lunedì 30 settembre 2013

SIRIA: UN’ALLEANZA ISLAMICA CONTRO ASSAD E CONTRO GLI AFFILIATI DI AL-QAIDA...

 di  .

Un’Alleanza islamica per battere il regime di Bashar al- ma soprattutto per respingere la minaccia costituita dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Siil), gruppo estremista anch’esso impegnato contro , ma considerato troppo radicale, affiliato ad al-Qaida e fornito di obiettivi politici molto diversi da quelli perseguiti dagli altri gruppi dell’opposizione siriana.
La nuova Alleanza islamica è costituita da brigate dell’Esercito libero siriano, di Jabhat al-Nusra e di gruppi minori. Intende applicare la legge islamica in  ma considera un nemico da respingere il Siil.
Sul piano politico, ieri i riflettori si sono spostati sul Palazzo di Vetro dell’Onu a New York, dove era atteso l’intervento del ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem. Quest’ultimo ha accusato le potenze regionali e occidentali di aver fornito armi chimiche ai combattenti dell’opposizione; ha inoltre sostenuto che mentre il governo di Damasco ha collaborato con gli ispettori dell’Onu, non lo stesso è stato fatto dalle altre parti in campo sostenute dagli Stati Uniti.
Muallem è andato avanti dicendo che nel suo paese non si sta combattendo una guerra civile ma una guerra contro il terrorismo; le sanzioni imposte contro la Siria, secondo lo stesso ministro, colpirebbero poi i civili.
Muallem ha concluso dicendo che il governo di Damasco non intavolerà negoziati con la Coalizione nazionale siriana perché non più popolare in Siria e non in grado di rappresentare veramente le forze in campo. Un’accusa che punta il dito su elementi effettivamente sottolineati anche da fonti indipendenti....

La disperazione di un padre che perso il figlio nei bombardamenti...(Video)

                         Daraa...la disperazione di un padre che ha perso suo figli nei bombardamenti....


La Germania vendeva sostanze chimiche alla Siria...

Imprese tedesche hanno fornito per 13 anni materiale che poteva essere usato anche per la produzione di gas tossici. Il governo di Berlino: esportate sostanze in quantità tre volte superiore a quanto fosse noto...

Berlino, 30 Settembre 2013
La guerra civile in Siria era già iniziata, ma le sostanze chimiche utili anche per la produzione di gas tossici continuavano ad arrivare a Damasco. Il mittente, fino al 2011 era Berlino. Ed è sempre Berlino ad ammetterlo, ma solo in questi giorni, con un rapporto firmato dal ministero tedesco dell'Economia.
Esportato il triplo di quanto fosse notoLe sostanze, specificano i quotidiani tedeschi potevano essere usate sia a scopi civili sia a scopi militari. Il commercio era iniziato nel 1998, fino ai primi sei mesi del 2011, per un totale di 360 tonnellate. Una quantità - rivela il governo tedesco - tre volte superiore rispetto a quanto fosse precedentemente noto. Qualche settimana fa il governo aveva parlato dell'esportazione di 134 tonnellate di sostanze chimiche tra il 2002 e il 2006. Tuttavia, specifica Berlino, le sostanze erano destinate all'industria civile.
Il materiale esportatoPer tutte le sostanze era prevista una licenza di esportazione e che la destinazione era prevalentemente l'industria cosmetica. Tra il materiale, c'erano anche 4000 chili di una miscela galvanica con cianuro di sodio, che può essere usato per la fabbricazione di armi chimiche. Per il 2010, rende sempre noto il ministero tedesco dell'Economia, sono state invece esportate 20 tonnellate di soluzione di fluoruro di idrogeno e 15 tonnellato di idrogeno di fluoruro d'ammonio.
(RaiNews24)

Quando arriverà l’inverno, dovremo tagliare loro i capelli...

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“Con l’arrivo dell’inverno dovremo tagliare i capelli di tutte le bimbe. Anche noi li abbiamo accorciati. Nessuno racconterà mai che questaazme, crisi, ci ha rubato anche la nostra femminilità”.
A guardare la dolcezza dei tratti del suo viso potrei giurare che mai nulla e nessuno potrà rubare la femminilità di Nesreen, ma il dolore che trapela dal suo sguardo e dalle sue parole è una denuncia sussurrata che racconta tanta sofferenza. Ha 23 anni e una figlia di 2; tira fuori da un sacco di stoffa un quaderno da cui estrae una foto: guarda com’ero, sospira. E’ una foto nuziale e Nesreen ha capelli lunghissimi semi raccolti da un fermaglio luminoso. Si sfila il hijiab, il velo, e mi mostra i suoi capelli, che le arrivano appena sotto le orecchie. E’ ugualmente bellissima, ma lei si sente privata di qualcosa che le apparteneva, che la rappresentava, che la faceva sentire donna: i suoi capelli lunghi.
Mi mostra una bombola di gas piccolina, come quelle che si portano ai campeggi per fare il caffè. Ma lì siamo tra le mura di un vecchio magazzino e quella bombola è il fornello con cui Nesreen cucina e su cui fa scaldare l’acqua del pozzo per lavarsi e lavare sua figlia. “Vedi, il regime ci ha riportati all’età della pietra, dimmi se questa è vita, se gli essere umani possono resistere così. Non abbiamo acqua corrente, non c’è riscaldamento, né energia elettrica. Quando ci laviamo i capelli dobbiamo strizzarli per asciugarli, anche chi avesse un phon non può azionarlo perché non c’è corrente. Molte bimbe hanno preso i pidocchi nei rifugi. Sono più di due anni che ci tagliamo i capelli per evitare ulteriori problemi. Le bimbe piangono disperate ogni volta; piangiamo anche noi, ma non davanti a loro. So che non importa niente a nessuno di questo, né a bashar, né a obama, nè all’Onu. Però le loro mogli, le loro figlie, sono tutte ben curate. Noi viviamo come topi nei rifugi e oltre ad averci rubato le nostre vite, le nostre speranze, ci stanno annullando come donne”....

Reportage di Al Jazeera...I bambini siriani muoiono di fame....(Video)

Reportage di Al Jazeera sull'assedio di Damasco...sulle difficoltà di vita nella zona...sulla mancanza di generi alimentari di prima necessità come la farina, il latte . A causa di tutto ciò 6 bambini in una settimana sono già morti...
Il silenzio del mondo  sull'assedio condurrà sicuramente ad una catastrofe umanitaria...

