martedì 14 maggio 2013

Turchia. La 'fermezza' di Erdogan passa per Obama...

Ricomincia la quotidianità a Reyhanlı, con il ritmo dei passi che attraversano la Atatürk Caddesi, strada principale del centro cittadino, dove sabato 11 maggio due autobombe, a cinque minuti l'una dall'altra, hanno ucciso 49 persone e ferito gravemente più di 150 passanti.


di Emanuela Pergolizzi
 
 
Le macerie degli oltre 700 negozi danneggiati dalle esplosioni rimangono silenziose testimoni di un nuovo e terribile dramma: l'attacco di sabato ha segnato il record di civili uccisi in un attentato di tutta la storia repubblicana turca. 
 
Reyhanli, distante solo 5 chilometri dal passaggio di Civelgozu sul confine siriano, si trova nella provincia di Hatay, l'antico Sandjak di Alessandretta, storico oggetto di contesa tra i due paesi dopo la sua 'cessione' alla Turchia, nel 1939, da parte francese. 
 
Da questa stessa provincia, sul finire degli anni Novanta, il generale Ateş, allora comandante delle divisioni turche, minacciò la Siria di intraprendere azioni armate se non avesse espulso Öcalan, leader del PKK, oggi protagonista dei discussi negoziati con il governo di Erdoğan.
 
L'attacco è avvenuto 3 giorni dopo l'inizio del ritiro delle truppe del PKK dalla Turchia, punto chiave delle trattative in corso, la cui riuscita è posta come conditio sine qua non per il proseguimento dei colloqui da parte del Partito dei Lavoratori.
 
L'intero paese li segue con la massiama appresione, consapevole che un solo incidente potrebbe far saltare i fragili equilibri sui si poggia lo storico processo di pace
 
Ma allo stasso tempo, Reyhanli, così come molte altre cittadine della Turchia meridionale, è uno dei centri più colpiti dall'ondata infinita di profughi siriani, il cui numero ha superato quota 300 mila, secondo le stime del governo di Ankara. 
 
La massiccia immigrazione ha posto una sfida umanitaria senza precedenti per l'economia del paese, ma ha anche causato l'acuirsi di tensioni etniche e sociali in un territorio già colpito da una profonda crisi in termini di occupazione.
 
Da mesi gli abitanti delle città e dei villaggi sul confine lamentano una riduzione degli stipendi superiore all'80% e un mercato del lavoro ormai saturo.
 
Le trasformazioni imposte dalla 'nuova immigrazione' sono  ancora più evidenti nei terreni agricoli delle zone di  Akcakale e Ceylanpınar, convertiti in giganteschi cantieri edilizi, mentre i prezzi degli affitti sono balzati alle stelle.
 
Non stupisce quindi che sotto la spinta emotiva degli attentati siano state diverse le autovetture danneggiate dalla rabbia della popolazione. 
 
Il governo ha condannato duramente gli attacchi contro i rifugiati, puntando subito il dito contro Damasco: "Vogliono trascinarci verso la catastrofe" è insorto Erdogan, assicurando però che la Turchia manterrà la "calma", mentre il ministro degli Interni Guler comunicava all'emittente televisiva TRT l'arresto di 9 persone legate al Mukhabarat, l'intelligence siriana.
 
Le ragioni dell'attentato, ancora tutte da accertare, sembrano duplici: sabotare i fragili negoziati di pace tra il governo e il PKK, e colpire la fermezza di Erdogan nel suo sostegno alle forze anti-Assad. 
 
Un attegiamento, quello del primo ministro turco verso la crisi siriana, fortemente criticato anche all'interno del suo stesso schieramento, che gli ha più volte consigliato un approccio più cauto rispetto a una guerra i cui orizzonti sembrano spostarsi sempre più lontano nel tempo. 
 
All'indomani dell'attacco, il maggior partito di opposizione (CHP), i cui esponenti avevano fatto una controversa visita al presidente siriano in marzo, ha rinnovato l'invito al governo a "rivedere la propria politica estera". 
 
Kiliçdaroğlu, leader del CHP, ha definito la linea di Erdoğan "sbagliata e rischiosa", affermando che la Turchia potrebbe pagare l'intraprendenza politica dell'AKP con nuovi morti e altro sangue.
 
Va ricordato che nel giugno 2012 è stato abbattuto un aereo militare turco, mentre a febbraio 17 persone sono morte sul passaggio di Cilvegozu per l'esplosione di un'autobomba. 
 
Da parte sua, Erdogan ha fatto più volte appello alle potenze internazionali, ottenendo dalla Nato il dislocamento di batterie di missili PATRIOT lungo il confine.
 
Ciononostante, di fronte all'incalzante minaccia che arriva da Damasco, tale misura appare quantomeno insufficiente, e il premier potrebbe essere costretto a rinnovare la richiesta di una no-fly zone durante la prossima visita del presidente Obama, in programma per giovedì prossimo. 
 
Sebbene quanto accaduto non sembra aver fermato il lento ritiro delle truppe curde verso le montagne di Kandil, sono molti a temere che la guerra abbia ormai valicato anche i confini turchi. 

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