sabato 30 novembre 2013

Partita la campagna...Break siege – Rompete l’assedio sulle città siriane...


by 

L’assedio in Siria – Parte la campagna mondiale per chiederne l’immediata rottura
Vi segnalo la pagina:
https://www.facebook.com/BreakSiegeSyria che racconta la drammatica situazione in cui sono costretti oltre 1 milione e mezzo di civili, di cui oltre la metà bambini. Le zone assediate sono: la città vecchia di Homs, la località orientale di Al Ghouta, Daraiya, Al Moaddamieh, la periferia meridionale e quella orientale di Damasco.
Rapporto dal quartiere Al Qadam, periferia meridionale di Damasco, sotto assedio da 305 giorni; è iniziato il 2 gennaio del 2013.
  • Numero degli abitanti del quartiere: 40 mila;
  • Numero delle famiglie presenti nella zona assediata: 350; prima dell’inizio dell’assedio erano 3500;
  • La zona è sotto assedio da circa 10 mesi; negli ultimi 3 mesi, inoltre, l’assedio è diventato ancora più pesante, con l’assoluto impedimento dell’ingresso nella zona di viveri e medicinali;
  • Nella zona mancano generi di prima necessità come: farina, riso, zucchero, latte per bambini, medicinali;
  • Nella zona manca la corrente elettrica, l’acqua corrente e il combustibile per il riscaldamento;
  • La mancanza di medicinali nella zona costituisce un’emergenza: a causa della mancanza di medicinali, di antivirali e di personale medico qualificato spesso si è costretti a ricorrere all’amputazione degli arti;
  • Nel quartiere di registra almeno un caso di decesso per mancanza di cure.
E’ stata parzialmente distrutta una scuola e ne sono state distrutte completamente  altre due; è stato raso al suolo il locale ambulatorio e attualmente non sono in funzione né ospedali, né farmacie. La corrente elettrica manca dal 1 novembre 2012; non si hanno dati dettagliati sul numero di donne e bambini e sulla loro età. Gli sfollati da questa zona sono oltre 500 mila; i feriti in pericolo di vita attualmente sono circa cinquanta.

ACNUR: rapporto sulle migliaia di minori siriani rifugiati, una generazione perduta...



Non sono soltanto quelle uccise dalle armi da fuoco le vittime della guerra in Siria. Centinaia di migliaia di bambini non vanno a scuola, migliaia sono senza genitori e sono abbandonati a sé stessi. È il drammatico scenario sui bambini siriani rifugiati in Libano e Giordania tracciato da un rapporto diffuso dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati. Lo spaccato di una generazione perduta che sembra non avere un futuro già a pochi anni di età.

Forse in modo un po’ brutale il responsabile dell’Acnur dice: “Per capire l’ampiezza del disastro dei profughi siriani in Libano provate a rapportare la cifra rispetto a un paese come la Germania. Se le percentuali fosse rispettate avremmo 18 milioni di rifugiati in quel caso. Se si trattasse degli Stati Uniti i rifugiati sarebbero 56 milioni. C‘è bisogno di aiuto per la popolazione libanese e i profughi siriani”.

Solo il 20% dei bambini siriani rifugiati è scolarizzato o almeno frequenta qualcosa che somiglia a una scuola. Il resto sono migliaia di piccoli che non hanno futuro, alla mercé di chiunque. Come se non fossero mai esistiti...
(euronews)

venerdì 29 novembre 2013

Di bombe, di scuole e di sofferenza...(video)


by 

La scuola è il luogo dove ci si forma alla vita, dove ci si istruisce, ci impara a convivere con le diversità, uscendo dal nido protettivo della famiglia. La scuola è la cornice dove prendono corpo i sogni, dove si comincia a sognare, a pensare a cosa si farà da grandi… ma non in Siria, nella Siria martoriata da 33 mesi di violenze. 
Per il terzo anno consecutivo la maggior parte delle scuole in Siria sono chiuse. Eppure su questi luoghi, che rappresentano il futuro di ogni nazione, continuano a piovere bombe. Le immagini che giungono oggi dalla località di Qalet Alhosn mostrano i danni e le conseguenze dei ripetuti bombardamenti su una scuola della città. Ordigni piovuti dall’alto, altri gettati di lato; una violenza inaudita e vergognosa che mina alle basi lo sviluppo e la crescita di un’intera generazione.