Homs...crollo di un intero edificio sugli abitanti a causa di un razzo (Video)

Ad al Waer i bombardamenti con un razzo terra-terra hanno colpito un edificio di 4 piani causandone il crollo, il palazzo era pieno di profughi difatti decine le persone colpite e molte sono ancora sotto le macerie...

Siria: ispettori Onu su attacchi chimici via da Damasco, missione conclusa...

Beirut, 30 set. - (Adnkronos/Aki) - La squadra di ispettori Onu incaricata di verificare l'uso di armi chimiche in sette diversi siti siriani ha messo fine alla sua missione, lasciando Damasco questa mattina. Lo riferiscono i media locali. La squadra era arrivata in Siria mercoledi' scorso per una seconda missione, dopo quella di fine agosto in alcuni quartieri nei dintorni di Damasco. Dovra' consegnare un rapporto al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, entro la fine di ottobre....

Il klashen e il triciclo nello stesso baule...

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Prima che l’esercito regolare facesse irruzione nella nostra città la mia era la vita di un normale imprenditore: riunioni, viaggi, clienti, fornitori, pagamenti, problemi vari. Avevo 25 dipendenti e due magazzini, con tre negozi nelle principali città siriane. Producevamo porte e arredo in legno alla periferia di Aleppo. Guarda dove siamo finiti ora”. Abu Safwan sospira e scuote la testa, gettando a terra il mozzicone di sigaretta che ha esaurito fino all’ultimo respiro ed elevando un lamento al cielo: “liberaci ya Rab, Signore”.
Ha una quarantina di anni e porta un pizzetto brizzolato. Accanto a lui, appoggiato a terra, un “khashen” come chiamano qui i kalashnikov. “Questo toro”, riferendosi all’arma, “mi ha rotto una spalla. Dai tempi del militare non avevo più preso un’arma; in fabbrica c’era un addetto alla sicurezza e l’unica arma era la sua. Nei primi tempi   imukhabarat (servizi segreti) con una scusa o con l’altra venivano spesso: oggi era un controllo, il giorno dopo una tangente, quello dopo ancora chiedevano di flan wa ellantizio e caio. Ci hanno esasperato, ma finché non venivano nelle nostre case andava bene tutto. Poi al posto loro è arrivato un ordigno: uno skud, che ha trasformato in briciole la mia fabbrica, un magazzino e una palazzina di tre piani. Quel giorno ci sono stati oltre 60 morti e oltre un centinaio di feriti. Abbiamo raccolto a mani nudi brandelli umani: piedi, mani e parti interne e … ti lascio immaginare il resto”. Mentre parla le sigarette di accendono e si spengono ininterrottamente.
“Non avevamo mai visto morti ammazzati; non avevamo mai visto sangue. Ti giuro che è disumano sorella mia. Mettere parti umane in sacchi, cercare di ricomporre esseri umani come se dovessimo assemblare oggetti. Non ti dico l’odore, non ti dico quanti giorni abbiamo scavato per ritrovare tutti i dispersi. Non ti dico. La Protezione Civile ci ha detto che non sarebbero venuti per simili interventi: schiavi al servizio del regime. In compenso sono venuti decine e decine di volontari da ogni zona ad aiutarci. Se non fosse per la fede saremmo impazziti tutti in quei giorni. Ci sono persone che abbiamo tumulato in sacchi piccoli: non siamo riusciti a trovare tutte le parti dei loro corpi. Sono morti 15 dei miei operai, mio figlio Safwan, che aveva 18 anni; l’ho trovato io, aveva il torace schiacciato, la testa aperta; ho sentito l’odore del suo sangue, che ha impregnato i miei figli; l’ho seppellito insieme al cuore mio e di sua madre. E’ morto anche suo cugino, che ne aveva 22 ed era sposato da poco più di un mese e decine di donne e bambini che erano nella palazzina. Al funerale c’erano persone venute da tutte le zone della città. Anche quel giorno, durante la tumulazione, i cecchini hanno sparato. Ti rendi conto? Morti che seppellivano altri morti”.
Abu Safwan si interrompe e prende in mano il klashen: “Quel giorno stesso sono andato a prendere questo – indicando l’arma – per proteggere quel che restava della mia famiglia e della nostra città. Ormai è il tramonto. “Vuoi venire a conoscere la mia famiglia? Oggi è il compleanno di mia Lina”. Percorriamo alcuni chilometri, su una strada piena di buche enormi dovute alle bombe. Parcheggiamo e Abu Safwan apre il baule dell’auto, dove ripone “il toro”; è come se, spogliandosi di quell’arma, si fosse vestito di una nuova, profonda umanità. Prende in mano un grosso sacco colorato.
Da lontano sentiamo una vocina squillante: “Baba, baba (papà, papà)” e poi uno scricciolo pieno di boccoli color castano salta in braccio all’uomo e gli dà un sacco di baci. In quel quadro desolante trovo estremamente commuovente quell’immagine. Stringo le spalle pensando ai miei…
“Papà, papà, ti sei scordato? Ti sei scordato? Dai papà – e ride mentre lui le fa il solletico -. Dai papà, ti sei scordato?”. “Che cosa”? – dice lui fingendo di non capire. Poi la piccola nota, nel buio, quel grosso sacco colorato. “Habibi baba”, amore mio papà, grida. Nel sacco c’è un triciclo. Lina ride, schiamazza, guarda quell’oggetto, lo accarezza, ci monta sopra, poi scende e si attacca alla gamba del padre per dirgli quanto lo ama. Abu Safwan nasconde l’emozione; la guerra gli ha ucciso un figlio diciottenne spezzandogli il cuore, ma il Signore gli ha dato la piccola Lina, la sua fonte inesauribile di gioia.

Immigrazione, siriani al Palacannizzaro «Nuove prigioni di cui avere paura»...

La situazione dei migranti sbarcati a Catania nelle scorse settimane e ancora rinchiusi nella struttura etnea non è poi così diversa da quella dei detenuti. Con la differenza che i primi non hanno commesso alcun reato. Eppure l’indifferenza è dietro l’angolo, commenta Sanaz Alishahi, blogger di CTzen di origini iraniane. «Immaginate di farlo voi questo viaggio – scrive - Vi avevano detto che in Europa i diritti fondamentali venivano rispettati. Ma il diritto di muovervi no»...


