro­nare un sogno” e non sug­ge­ri­sce altre riflessioni.
Al con­tra­rio, il gior­na­li­sta Corey Pein, nel suo blog dall’Inghilterra, arriva a porsi 19 domande, tutte piut­to­sto imba­raz­zanti per la Reu­ters. Ne aggiun­ge­rei solo una se non fosse inu­tile per­ché viola la pri­vacy dell’azienda e altri prin­cipi sacri: quanto ha gua­da­gnato la Reu­ters sul lavoro di Bara­kat?
In tutti i con­flitti recenti, i col­la­bo­ra­tori locali sono pre­senze utili per le agen­zie di stampa, per­ché costano poco e ren­dono molto. Pos­sono essere bravi, ma è bene che non lo diven­tino troppo, per­ché devono restare gre­gari. Niente polizze di assi­cu­ra­zione, corsi di soprav­vi­venza, giub­botti anti­pro­iet­tile, elmetti, alber­ghi, auti­sti, tele­fono satel­li­tare etc. Niente riscatto e com­pli­ca­zioni diplo­ma­ti­che in caso di seque­stro. 10 dol­lari a foto, tutto incluso. Se dal loro lavoro esce una coper­tina pre­sti­giosa, si accon­ten­tano di un pic­colo bonus e il resto è pro­fitto per l’agenzia. Le cifre che gua­da­gnano sono para­me­trate al costo della vita, che in Siria è basso, cioè pari al valore della vita stessa (dei suoi cittadini)....
(Il manifesto)

Siria, infanzia sulla strada...



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Ciabattine di plastica ai piedi, in una strada deserta, con un pesante bottiglione di plastica pieno di gasolio per il riscaldamento: è un bambino siriano della provincia di Hama.
E’ uno dei milioni di bambini siriani costretti a lavorare, costretti a provvedere a se stessi, ad aiutare quel che resta delle loro famiglie. Spesso quelli che lavorano sono i fratellini maggiori e a 8 o 9 anni devono provvedere ai più piccoli.
Un’intera generazione sulla strada, privata della propria infanzia, dei propri diritti, della tutela che dovrebbero avere tutti i bambini del mondo. Vendono pane, dolci, lavorano come raccoglitori di plastica nelle discariche, come addetti al rifornimento di carburante, al trasporto di acqua. A volte costretti persino ad imbracciare le armi.
Nessuno può prevedere le conseguenze sullo stato emotivo di questi bambini, come cresceranno, che tipo di adulti diventeranno. L’unica cosa certa è che non meritano di vivere così...

Ieri...in un villaggio della Syria...45 drammatici secondi per non Dimenticare...(Video)


lunedì 30 dicembre 2013

Darayya: primo bombardamento con i barili...(video)



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30 dicembre 2013 – Darayya
I barili esplosivi arrivano anche sulla città di Darayya, in provincia di Damasco. Per la prima volta l’aviazione militare del regime ha usato questa tipologia di ordigni sulla zona, già pesantemente bombardata con altre armi di distruzione di massa.
Dopo aver usato i barili su Homs, Hama, Dar’à e Aleppo, ora il regime ha deciso di usarli contro i civili rimasti in questa città, che muoiono sotto le macerie delle proprie case o per la schegge che le potentissime esplosioni spargono in un ampio raggio. Le prime informazioni parlano di almeno tre barili sganciati (ultimo aggiornamento ore 17 circa). Non sono ancora giunti aggiornamenti sul numero delle vittime.
Ad oggi il numero di persone uccise in Siria solo da queste armi terrificanti è di oltre 20 mila; i feriti sono 100 mila. I barili contengono TNT, chiodi, ferraglie, polvere di alluminio, schegge metalliche, lame taglienti. Pesano dai 160 ai 1000 chilogrammi.


Uccisa dalle fiamme in un campo profughi: il dramma di una bimba siriana...