Altra scuola, scenario altrettanto desolante: le immagino giungono da AlRastan e ritraggono due bambini all’interno di una scuola ridotta in macerie, che sono intenti a cercare carta. Quella carta, spiegano, serve loro per accendere il fuoco e scaldarsi; gli alberi della zona sono già stati tagliati tutti, i mobili bruciati e, in mancanza di gas ed energia elettrica, non rimane che tentare di scaldarsi accendendo quaderni, fogli da disegno, libri. 
Lo sguardo mortificato di questi bambini, che tornano nella loro scuola ma non per studiare, bensì per cercare qualcosa con cui alleviare il proprio patimento, dovrebbero scuotere le coscienze degli adulti che stanno permettendo il protrarsi di un simile scempio. Che donne e che uomini saranno, se sopravviveranno, i bambini che oggi in Siria soffrono per la fame, il freddo e le privazioni, che crescono tra le macerie e convivono con le bombe?


La preghiera di un bambino di Arrastan: bashar abbia pietà di noi...(video)


by 

29 novembre 2013  - Arrastan, provincia di Homs
Citizen reporter: “Che messaggio vorresti mandare a bashar al assad?”
Bambino: “Vorrei dirgli solo una cosa: abbi misericordia di noi. Vogliamo che ci lasci in pace, che smetta di colpirci con i suoi ordigni. Vorrei che ripristinasse il funzionamento dell’acqua, del gas, vorremmo avere cibo; l’energia elettrica… va bene, possiamo anche farne a meno. Ogni giorno ci sono almeno due o tre martiri nel quartiere; ieri sono stati cinque o sei. Io sono stato ferito cinque giorni fa”.
Quello nelle immagini è un bambino siriano sui dieci anni, che ha un tono di voce, una pacatezza e un pensiero da adulto, da persona vissuta, matura. La sua infanzia è stata violata dalle incessanti violenze, da quei bombardamenti che lui stesso descrive come incessanti; eppure la sua innocenza, la grazia del suo essere bambino sembra vincere anche sull’orrore, tanto da spingerlo a rivolgersi al suo carnefice chiedendo Misericordia.
Una parola che fa tremare il mondo, talmente impegnativa da venire sempre più spesso censurata.
Misericordia per i bambini siriani, per quelli che stanno lottando con ogni forza per sopravvivere agli orrori e agli stenti, che stanno affrontando il terzo inverno consecutivo al freddo, senza riscaldamento, né scuola, né nutrimento adeguato.
Misericordia per i bambini siriani.

L’allarme dell’Onu sulla Siria: «La metà dei profughi sono bambini»...


Circa 70mila famiglie vivono senza padre e oltre 3.700 minori senza genitori debbano lavorare in nero pur essendo giovanissimi. La maggior parte dei 680 bazar del campo profughi di Zaatari, in Giordania, impiega piccoli tutto fare
I rifugiati siriani sono una marea che monta trascinandosi dietro il passato ma anche il futuro del paese dilaniato dalla guerra civile. Almeno la metà di loro sono bambini, denuncia oggi il rapporto dell’agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR) «Il futuro della Siria - Bambini rifugiati in crisi». Vale a dire che su 2,2 milioni ufficialmente riparati in Giordania, Libano, Turchia, Egitto o dovunque sia possibile arrivare, ce ne sono 1,1 milioni minori di 18 anni (il 75% di loro ha addirittura meno di 12 anni).  

L’allarme dell’UNHCR si aggiunge alla richiesta d’aiuto delle organizzazioni non governative presenti sul territorio che fronteggiano, sole, un’emergenza senza pari. Ma delinea anche la graduale abitudine all’annichilimento di un popolo costretto a mandare suoi figli di 7 anni a lavorare nei campi, nelle fattorie, nei negozi, piccoli “danni collaterali” del conflitto che invece di sedere sui banchi di scuola provvedono ai bisogni economici degli adulti sgobbando per pochi dollari al giorno. 

I ricercatori dell’Onu stimano che circa 70mila famiglie vivano senza padre e oltre 3.700 minori senza genitori debbano lavorare in nero pur essendo giovanissimi. La maggior parte dei 680 bazar del campo profughi di Zaatari, in Giordania, impiega piccoli tutto fare. 