Trovandomi davanti alla struttura del Palacannizzaro di Catania, dove un centinaio di siriani sono rinchiusi forzatamente, mi è venuto un senso di oppressione molto più forte di quella che sento quando passo davanti la prigione di Piazza Lanza. Ho sentito dolore allo sterno. Lo stesso dolore che provavo quando entravo nel Cara di Mineo, ma adesso la rabbia è più forte. E mi sono chiesta il perché? Mi sono chiesta perché da quel momento non ho pace, mi sento come se avessero arrestato mio fratello ingiustamente.
Giro per casa cercando una soluzione, penso e ripenso, chiamo gli amici, leggo la maledetta Convenzione di Dublino. Mi sono risposta che ormai ci aspettiamo e pretendiamo da noi stessi di assuefarci alle ingiustizie, alla violenza, alla crudeltà, alla sopraffazione, all’odio, al disprezzo; sembrano sinonimi, ma non lo sono. Ognuno di questi termini si manifesta in questo mondo in mille modi e con potenza diversa. E noi abbiamo imparato a girarci dall’altra parte con sempre più nonchalance, con più grazia, con più sottile malizia accompagnata dal pensiero “Per fortuna a me non succederà mai”. E quindi sono arrabbiata, ma felice. Non mi sono assuefatta. Mi incazzo, mi incazzo più di prima.
Mi aspetto che le cose migliorino, nutro speranza nel cambiamento. Ed è per questo che quando il poliziotto che presidiava il Palacannizzaro alle mia domande “Mi spiega a che titolo lei sta tenendo imprigionate queste persone? Questo è un palazzetto dello sport, cosa ci fanno cento persone da una settimana qui dentro?” ha risposto: “Non lo chieda a me, non sono io che decido. La legge è questa, io non posso farci niente”, sono rimasta come inebetita. Ci sentiamo intelligenti perché individuiamo e capiamo il problema, ma ci aspettiamo che ad agire sia qualcun altro. Ma chi? Esattamente chi dovrebbe lottare per cambiare delle leggi che risultano obsolete visto cha la migrazione mondiale è un fenomeno mai uguale a se stesso neanche di mese in mese? Il politico di turno, un ministro, l’impiegato alle Poste, il Messia, il Dodicesimo Profeta, chi?
Pigrizia mentale, anaffettività, insensibilità, disumanità, povertà emotiva. Queste sono le nuove connotazioni della grande e vecchia Europa. E l’Italia? L’Italia che in nessuna cosa si allinea al resto d’Europa, l’Italia dove non si pagano le tasse, non si rispettano le leggi, dove si lascia crollare Pompei, dove la donna crede di essere avanti e invece è più indietro che nello Yemen, dove ai ministri è quasi vietato dalla legge dimettersi qualunque sia lo scandalo o il crimine commesso, dove i poliziotti uccidono impuniti i ragazzi, questa Italia possiede tutte le connotazioni dette sopra. Bisogna mettersi nei panni di chi è ingiustamente rinchiuso anche solo un attimo. Credo che urlerei fino ad annichilirmi, sbatterei la testa contro i muri fino a svenire. Mi fa paura l’apatia, la costrizione, l’impotenza, la cattività. Eppure basterebbe pensarci anche solo due minuti.
Immedesimatevi. Immaginate. O vi hanno rubato anche la capacità di immaginare? Immaginate di farlo voi questo viaggio. Immaginate di scappare da una guerra, di avere dei figli, di intraprendere un viaggio in un barcone con altri cento, duecento disperati come voi, ammassati, assetati, affamati, spaventati, impauriti. Di andare verso una terra che non conoscete, di cui non conoscete la lingua. L’unica cosa che avete siete voi stessi, l’unica cosa che vi fa resistere è la speranza. Per questo si chiamano “viaggi della speranza”. Quando arrivate vi prendono e vi mettono in un luogo non ben definito, vi ammassano, vi fanno domande, e vi lasciano lì senza risposte alle vostre di domande. Non vi permettono di uscire, non sapete cosa ne sarà di voi, non sapete quando vi daranno una risposta, forse tra un anno o forse tra due. Vi danno un piatto di pasta, una coperta e buonanotte ai suonatori. Ma voi non volete rimanere lì, in quel paese, quello è un punto di passaggio perché la vostra meta è un altro paese, dove ci sono i vostri parenti, i vostri amici, che possono aiutarvi, possono confortarvi, possono ospitarvi. Ma non potete raggiungerli, non vi permettono di muovervi.
E dov’è allora la libertà? Vi avevano detto che in Europa i diritti fondamentali venivano rispettati. Ma il diritto di muovervi no. Ci sono stati degli uomini che tempo fa si sono riuniti e hanno scritto delle leggi. Leggi delle frontiere, leggi delle migrazioni, leggi di denaro e di potere. Non sapete che qui in Italia c’è il complesso di inferiorità rispetto agli altri paesi della grande Europa. L’Italia deve dimostrare che non è lo scolapasta che le rimproverano di essere. E questo viene prima delle vostre vite e delle vostre speranze. Se è qui che sei arrivato, è qui che devi rimanere. Ti costringono con le botte a farti prendere le impronte digitali. Mandano gli agenti in tenuta antisommossa, mandano un esercito di poliziotti, carabinieri, guardia di finanza. Dovete avere paura. Non basta la paura che avete dentro, che vi portate da dove scappate, la paura di morte. Dovete tremare. Abbiamo prefetti che per voi si danno da fare, fanno di tutto per far rispettare la legge transoceanica, la legge dei forti, la legge dei saggi che in giacca e cravatta e con i loro stipendi stellari siedono con i loro composti fondoschiena su comode sedie di pelle. E voi aspettate, aspettate che qualcosa succeda, che qualche anima pia di questo paese “civile” faccia qualcosa per tirarvi fuori. Invano. Non succede niente.
Le persone sono impegnate a capire se è giusta o meno la vostra presenza, se avete intenzione di rubare loro il lavoro, il piatto di pasta, se avete intenzione di rispettare la loro religione, se volete mischiare i pidocchi ai loro figli. Sono domande di un certo spessore, sono cose importanti. Mica hanno tempo per pensare all’altra faccia della medaglia.
Mica si pongono la domanda su quanto guadagni lo Stato su ognuno dei migranti che arriva, su tutto il giro di appalti, di prevaricazioni, di fondi e soldi chiesti per darvi quel piatto di pasta al giorno. Se queste dannate leggi sono giuste o no, se si può fare qualcosa per cambiarle, queste leggi che imprigionano vite, che le fermano. Quasi quasi vi direbbero che loro al vostro posto sarebbero rimasti lì a morire sotto le bombe. Qui non c’è da mangiare per loro figurarsi per voi! In Italia, spaventati dalla povertà relativa, quella che non ci permette di pagare le bollette o di comprare lo smartphone, ci si è dimenticati di cosa sia la povertà assoluta, quella che ci fa morire.
di Sanaz Alishahi
((CTZEN)