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30 dicembre 2013 – Maskana, Giordania
La bimba nella foto si chiamava Diyà Addin Mazen Almahmoud ed era una piccola profuga nel campo di Maskana, in Giordania. La piccola, secondo quanto riportato dalla “Rete siriana per i diritti umani”, è spirata oggi a causa di un rogo divampato nella tenda dove viveva con la famiglia.
E’ l’ennesima tragedia di questo genere che si consuma in un campo profughi, che ha come vittima un bambino e che riaccende i riflettori sulle drammatiche condizioni in cui vivono ormai oltre 3 milioni e mezzo di siriani, divisi tra le tendopoli nei paesi confinanti – Giordania, Libano, Turchia e Iraq – e lo stesso territorio siriano. I campi profughi, allestiti per far fronte all’emergenza dei civili in fuga dai bombardamenti e dalle incursioni militari, sono stati concepiti come una sistemazione temporanea e sono assolutamente privi di ogni garanzia di sicurezza. Mancano anche le benché minime condizioni igieniche, manca ogni comfort. D’estate le tende sono trappole roventi, d’inverno sono un insufficiente riparo dal freddo, dalla pioggia e dalla neve. Per non parlare della mancanza di lavoro, di assistenza medica, di istruzione, di svago…
Non solo luoghi adatti ad ospitare essere umani, non per un tempo che ormai è quasi di tre anni. Di fronte all’immobilismo della comunità internazionale, al caos politico e geo-strategico che non fa che ampliarsi, le prospettive che hanno davanti a sé i civili siriani sono tutt’altro che rosee. Per quanto tempo ancora dovranno vivere in quelle fatiscenti tendopoli? Quanti altri bambini dovranno morire prima che si ponga fine a questo genocidio?
Mentre i potenti del mondo giocano con le vite umane, Diyà, piccolo angelo biondo siriano, se ne va in modo atroce. Nata in un contesto drammatico, l’unica speranza è che ora abbia smesso di soffrire....

Siria. Unrwa, 15 palestinesi morti di fame in campo profughi Yarmuk...



(ASCA) – Roma, 30 dic – In Siria “almeno 15 palestinesi sono morti di fame e stenti nelle ultime settimane nel campo profughi di Yarmuk”, nei pressi nella capitale Damasco.
Lo ha reso noto il portavoce dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Chris Gunness.
“Nel fine settimana e’ giunta la notizia che almeno cinque rifugiati palestinesi nel campo profughi di Yarmuk sono morti di malnutrizione, portando il numero totale di casi segnelati a quindici”, ha indicato il portavoce dell’Unrwa.
Gunness ha lanciato un monito sul “deterioramento della situazione nel campo profughi di Yarmuk, dove circa 20 mila palestinesi vivono con provviste alimentari e farmaci che scarseggiano”.
La maggior parte del campo di Yarmuk, a sud di Damasco, e’ sotto il controllo dell’opposizione armata siriana e per circa un anno e’ stato sotto assedio delle truppe fedeli al presidente Bashar al-Assad.
Il blocco “ha provocato una crisi umanitaria e l’esodo di decine di migliaia dei 170 mila residenti del campo”, ha concluso il portavoce dell’Unrw, Chris Gunness. (fonte AFP)....

sale la tensione tra Siria e Libano...antiaeree libanesi sparano contro la Siria...



Sale la tensione tra le truppe libanesi e quelle del regime siriano di Bashar Assad. Per la prima volta batterie antiaeree libanesi hanno aperto il fuoco contro un elicottero d'attacco siriano che era penetrato nello spazio aereo libanese. E' quanto riferiscono fonti militari libanesi. "Rispettando gli ordini ricevuti dal comando dell'esercito batterie anti-aeree hanno sparato in direzione di elicotteri siriani che stavano bombardando Khirbet Dawud nelle vicinanze di Arsal", in territorio libanese al confine con la Siria, dove si sono rifugiati decine di migliaia di profughi scappati dalla guerra.
Nel corso del conflitto in Siria velivoli di Damasco hanno sconfinato nei cieli libanesi, senza alcuna conseguenza. Il 12 giugno scorso Beirut intimo a Damasco che in caso di nuove violazioni del proprio spazio aereo ci sarebbe stata una risposta...

Siria, il campo di battaglia è digitale...



di Alfonso Maruccia

Un nuovo rapporto sponsorizzato da EFF analizza la situazione del malware all'interno dello scenario siriano, una zona di guerra che continua a fare vittime sia sul campo di battaglia reale che su quello virtuale

Roma - Gli hacker e i guastatori siriani tornano all'attacco ma questa volta l'obiettivo è interno: un nuovo rapporto intitolato Quantum of Surveillance analizza la situazione del cyber-warfare nel martoriato paese mediorientale, evidenziando i casi plateali di "attacchi" organizzati da cracker vicini al regime di Bashar al-Assad.

Nato da una collaborazione tra il Citizen Lab dell'Università di Toronto ed Electronic Frontier Foundation (EFF), lo studio mette in luce il riemergere di "malware pro-governativi indirizzati agli attivisti online in Siria", cyber-attacchi sempre più sofisticati e sempre più evoluti dal punto di vista delle tecniche di ingegneria sociale usate.