«Se non agiremo rapidamente una generazione di innocenti diventerà la vittima di lungo periodo di questa orribile guerra» dichiara l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati Antonio Guterres. «Il mondo deve agire per salvare una generazione dalla catastrofe» incalza l’inviata speciale dell’UNHCR Angelina Jolie. L’impegno della comunità internazionale per la distruzione dell’arsenale chimico di Damasco non ha impedito che in Siria si continuasse a raccogliere i pochi vestiti per scappare e a morire (al ritmo di 100 persone al giorno). 

Mentre in Siria infuria la battaglia che ha già ucciso 130 mila persone tra cui 11 mila bambini, fuori dalla Siria si muore in vita. Le condizioni dei profughi, molti dei quali provenienti dalla media borghesia e precipitati nell’inferno del nulla quotidiano, sono prostranti, isolamento, esclusione, lotta senza quartiere per la sopravvivenza, garage in affitto divisi da tre o quattro famiglie. Se una generazione è stata cancellata dalla guerra, iniziata pacificamente come protesta contro il regime di Assad nel lontanissimo marzo del 2011, un’altra rischia di restare invisibile, fantasma senza riposo destinato a turbare i sonni dell’occidente troppo distante. Un’altra recente indagine dell’Onu sulla situazione in Libano rivela un calo allarmante nelle registrazioni all’anagrafe: il 77% dei 781 neonati presi in considerazione non ha certificato di nascita. ...
(La Stampa.it)

Siria, rapporto Unhcr: catastrofe per i bambini rifugiati, quasi 4 mila sono rimasti orfani...

Una tragedia umanitaria che non si ferma. E che coinvolge sempre di più i bambini. «Se non agiamo in fretta, una generazione di innocenti diventerà per sempre vittima di una guerra spaventosa», ha affermato l’Alto commissario Antonio Guterres....
FAMIGLIE DISTRUTTE - Centinaia di migliaia di bambini che non vanno a scuola, migliaia senza genitori abbandonati a se stessi, molti mandati a lavorare fino da sette anni di età. È questo il drammatico scenario sui bambini siriani rifugiati in Libano e Giordania tracciato da un rapporto diffuso dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). “Fractured Families” (famiglie distrutte), si intitola il rapporto. «Il mondo deve agire per salvare una generazione dalla catastrofe», ha detto l’attrice Angelina Jolie, inviata speciale dell’Unhcr.
CONFINI - In oltre 70.000 famiglie di rifugiati, sottolinea il rapporto, non c’è il padre e più di 3.700 bambini sono senza genitori. Oltre la metà non va a scuola e molti sono costretti a lavorare. Sia in Libano sia in Giordania sono stati riscontrati casi di bambini costretti a lavorare fin dall’età di 7 anni, anche «per molte ore e con una paga bassa, a volte in condizioni di pericolo o sfruttamento». Ad esempio, la maggior parte dei 680 piccoli negozi nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, impiega bambini. La ricerca dell’Unhcr denuncia «una vita dolorosa di isolamento, esclusione e insicurezza per molti bambini rifugiati». Tra gli intervistati, il 29 per cento ha detto di uscire di casa al massimo una volta alla settimana, «quando per casa si intende un appartamento stipato di gente, un rifugio provvisorio o una tenda». E’ emergenza anche al confine con la Turchia dovenel solo campo di Bab al Salam sono 3.000 i bambini profughi. E non solo. Al confine molti di loro non vengono nemmeno registrati, rischiano di sparire e di essere alla mercè di chiunque. Ribelli e al qaedisti compresi. Secondo le Nazioni Unite non sono rari infatti i casi di bambini reclutati come soldati...
(Corriere della Sera.it)



L’ONU sollecita aiuti per la “generazione persa” dei bambini siriani...