Siria: raid aereo su Raqqa. Msf denuncia il collasso del sistema sanitario nel Paese....

In Siria, un caccia delle forze aeree lealiste ha colpito un liceo nella provincia settentrionale di Raqqa, uccidendo 13 persone, in maggioranza studenti della scuola. E' quanto ha denunciato ieri l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Intanto, a proposito della Risoluzione contro le armi chimiche approvata dal Consiglio di sicurezza, il presidente Assad, intervistato da Rainews, ha confermato la decisione di aderire all’accordo. In Siria sono al lavoro da mercoledì scorso, e ieri hanno iniziato nuovi sopralluoghi, gli esperti dell'Onu che indagano sull'uso di armi chimiche nel Paese.

Le parti in conflitto in Siria e i loro alleati collaborino per rimuovere il blocco umanitario che impedisce di portare aiuti alle persone. In una lettera aperta, Medici Senza Frontiere sollecita un rapido intervento per supplire ad un sistema sanitario ormai incapace di rispondere ai bisogni di una popolazione stremata dalla guerra e alla quale mancano ormai totalmente sia l’assistenza medica sia i farmaci essenziali. Francesca Sabatinelli ha intervistato Gabriele Eminente, direttore generale di MSF Italia:RealAudioMP3 

R. – Nonostante gli sforzi, sicuramente meritori, promossi dalle Nazioni Unite, e nonostante i risultati, inaspettati fino a qualche giorno fa, raggiunti all’interno dello stesso Consiglio di Sicurezza, comunque c’è un tema che è assente dalle decisioni recentemente prese: quello dell’assistenza umanitaria a milioni di siriani, che purtroppo continuano a subire le conseguenze della guerra.

D. – Tali richieste Medici senza Frontiere le sollecita nel contesto di ogni conflitto. Quello siriano si sta caratterizzando per qualcosa in particolare dal punto di vista umanitario?

R. – Sicuramente si sta caratterizzando per il peggioramento, che nel corso del conflitto stesso abbiamo registrato. Noi lo vediamo, perché molti degli operatori umanitari italiani sono passati su progetti siriani negli ultimi due anni, e verifichiamo che quelli che rientrano ci raccontano di una situazione che è decisamente molto peggiore rispetto a quella che c’era l’anno scorso. Uno degli elementi, forse l’elemento principale, che appunto ha portato a questo peggioramento, è il blocco di fatto posto da entrambe le parti in conflitto rispetto agli aiuti umanitari. Ed è questa la ragione per cui noi ci appelliamo alle parti in conflitto, ma ci appelliamo anche, soprattutto, in questo momento, agli Stati, ai Paesi, che li supportano rispettivamente. Quindi, da un lato, la Russia e l’Iran, per quanto riguarda il governo siriano, ma al tempo stesso, la stessa richiesta la facciamo anche a quei Paesi, come gli Stati Uniti, la Turchia, il Qatar, l’Arabia Saudita, che invece supportano in maniera più o meno diretta gruppi armati di opposizione.

D. – Voi denunciate la totale mancanza di farmaci. Quali sono le ricadute? Addirittura avete evidenziato il ricomparire di malattie ormai praticamente debellate…

R. – Esattamente. Parliamo di un Paese che, sino a due anni fa, aveva un sistema sanitario, e un livello di servizio sanitario, comparabile a quello di molti Paesi europei. Alcune malattie, pensiamo a malattie che colpiscono soprattutto l’infanzia, erano state dimenticate o comunque non erano più pericolose, perché vi era un servizio di vaccinazione attivo, con una copertura pressoché totale della popolazione. Tutto questo sistema è completamente collassato: 91 ospedali in Siria, 55 di questi oggi sono stati seriamente danneggiati o addirittura completamente distrutti. Talvolta gli ospedali stessi sono oggetto di attacchi da parte di una delle parti in conflitto. Malattie come il morbillo, che non spaventavano più nessuno qualche tempo fa, sono diventate di nuovo malattie pericolose, come accade nei Paesi più disastrati dell’Africa sub-sahariana.

D. – Il collasso del sistema sanitario colpisce ovviamente le categorie più deboli: bambini, donne in gravidanza. Oltretutto ci avvicina all’inverno. Quali le preoccupazioni?

R. – La paura vale certamente per le categorie più vulnerabili, ma in realtà vale per tutta la popolazione siriana. Se non viene rimosso il blocco umanitario, la situazione non può che peggiorare, anche a causa dell’impatto delle condizioni climatiche. E’, quindi, assolutamente urgente rimuovere questo blocco, che continua a fare vittime. Ripeto, nonostante l’importanza dei risultati diplomatici ottenuti negli ultimi giorni, è più importante e cruciale che gli stessi sforzi diplomatici siano rivolti proprio a rimuovere questo blocco e a permettere di nuovo l’arrivo di assistenza umanitaria a milioni di siriani.

