di g_belgrano. Scritto il 13 gennaio 2014 alle 7:35.
(Da Parigi) – Chi sa se ieri, alla riunione dei ministri degli Esteri dei ‘Paesi amici della Siria’, qualcuno aveva letto l’intervista rilasciata a Rfi da Salam Kawakibi, ex direttore dell’Istituto francese per il Medio Oriente ad Aleppo, la seconda città siriana. Una voce critica la sua, sintetizzabile in due ‘capi d’accusa’: se in Siria si è arrivati a tre anni di conflitto senza soluzione, i ‘Paesi amici della Siria’ hanno in maniera diversa le loro responsabilità; secondo, anche l’opposizione ha le sue responsabilità perché si è fatta manipolare da potenze regionali e continentali.
Probabilmente però, i ministri degli Esteri degli undici paesi riuniti ieri al Quai d’Orsay (Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Italia, Qatar, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti) sono stati costretti a guardare più avanti, prendendo atto della situazione attuale che vede un paese in ginocchio, due milioni e mezzo di profughi, un numero imprecisato di sfollati interni e il rischio che gli scontri tra gruppi ribelli rivali e le divisioni in seno all’opposizione facciano dimenticare gli orrori del regime.
Nei 14 punti della Dichiarazione di Parigi, i ministri hanno avvertito che i negoziati per un cessate-il-fuoco – Ginevra II – dovranno cominciare entro il 24 gennaio. Hanno inviato chiari messaggi a Bashar al-Assad, esprimendo preoccupazione per recenti dichiarazioni che costituirebbero passi indietro rispetto a quanto già pattuito in precedenza; hanno condannato la presenza di combattenti stranieri sia tra i filo-regime (Hezbollah e altre forze sostenute dall’Iran) che fra i ribelli.
Prima della data presunta di inizio dei negoziati, si terrà in Kuwait una Conferenza dedicata agli aspetti umanitari del conflitto, mentre il 17 gennaio a Ufra, Turchia, si affronteranno le problematiche legate alla presenza di 2,5 milioni di rifugiati siriani nei paesi confinanti con la Siria. Il 17, 18 e 19 gennaio a Istanbul è invece prevista una riunione dell’opposizione che dovrà decidere sulla propria partecipazione ai negoziati. Su questo punto ieri a Parigi sono state esercitate pressioni perché l’opposizione si presenti a Ginevra il 22 gennaio e nella maniera più unita possibile. Il 3 febbraio l’Italia ospiterà un vertice politico sulle questioni umanitarie chiesto dalle Nazioni Unite.
Accanto all’azione politica occorre prevedere un’azione umanitaria, ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino incontrando i giornalisti italiani presso l’Ambasciata di Roma a Parigi: “Il processo politico non può andare disgiunto dal processo umanitario. Non è pensabile costruire una transizione su un milione di rifugiati, su migliaia di morti… per questo motivo nel comunicato si fa richiesta di una pausa umanitaria e anche di un più generalizzato cessate-il-fuoco che può essere oggetto del negoziato stesso”. La cosa più importante, ha aggiunto la Bonino, è che dopo tanti tentennamenti questo processo parta “essendo consapevoli che non potrà durare un solo giorno”. L’obiettivo di questo processo “è un governo di transizione con pieni poteri” nella consapevolezza che “non c’è altra soluzione”. Ieri sera l’opposizione ha incontrato anche Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo; quest’ultimo oggi incontrerà il segretario di Stato americano John Kerry...
(Atlas)

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