La storia recente della Siria si sta scrivendo con il sangue. Il conflitto iniziato nel marzo del 2011 ha generato la morte di oltre 120 000 persone. Un dato sconcertante, destabilizzante e difficilmente concepibile. A farne le spese in maniera brutale sono i bambini siriani, una generazione persa, innocente e priva di educazione scolastica, risucchiata da una guerra atroce. L’ONU non ci sta e stimola i paesi vicini alla Siria ad agire....
Rappresentano la metà dei 2,2 milioni di rifugiati siriani registrati nella regione: una generazione intera di bambini siriani traumatizzati, isolati e privati dell’educazione. “Se non facciamo qualcosa rapidamente, una generazione di innocenti sarà sacrificata a causa di questa guerra spaventosa”, ha dichiarato un allarmato commissario delle Nazioni Unite per i rifugiatiAntonio Guterres, nella presentazione, venerdì 29 novembre, del primo studio approfondito del HCR sui bambini siriani dall’inizio del conflitto.
Secondo il rapporto, circa 294 300 bambini siriani hanno trovato rifugio in Turchia, 385 000 in Libano, 291 200 in Giordania, 77 120 in Iraq, 5 150 in Egitto e più di 7 600 inAfrica del Nord. Più di 3 700 di loro non sono accompagnati o separati dai loro genitori. Inoltre, più di 70 000 famiglie siriane sono rifugiate e vivono senza il padre.
Gli autori di questa ricerca, che hanno potuto intervistare solo bambini in Giordania e in Libano, indicano di aver ricevuto delle informazioni su giovani ragazzi formati per la guerra in vista di un probabile ritorno in Siria. Inoltre, hanno costatato che numerose famiglie rifugiate senza risorse finanziarie inviano i loro bambini a lavorare per assicurarsi qualche entrata economica per quanto minima.
In Giordania e in Libano, i ricercatori hanno riscontrato che dei bambini, alcuni di soli sette anni, lavorano lunghe ore per uno stipendio da fame, a volte in condizioni pericolose. Così, nel campo giordano di Zaatari, la maggior parte dei 680 commercianti sfruttano bambini.
Di colpo, una maggioranza di bambini siriani rifugiati non vanno a scuola. In Giordania, sono più della metà i bambini siriani che sono privi di educazione scolastica mentre in Libano sono circa 200 000 bambini.
Altro sintomo inquietante: il grande numero di bambini nati in esilio senza certificato di nascita, un documento essenziale per prevenire l’apolidia.
Dopo quasi mille giorni di un conflitto che ha generato più 120 000 morti l’HCR chiama la comunità internazionale a sostenere i paesi vicini alla Siria perché possano mantenere le loro frontiere aperte e possano migliorare i loro servizi di accoglienza. Guterres chiede dunque agli altri paesi di offrire assistenza per motivi umanitari alle famiglie dei rifugiati con bambini gravemente feriti e per coloro i quali si ritrovano in condizioni di totale incertezza.
di Manuel Giannantonio 

giovedì 28 novembre 2013

Bambini contro il Mondo....(Video riservato ad un pubblico adulto)

Guerra siria: Documentario Bambini contro il mondo di Wassim Al Khaim
Il documentario vincitore del premio della Giuria – sezione Documentario al Notorius film festival 2012 – Bambini contro il mondo di Wassim Al Khaim ci mostra la cruda realtà della guerra civile siriana, i massacri e la personalità dei bambini, parte integrante della guerra, come motivatori della ribellione e come vittime del regime.

I mass media ci mostrano di rado la realtà del popolo siriano, è importante e necessario condividere oggi la documentazione che abbiamo.

Così abbiamo indagato sulla strage dei bimbi...