D. – Medici senza Frontiere sta continuando la sua attività in Siria in mezzo a tante difficoltà. Riuscite a lavorare?

R. – Noi siamo presenti innanzitutto nel Nord del Paese con sei ospedali e due strutture ambulatoriali , quindi nell’area in qualche modo controllata da gruppi di opposizione. In queste strutture stiamo effettuando circa 100 mila visite al mese e registriamo più o meno 430 interventi chirurgici, sempre nel corso di ogni mese. Nel rispetto del nostro principio di neutralità abbiamo ovviamente fatto forti pressioni sul governo di Damasco, per potere essere presenti anche in altre aree del Paese, in particolare in quelle che invece sono controllate dal governo stesso. Questa possibilità non c’è stata data e quindi purtroppo non siamo presenti altrove, oltre che al Nord, quantomeno direttamente. Siamo invece costantemente in contatto con almeno 28 ospedali e un numero ancora maggiore, oltre 50 cliniche, che invece sono nel resto del Paese, che seguiamo da fuori, per quanto c’è possibile, per supportarli. Questa è la nostra presenza. In questo momento la Siria è uno dei contesti per noi più importanti e più impegnativi, ma è soprattutto importante che organizzazioni come la nostra, così come la Croce Rossa internazionale, le Nazioni Unite, vengano messe nelle condizioni di fare il lavoro, cosa che in questo momento non è garantita.

del sito Radio Vaticana 

Siria: l’intervista di Rainews24 a Bashar al-Assad - (VIDEO)

Il direttore di Rainews24 Monica Maggioni ha intervistato il presidente siriano Bashar al-Assad: è la prima intervista del presidente siriano dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu sulle armi chimiche della Siria.
''Risolvere e superare le differenze sul programma nucleare dell'Iran è possibile” spiega Assad ai microfoni Rai e continua: "Non si tratta della risoluzione Onu, ma della nostra volontà di eliminare le armi chimiche. Abbiamo aderito all'accordo internazionale contro le armi chimiche prima della risoluzione".
"Impossibile che siano state usate armi chimiche senza il mio permesso", precisa poi il presidente.
Assad non ha intenzione di lasciare la guida del Paese: "Se abbandonare il mio incarico migliorasse la situazione me ne andrei, ma devo restare al mio posto". E sul termine del suo mandato alla fine del 2014 spiega che deciderà solo all’avvento delle elezioni se ricandidarsi o meno per "costruire una Siria di gran lunga migliore".

Rifugiati siriani: cinque cose da fare subito per loro...

Oggi s’incontrano a Ginevra i rappresentanti di vari governi, in occasione della riunione annuale delcomitato esecutivo dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. All’ordine del giorno, i rifugiati siriani.
La repressione e il successivo conflitto armato hanno costretto un terzo della popolazione della Siria a lasciare casa4,25 milioni di persone sono ancora intrappolate nel paese, mentre due milioni hanno trovato rifugio nei paesi confinanti, in crescenti condizioni di precarietà e privazione. 
Il Libano ospita attualmente 759.000 rifugiati siriani, un numero pari a un sesto della popolazione libanese. La Giordania, uno dei paesi più a corto di riserve idriche, ne accoglie 525.000, un dodicesimo della sua stessa popolazione.
Le Nazioni Unite stimano che per la fine dell’anno i siriani bisognosi di assistenza umanitaria saranno10 milioni, la metà della popolazione del paese. Dei cinque miliardi di dollari sollecitati dall’appello umanitario dell’Onu ne sono arrivati meno della metà. Una spietata infografica delGuardian dimostra il rapporto tra gli aiuti donati e il prodotto interno lordo di una serie di paesi.
Per alleviare la sofferenza dei rifugiati siriani, ci sono cinque cose che secondo Amnesty International potrebbero e dovrebbero essere fatte subito. 
1. Le frontiere devono rimanere aperte per tutti coloro che fuggono dal conflitto. I paesi confinanti con la Siria hanno accolto un numero molto ampio di rifugiati ma ci sono state alcune rilevanti eccezioni. La Giordania, ad esempio, non fa entrare i rifugiati palestinesi residenti in Siria da decenni. L’Egitto ha recentemente respinto o espulso centinaia di siriani.
2. La comunità internazionale (soprattutto i paesi dell’Unione europea, quelli del Golfo, la Russia, la Cina, l’India, gli Usa e tutti gli altri che hanno i mezzi economici) devono finanziare la parte mancante dell’appello umanitario dell’Onu. L’assistenza umanitaria dev’essere costante e non a singhiozzo e dev’esserci un impegno, da parte di singoli paesi e di raggruppamenti come il G20, a finanziarla in modo regolare.
3. Chiunque fugga dalla Siria dev’essere considerato meritevole di protezione internazionale. La grande maggioranza delle persone in fuga dalla Siria, compresi i palestinesi, hanno con ogni probabilità tutti i requisiti necessari per essere riconosciuti come rifugiati. Dovrebbero poteraccedere alla protezione e ai benefici previsti per i rifugiati, non dovrebbero essere esclusi dal ricongiungimento familiare e dovrebbero poter ricevere permessi di soggiorno a lunga scadenza. 
4. I rifugiati provenienti dalla Siria, come tutti i rifugiati, non dovrebbero finire nei centri di detenzione per migranti, una prassi diffusa quanto illegale che è stata applicata di recente nei loro confronti da vari paesi tra cui Bulgaria, Egitto e Grecia.
5. I paesi europei, in cui attualmente si reinsedia un numero relativamente piccolo di siriani, dovrebbero portare i rifugiati fuori dal Medio Oriente, proponendo loro il reinsediamento o mettendo a loro disposizione altri programmi di ammissione umanitaria. ..
(Il Fatto Quotidiano))

sabato 28 settembre 2013

Il punto più basso della diplomazia La risoluzione dell’Onu sulla Siria non prevede conseguenze se disattesa...

Non fosse che siamo storditi dal cinico realismo che arriva dalle stanze della Casa Bianca, il cuore ci si stringerebbe a vedere Samantha Power, ambasciatrice americana all’Onu, che festeggia un accordo con i russi per la risoluzione sulle armi chimiche siriane (i russi non riconoscono le prove dell’Onu, e ieri ne sono arrivate di nuove, di altri attacchi, e le violenze continuano in Siria). Lei sa che è un bluff, che Bashar el Assad è e rimarrà impunito, che una risoluzione che non prevede conseguenze in caso sia violata è una risoluzione senza potere, che come scrive il Monde s’è fatto come volevano i russi....
(Il Foglio.it)

Al Qaeda sbarca su Twitter: 1.532 followers Con l'account @shomokhalislam cinguetta sui ribelli in Siria....