Tra gli attacchi analizzati nel rapporto EFF segnala l'hijacking della pagina Facebook di un gruppo di ribelli con la distribuzione di malware, l'invio di keylogger RAT al personale di una ONG camuffato da video di presunti abusi dell'esercito siriano fedele ad Assad, un nuovo trojan per Mac OS X (forse un falso positivo) che tiene a far sapere di essere il frutto della Syrian Electronic Army e altro ancora.Lungi dall'essere solo virtuale, lo scenario del cyber-warfare siriano "continua ad aggravarsi" e il pericolo che pone diventa sempre più reale: "un computer compromesso può mettere a rischio la vita di un utente siriano", avvertono i ricercatori.

Raid su Aleppo, 517 i morti, 151 bambini Ong, bilancio vittime due settimane bombardamenti città siriana...



(ANSA-AFP) - BEIRUT, 29 DIC - E' salito a 517 morti il bilancio di due settimane di bombardamenti dell'aviazione siriana su Aleppo, secondo quanto riferisce l'Osservatorio siriano sui diritti umani precisando che 151 sono bambini. Tra le vittime, aggiunge la Ong, figurano anche 46 combattenti e 46 donne. Sulla città a nord della Siria vengono sganciati quotidianamente 'barili di esplosivo' e, prosegue l'Ong, "chi nella comunità internazionale resta in silenzio è complice di questi massacri" del regime siriano...

domenica 29 dicembre 2013

Rifugiati siriani, il confine Usa è un limite invalicabile...


Permesso permanente solo per 90 persone in fuga dalla guerra. L'allarme delle Nazioni Unite: per il prossimo anno servono 6,5 miliardi di dollari in aiuti


Patrizio Cairoli

L'aiuto degli Stati Uniti ai rifugiati siriani si ferma per lo più al confine. E' il titolo di un articolo del Washington Post, che si occupa del dramma di milioni di persone in fuga dal conflitto in corso da quasi tre anni. Solo un ristretto numero degli oltre due milioni di persone in fuga dalla Siria è in possesso dei requisiti per poter vivere negli Stati Uniti: l'amministrazione Obama ha concesso il permesso permanente soltanto a 90 rifugiati siriani, fino al 30 settembre. Proprio in questi giorni, gli osservatori internazionali hanno avvisato che, il prossimo anno, il numero delle persone che avrà bisogno d'aiuto potrebbe quasi raddoppiare. 

Washington si è difesa affermando che i maggiori sforzi sono concentrati sulla necessità di fornire immediato aiuto umanitario in Siria, facendo poi notare che le politiche per i migranti favoriscono chi richiede asilo perché perseguitato per ragioni politiche, religiose o sessuali: criteri che, riporta il Washington Post, non sono soddisfatti dalla maggior parte dei rifugiati siriani, nonostante le condizioni disperate in cui si trovano. Gli osservatori internazionali sono demoralizzati dal basso numero di persone ammesse negli Stati Uniti e dagli ostacoli che i rifugiati devono affrontare per poter vivere nel Paese. L'amministrazione Obama ha però lanciato una nuova campagna per accogliere fino a 2.000 siriani negli Stati Uniti nel prossimo anno, all'interno di un più vasto sforzo delle Nazioni Unite per aprire i confini di molti Paesi ai siriani in fuga, come dichiarato al Washington Post da Larry Yungk, dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. La difficoltà per i rifugiati siriani di essere accolti negli Stati Uniti dipende anche dalle ferree regole anti-terrorismo fissate da Washington; il lungo e accurato processo di verifica sulle persone può durare fino a un anno ed esclude tutti coloro il cui percorso lungo la complessa guerra civile non è documentato, oppure è poco chiaro per le autorità.
Nel complesso, invece, gli Stati Uniti sono il Paese che accetta più rifugiati: nel 2012 sono stati quasi 60.000, ma solo 31 dalla Siria. Gli Stati Uniti hanno finora donato circa 1,4 miliardi di dollari in aiuti umanitari - più di qualsiasi altro Paese - in gran parte spesi per aiutare le persone in Siria o nei campi allestiti negli Stati confinanti; dall'inizio della guerra, più di 800.000 persone sono scappate in Libano e rappresentano ora circa il 20% della popolazione totale; un altro milione di siriani è scappato in Giordania e Turchia. Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, la guerra siriana potrebbe produrre quattro milioni di rifugiati entro la fine del 2014. Per aiutare la popolazione, le Nazioni Unite chiedono per il prossimo anno donazioni per 6,5 miliardi di dollari, la cifra più alta mai richiesta. Annunciando l'ambizioso obiettivo, la coordinatrice Valerie Amos ha predetto che quasi tre siriani su quattro avranno bisogno di una forma di aiuto umanitario nel corso del prossimo anno....
(america 24)

Storie di Bambini Siriani...Sidos...10 anni...