Per mettere ordine nel massacro siriano, l'Onu ha approvato una risoluzione storica e al Qaeda ha deciso di sbarcare su Twitter.
Dal 28 settembre, i terroristi hanno iniziato a cinguettare su Twitter: il gruppo terroristico al Qaeda ha aperto questa settimana il suo primo account sul sito di microblogging, e per esperti e funzionari statunitensi si tratta di un tentativo di risolvere la spaccatura avvenuta tra i ribelli in Siria. Nel suo primo giorno sul social network l'account @shomokhalislam ha postato 29 messaggi e attirato 1.532 followers. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, si tratta di un account semi-ufficiale e fa riferimento al sito internet Shamukh al Islam, utilizzato dai membri di al Qaeda per comunicare e fare propaganda.
LE DIVISIONI TRA RIBELLI IN SIRIA. I primi cinguettii, in arabo, sono tutti concentrati sulla spaccatura delle frange più estremiste dei ribelli in Siria - al Nusra e lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Gli analisti lo ritengono un altro indicatore che i gruppi terroristici stanno intensificando sempre più l'uso dei social media. «Il ricorso a Facebook e Twitter è sempre più comune tra i gruppi terroristici», ha detto l'esperto Patrick Poole, «non solo a fini di propaganda, ma anche per il reclutamento di nuove leve».
Sabato, 28 Settembre 2013
(Lettera 43)

Obama-Rouhani...un dialogo tattico...

L’inatteso colloquio telefonico tra Barack Obama e il presidente iraniano Hassan Rouhani, in partenza per Teheran appena lasciato il Palazzo di Vetro dell’Onu di Nuova York, resta motivo di analisi e interpretazioni le più disparate nelle cancellerie di mezzo mondo.
Se da una parte è evidente la positività di uno scambio di idee tra le leadership degli Usa e dell’Iran, dopo trent’anni di silenzio, dall’altra resta il sospetto che il virtuale ammorbidimento dei toni di Washington possa nascondere una volontà di allentare – se non dividere – il fronte avversario nel Vicino Oriente oggi saldamente su posizioni di difesa (in Iran, appunto, come in Libano e in Siria, con il sostegno della Russia e degli altri Paesi emergenti del cartello BRIC).
Venerdì pomeriggio, dalla Casa Bianca, comunque, lo stesso Obama aveva definito l’approccio con Rouhani come un’apertura alla discussione sugli “sforzi in atto per trovare un’intesa sul programma nucleare iraniano”, da lasciare poi alla responsabilità dei rispettivi capi delle due diplomazie, per gli Usa il segretario di Stato John Kerry.
Come è noto l’Iran sta sviluppando – ora autonomamente con la costruzione di centrali nucleari per uso civile, una programmazione tecnologica che risale fin ai tempi dell’antica joint-venture con Italia e Francia, la produzione di energia elettrica. Programma questo contestato dalle potenze nucleari occidentali – dagli Usa all’Uk alla Francia postgollista – come foriero di possibile produzione anche di armamenti nucleari. Una motivazione pretestuosa (non di certo utilizzata dall’Occidente per bloccare gli armamenti atomici di Israele, o Pakistan o India) servita per imporre un forte embargo economico e  commerciale all’Iran.
Dopo il disgelo di questo venerdì, lo stesso presidente iraniano Rouhani, comunque, ha dichiarato di essere ottimista in una “soluzione del contenzioso”, ipotizzando un fruttuoso evolversi del negoziato già fin dalla prossima riunione dei “P5+1”.
Non a caso, però, questa apertura di credito verso l’Iran è stata accompagnata da un esplicito riferimento di Obama non solo alla possibilità dello sviluppo delle relazioni con l’Iran, ma anche al “progresso” da compiere nelle valutazioni “di altre situazione come la Siria”.
(Rinascita)

Storie di violenza nei campi Profughi...

                                          Zaatari refugee camp

Questa mattina una tragica storia nel campo profughi di Zaatari in Girodania..La storia di uno stupro di gruppo che ha avuto luogo nel campo...La vittima: una ragazza di 14 anni..Poche notizie sono state rilasciate, Tre uomini sospettati...uno di loro e' stato arrestato...La ragazza è stata trasferita al Dipartimento della Protezione Famiglia in Giordania, dove vengono esaminate le sue condizioni fisiche e psicologiche...Questo porta il numero di aggressioni sessuali registrati a 10 dall'inizio dell'anno....

La primavera araba «inquinata» da interessi esterni...

Il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal fa il punto sulla difficile situazione dei cristiani in Medio Oriente. «In Siria la comunità è distrutta. E nessuno parla più del conflitto tra israeliani e palestinesi ma siamo in condizioni drammatiche»...


Reduce dalla 50ª assemblea dei vescovi latini delle regioni arabe, il patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, secondo arabo dopo mons. Sabbah, fa il punto sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, sui rapporti con Israele, sulla guerra in Siria. A cominciare dalla delusione causata dalla piega presa dalla cosiddetta Primavera araba: «All’inizio sembrava tutto bello – ammette il patriarca – non c’era alcuna voce antimperialista. Si chiedevano dignità, lavoro, libertà per le persone. Le stesse cose che abbiamo chiesto noi vescovi nel Sinodo: in fondo, il primo grido di “primavera araba” è venuto da noi, per questo aveva tutto il nostro appoggio. Poi sono prevalsi interessi politici e commerciali che vengono da fuori». Con l’impronta dei Fratelli Musulmani. «In Giordania (il Patriarcato ha competenza anche su quel Paese, ndc) tutte le manifestazioni sono state organizzate dai Fratelli Musulmani ma il governo, con lungimiranza, non si è opposto, non ha mostrato i muscoli, anzi, li ha accompagnati. In breve si sono calmati e ora la situazione è sotto controllo. In Siria è andata diversamente. Assad ha usato il pugno duro e ora per gli estremisti è l’occasione di vendicarsi. I giornali giordani riportano i festeggiamenti dei salafiti nei locali pubblici di Amman per la morte dei loro come martiri a Damasco». I cristiani sono accusati di sostenere il regime di Damasco. «In realtà i cristiani in Siria sono erano una minoranza ben vista e protetta, anche perché non rappresentavano un pericolo per il regime». E ora? «Ora sono bravi se riescono a proteggere le loro famiglie. Non esiste più un “pubblico” cristiano, una comunità cristiana. Sono dispersi, uccisi, distrutti, come il resto della popolazione». Molti cercano scampo all’estero. «In Giordania c’è mezzo milioni di rifugiati siriani ma ci sono anche 700.000 egiziani e la situazione dei profughi è insostenibile, ancor di più per i cristiani. Due mesi fa è venuta da me una giovane signora, architetto, il marito ingegnere, a chiedermi piangendo di fare qualsiasi lavoro pur di non restare nei campi. La Caritas giordana sta facendo un lavoro meraviglioso con tanti giovani volontari. Non possiamo essere indifferenti a questo conflitto». Ma non si può neppure accettare un regime sanguinario come quello di Assad. «La situazione precedente ha avuto la benedizione dell’Occidente per 45 anni. È un dittatore, certo. Ma chi offre la garanzia che quello che verrà dopo sarà meglio? Chi può dire dove sta il male e dove sta il bene? Si parla di diritti umani, ora siamo giunti al paradosso che l’Arabia dà lezioni... Perché non hanno cominciato da lì? Perché c’è tanto zelo per la Siria e si dimentica completamente il conflitto israelo-palestinese? La nostra situazione è peggiorata ma nessuno osa dire che quella di Israele è un’occupazione militare». E la Chiesa cosa fa di fronte a questa situazione? «Diamo la priorità all’educazione. Il Patriarcato ha 119 scuole, con 75.000 alunni. In Galilea studiano insieme cristiani, israeliani e musulmani; in Giordania cristiani e musulmani. Penso che quando i bambini giocano a calcio insieme è il miglior dialogo possibile. Da tre anni, poi, su impulso di Benedetto XVI c’è un’università in Giordania con 1150 studenti. Quella Cattolica di Betlemme, infatti, è sotto il controllo di Israele e dai Paesi vicini non tutti possono accedervi. Oltre a questo penso alla grande veglia per la pace, a Gerusalemme abbiamo pregato tutti insieme. C’è un prima e un dopo quella giornata: prima si discuteva solo su che tipo di guerra si dovesse fare in Siria, dopo quale soluzione diplomatica fosse possibile. È stato un miracolo, grazie al nostro “esercito di fedeli”. Ciò non toglie che abbiamo paura. Gas o non gas, la guerra è guerra. La situazione è complessa. L’Occidente è deluso da un’opposizione al regime divisa che in due anni non ha ottenuto risultati. Per questo gli americani volevano intervenire per dare il colpo finale al regime. Ma anche la Russia ha i suoi interessi, perché in Siria ha l’unico sbocco sul Mediterraneo». Anche in Israele e in Palestina, però, la situazione dei cristiani non è rosea. «Come dicevo, c’è una situazione di occupazione militare. Dipendiamo da Israele per le minime cose, dall’acqua alla luce, dobbiamo chiedere permessi per le incombenze della vita di ogni giorno». Però Israele è una democrazia. «Vi sembra democratico che un cristiano di Gerusalemme che sposa una ragazza giordana o dei Territori debba lasciare la sua casa e andare altrove? Oppure che un musulmano che ha meno di 50 anni, 40 per le donne, non possa andare a pregare in una moschea? I cristiani possono arrivare dal Giappone a pregare al S. Sepolcro ma non possono farlo dal Libano o dalla Giordania. A Gaza qualche anno fa c’erano 4000 cristiani. Ora sono 1333. Vivono in una prigione a cielo aperto, e in più sono sotto la minaccia dei terroristi di Hamas. Se uno ottiene il permesso, per Natale o Pasqua, di andare a Gerusalemme non torna nella Striscia, se ne ha la possibilità. Noi cristiani siamo pochi ma abbiamo la voce per gridare. Lo scorso anno abbiamo subito 20 atti vandalici, 12 di estremisti ebrei e 8 di islamisti. Siamo la Chiesa del Calvario ma non dimentichiamo che siamo anche la Chiesa della Resurrezione, della speranza». Nessuna possibilità di dialogo? «In Medio Oriente non si può mai separare la politica dalla religione. L’unica strada è il bene che facciamo concretamente». Anche se la costruzione dei muri, come quella di nuovi insediamenti coloniali, non aiuta. «Con i muri c’è più sfiducia, più odio. I muri, prima di essere costruiti, sono nel cuore degli uomini. Significano che non si vuole sapere niente dell’ altro. Separano famiglie, fedeli, parrocchie. A Natale e Pasqua Israele concede il permesso a 10-15 cristiani di Gerusalemme di spostarsi per pregare. Quasi tutti vanno a trovare una zia, un nipote, una nonna oppure vanno a fare acquisti nei supermercati israeliani, nell’unica occasione che hanno. Pochi vengono da me, ma lo capisco! Però contiamo su una solidarietà mondiale, sulla preghiera di tanti amici e pellegrini. Posso davvero dire che non ci sentiamo soli».
Andrea Acali
(Il Tempo.it)

Siria: schiava sesso tunisina, "ho sposato 152 jihadisti" L'ultimo è stato passato per le armi dai miliziani di al Nusra...

(ANSAmed) - TUNISI, 27 SET - Ha ventuno anni e da quando ne aveva 17 porta il velo. Era una studentessa di Storia all'università di La Manouba prima di sentire il richiamo della religione e di partire per la Siria, convinta dal giovane che aveva sposato con un matrimonio ''orfi'' (di fatto vietato perchè privo di ogni valore di ufficialità) e che, arrivati a destinazione, l'ha abbandonata perchè il suo compito di passeur era finito. Per lei, che ha raccontato la sua storia al settimanale tunisino al Mijhar, è cominciata un'odissea che si sintetizza in un solo numero: 152, quanti sono stati i combattenti che, con la formula del 'jihad al nikah', ha sposato, anche solo per poche ore.

Il racconto della ragazza, che è tornata in agosto dalla Siria dopo un anno, in stato interessante di sei mesi, ha come conclusione la morte del suo ultimo ''sposo'', un ragazzo, tunisino come lei, passato per le armi dai miliziani di al Nusra, la stessa sorte di tanti suoi connazionali verso i quali gli appartenenti alla fanatica formazione armata nutrono da sempre sospetti, frammisti a disprezzo, tanto da utilizzarli come carne da cannone se c'è da andare all'attacco delle postazioni lealiste.