Siria, Sindos è la bimba di 10 anni
che vive con un proiettile nella testa
E' sopravvissuta per miracolo all'attacco di un cecchino
e ora abita con la sua famiglia in un campo profughi

Sindos, 10 anni, originaria di Jasim, Siria meridionale, sembra una bambina perfettamente normale, ma ha una pallottola incastrata profondamente nel lobo temporale destro, proprio dietro una treccina.
"E' stata colpita il 16 maggio del 2011", racconta suo padre Fatih Harron, 35 anni, nel container metallico di due metri per tre che rappresenta ora la sua casa nel campo profughi di Zaatari, in Giordania. Come gli altri 50.000 bambini di Zaatari, Sindos sta soffrendo l'ondata di gelo che ha colpito il Medio oriente e provocato la morte di almeno due bambini, in Siria, per assideramento.

Sindos è sopravvissuta miracolosamente a un colpo che secondo i primi medici che l'hanno visitata, le avrebbe dovuto provocare la morte certa. "Ma è viva! Deve prendere degli antibiotici e degli antiepilettici ma sta bene - dice il padre ringraziando il cielo - il freddo però le provoca emicranie che nel suo caso sono molto pericolose".

Nonostante la sua unicità, Sindos non è l'unica bambina a riportare ferite da guerra, nell'ultimo anno oltre 1.000 minori residenti nel campo rifugiati di Za'atari, sono stati curati per lesioni causate da materiale bellico. In Libano, secondo un recente rapporto dell'Onu, i piccoli siriani ricoverati sono stati più di 700 solo nei primi sei mesi del 2013.

Fatih è convinto che a colpire la figlia sia stato un cecchino, perché all'epoca la città era sotto assedio; Sindos aveva solo 8 anni. "C'erano i soldati del regime in città - racconta - e non potevamo muoverci, abbiamo rispettato il coprifuoco finché un giorno dagli altoparlanti della moschea ci hanno detto che potevamo uscire di casa dalle 8 alle 12 del pomeriggio. Così ne ho approfittato per andare a comprare del cibo. Sulla strada di casa, vedendomi arrivare, Sindos mi è venuta incontro. 'Baba, baba', sono le ultime parole che le ho sentito dire prima di vederla cadere a terra".

Dalla testa le sono uscite solo poche gocce di sangue". Sindos perde i sensi e viene trasportata prima in un ospedale di Jasim, controllato dai ribelli, poi in un ospedale del regime, più attrezzato, a Damasco, dove "mi hanno detto che non c'era niente da fare, le hanno fatto la radiografia e hanno stabilito che non era operabile. Dovevamo rassegnarci al fatto che sarebbe morta".

Dopo due giorni però la bambina riprende i sensi, ma al risveglio può muovere solo la parte sinistra del corpo. "L'abbiamo portata a casa per fare della fisioterapia, ma il regime ha ripreso a bombardare, io sono rimasto ferito da una granata". Fatih tira su i pantaloni e mostra un grande squarcio mal cicatrizzato sul polpaccio sinistro. Con il peggioramento delle condizioni di salute del padre Sindos inizia a regredire. "Abbiamo deciso di lasciare tutto e andare in Giordania. Avevo una piccola fabbrica dolciaria, e ora sono un profugo"...

La foto del giorno: la ninnananna sul marciapiede...



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28 dicembre 2013 – Qudsia, Damasco
Il sonno degli angeli, leggero e dolce. Gli occhi chiusi come un sipario in pausa da un copione di atrocità e morte. Le labbra di dignità  serrate. I corpi infreddoliti e immobili che parlano. Ondeggiano come in una danza leggera senza muoversi.
E’ il movimento dell’amore incondizionato, l’abbraccio protettivo, caldo e infinito di una madre al figlio. Cullato su un freddo marciapiede, circondato di indifferenza e violenza eppur protetto dai battiti del cuore materno, che scandiscono il tempo e abbattono ogni distanza da un istante eterno di pace.
Ninnananna in Siria, ninnananna su un marciapiede nella periferia di Damasco, ninnananna ad un bambino che cresce sotto le bombe, ninnananna a una donna, mamma, donatrice di vita, che non teme la morte....