La giovane ha raccontato che lei, come le altre 'schiave del sesso' venute dalla Tunisia, doveva avere rapporti con almeno cinque miliziani alla settimana, con le quali si uniscono con il 'jihad el nikah', pensando in questo modo di spianarsi la strada verso il paradiso. La ragazza ha anche riferito che molte delle sue 'consorelle' soffrono di malattie veneree, che non riescono a curare per l'assenza dei necessari farmaci nelle zone di guerra....

Siria: attivisti, 15mila civili rischiano morire di fame vicino Damasco...

Beirut, 28 set. - (Adnkronos/Aki) - Migliaia di civili, almeno 15mila, rischiano di morire di fame a causa dell'assedio posto dalle forze del regime siriano nella Ghouta, il sobborgo orientale di Damasco dove lo scorso 21 agosto un attacco con armi chimiche ha provocato oltre mille morti. E' quanto denunciano gli attivisti dei Comitati di coordinamento locale, un gruppo di opposizione interno al regime di Bashar al-Assad, secondo cui da tre mesi i lealisti bloccano l'ingresso nella Ghouta di generi alimentari di prima necessita'....

ONU: Votata a unanimità la distruzione dell’arsenale chimico siriano....

L’approvazione unanime della risoluzione per l’immediata distruzione dell’arsenale chimico del regime del presidente siriano Bashar al-Assad, ha deciso oggi all’alba  a New York, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il voto positivo del Consiglio di Sicurezza viene visto come un importante successo diplomatico internazionale, in quanto è la prima risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza dall’inizio del conflitto in Siria nel lontano marzo 2011.
Il voto di oggi farà in modo che la distruzione dell’arsenale chimico siriano si terrà presto e con assoluta trasparenza“, ha detto dopo l’esito del voto, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon. Egli ha osservato che questa è la prima notizia promettente sulla questione siriana da qualche tempo.
La Casa Bianca ha dichiarato come “vittoria” la risoluzione, e ora non rimane altro che far tornare, si spera entro la prossima settimana, gli ispettori in Siria, onde registrare e iniziare la distruzione immediata dei prodotti chimici.
Naturalmente, come si è saputo prima del voto, se il regime di Assad non onora i suoi impegni, ci saranno delle serie conseguenze....
(Inpolis)

venerdì 27 settembre 2013

Siria: salito a 60 morti bilancio esplosione autobomba in sobborgo Damasco...

Damasco, 27 set. - (Adnkronos/Aki) - E' salito ad almeno 60 morti il bilancio delle vittime dell'esplosione di un'autobomba nei pressi di una moschea a Rankous, sobborgo occidentale di Damasco. Lo riferiscono gli attivisti del Comitato generale della rivoluzione siriana, precisando che l'esplosione si e' verificata proprio mentre i fedeli stavano lasciando la moschea dopo la preghiera del venerdi'...

Siria, ora anche i ribelli temono gli jihadisti che vengono da fuori...

Il timore è che, una volta abbattuto Assad, si instauri una repubblica islamica...

Scritto da Giovanni Giacalone

Siria, in diverse zone dell’est e del nord del paese sono da giorni in atto violenti scontri che vedono contrapporsi da una parte militanti dell’Islamic State of Iraq (ISI), di Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham e dall’altra l’Esercito Libero Siriano (ELS) guidato da Salim Idriss. Secondo fonti del Dipartimento di Stato americano si tratterebbe degli scontri più violenti mai visti tra le due fazioni e sembrerebbe quasi che i jihadisti stiano ora facendo il lavoro del regime, attaccando sistematicamente le milizie dell’ELS.
Il fronte anti-Assad diviso. È di martedì la notizia che i gruppi jihadisti hanno rifiutato di riconoscere la Coalizione Nazionale Siriana e il governo guidato da Ahmad Tomeh. I firmatari della dichiarazione sono Jabhat al-Nusra, Isi, Liwa al-Tawhid, Ahrar al-Sham e alcuni membri dell’ELS. In poche parole un caos totale nel quale i ribelli siriani dell’ELS si trovano ora a fronteggiare i loro ex alleati jihadisti e nel contempo entrambi gli schieramenti combattono contro l’esercito regolare di Assad e le milizie lealiste.
Il timore di una svolta islamista. Girano inoltre voci che riferiscono di gruppi di ribelli che si sarebbero riallineati con le truppe di Assad nel timore che, in caso di una caduta del regime, i jihadisti dell’ISI possano prendere le redini del paese e imporre uno stato islamico basato sull’ideologia radicale di stampo salafita. Questi timori non sono infondati visto e considerato che l’ELS risulta notevolmente indebolito e spaccato internamente; un ELS da sempre militarmente inferiore rispetto ad al-Nusra e Isi, meglio addestrate, equipaggiate e con sostanziali finanziamenti dall’estero.
L’errore: aprire agli jihadisti. Probabilmente l’errore della resistenza siriana è stato proprio questo, il fare affidamento su fazioni jihadiste sicuramente più forti ed esperte, ma in gran parte composte da miliziani stranieri, che hanno sì l’obiettivo far cadere il regime di Assad ma con lo scopo di imporre un’ideologia radicale ben lontana dal contesto sociale, culturale e religioso siriano che da sempre si basa sulla reciprocità e la tolleranza. I gruppi qaedisti sono pronti a trasformare la Siria in una nuova Somalia e a mettere in atto una guerriglia nei confronti dei loro oppositori, che si tratti di laici, cristiani, alawiti, curdi o sunniti che non condividono la loro ideologia ed è per questo che rifiutano qualunque tipo di soluzione politica; o stato islamico o guerra. È evidente nella dichiarazione dove fanno appello all’applicazione della legge islamica, unica fonte legislativa e priorità assoluta della rivoluzione a discapito degli interessi particolari dei vari gruppi.
I ribelli siriani erano ben consapevoli del fatto che prima o poi non soltanto le differenze ideologiche ma anche i diversi obiettivi avrebbero portato a uno scontro interno che avrebbe messo in serio pericolo la riuscita della rivoluzione stessa. Un “fine che giustifica i mezzi” che, in questo caso, sta compromettendo il fine stesso.
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