di Fabrizio Gatti

“L’Espresso” pubblica questa settimana, nel numero in edicola, i risultati dell’inchiesta sulla strage dei bambini siriani, avvenuta l’11 ottobre a 60 miglia a Sud di Lampedusa.
Un’indagine nostra, giornalistica. Non della magistratura. E i risultati sono agghiaccianti: mentre dal peschereccio che stava affondando supplicavano l’aiuto dell’Italia, la nave Libra della Marina militare era a poche miglia. Ma per ore non è stata coinvolta nelle operazioni di salvataggio. L’hanno mobilitata soltanto dopo il rovesciamento dell’imbarcazione piena di famiglie e bimbi. In quelle stesse ore la Guardia costiera, che aveva ricevuto la prima richiesta di soccorso, ha passato l’intervento a Malta. Nonostante gli italiani fossero molto più vicini al punto dell’imminente naufragio. “Abbiamo rispettato gli accordi internazionali”, dicono ora dal comando di Roma delle Capitanerie di porto. Ecco come sono morte oltre 260 persone: tra i sessanta e i cento bambini, i loro genitori, ragazze e ragazzi che fuggivano dalla guerra in Siria.
Sul numero in edicola dell’Espresso c’è tutta la ricostruzione, minuto per minuto, degli eventi che hanno portato alla strage. Mentre sul nostro sito potrete trovare i documenti che confermano quanto è avvenuto, l’intervista ai testimoni e le storie dei sopravvissuti. L’abbiamo chiamata la nave dei bambini.
Il pomeriggio dell’11 ottobre ero ancora a Lampedusa, proprio davanti alle banchine del porto. Verso le 17.30 un pescatore arriva e racconta di aver sentito al telegiornale la notizia di un nuovo naufragio: “A 60 miglia a Sud di Lampedusa. In tv dicono che sono usciti i soccorsi maltesi perché Malta è più vicina”, spiega il pescatore. Non è possibile. La geografia non è un elastico. Qualunque punto a 60 miglia a Sud di Lampedusa non può essere più vicino a Malta, che sulla carta del Mediterraneo è addirittura a Nord Est. Eppure gran parte dei mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza sono ormeggiati. Alcuni sono ancora in mare, davanti a Cala Madonna, a dare assistenza ai sommozzatori che stanno recuperando gli ultimi cadaveri dei profughi eritrei naufragati il 3 ottobre. Gli altri sono in porto. Per molti equipaggi è un meritato momento di riposo. Il primo dopo otto giorni di durissimo lavoro. Ma quel punto a 60 miglia è sicuramente più vicino a Lampedusa che a Malta. Se c’è stato un altro naufragio, perché non li fanno uscire?
Ecco, la nostra inchiesta giornalistica è nata da quella domanda. Una ventina di minuti dopo partono a tutta forza due motovedette bianche e rosse della Guardia costiera. E nel giro di pochi istanti, i pattugliatori veloci della Guardia di finanza. Oggi, dalla ricostruzione che l’Espresso pubblica, sappiamo che quell’ordine agli equipaggi di Lampedusa è stato dato con un ritardo di almeno sei ore.
Sei ore fatali per 268 profughi siriani. Un bilancio ricavato attraverso un calcolo, una stima: 147 sopravvissuti portati a La Valletta, 56 a Porto Empedocle, 9 a Lampedusa. E la testimonianza dei superstiti, sia in Italia sia a Malta: “A bordo eravamo almeno 480-500 persone con 100, forse 150 bambini”. Quindi non sappiamo con precisione se i morti sono 268, 260, o 270. I trafficanti libici non compilano liste d’imbarco. Ma quel ritardo non solo ha contribuito alla morte dei profughi siriani: ha anche messo in pericolo gli stessi soccorritori costretti a spingere i motori al massimo. Planare sul mare a settanta all’ora al buio è sempre un rischio.
In quei giorni a Lampedusa e ad Agrigento arrivano i familiari dall’Europa, dal Nord America, dal Medio Oriente. Un’altra sfilata di dolore che si aggiunge ai parenti degli eritrei ancora alla ricerca dei loro cari. Ma almeno dei ragazzi, delle mamme, dei bambini fuggiti dalla dittatura di Asmara e annegati a 800 metri dagli scogli di Cala Madonna si possono contare i corpi. Dei siriani affondati in mezzo al mare no. Solo 26 cadaveri portati a terra. E gli altri dove sono finiti?
È così che decido di mettere a disposizione le pagine di questo blog perché le famiglie siriane sparse per il mondo possano consultare la lista dei dispersi. Le prime versioni sono in inglese e in italiano. Poi una ragazza che ha perso la sorella e la nipotina di 5 anni si offre per tradurre tutto l’elenco in arabo. Sono dispersi, sì: in un mare profondo novanta metri è ovviamente un eufemismo. Quella lista, quei nomi, quei sorrisi dei bambini nelle braccia delle loro mamme e dei loro papà hanno cominciato a dare un volto, una dimensione alla strage. E dai racconti dei sopravvissuti e dei familiari in cerca dei morti con la speranza di ritrovarli vivi, dalle loro telefonate, dalle loro email è risuonata sempre la stessa domanda: “Perché voi italiani non siete usciti a salvarli?”.
Il resoconto più lucido lo dà Mohanad Jammo, 40 anni, un medico che nel naufragio ha perso due bambini di 9 mesi e di 6 anni. È suo il telefono con il numero della centrale della Guardia costiera che, nonostante le suppliche, aveva deciso di non far partire i soccorsi da Lampedusa ma di passare l’intervento a Malta. Quel telefono, che il dottor Jammo si è ritrovato in tasca dopo essere stato recuperato dal mare, ha attraversato mezza Europa ed è finito in un laboratorio in Inghilterra per l’estrazione dei dati dalla memoria rovinata dal sale. Jammo non ricorda il numero chiamato. E l’inchiesta, cominciata quel pomeriggio dell’11 ottobre, è ancora lontana dalla sua conclusione.
Il lavoro prosegue tutti i giorni e molto spesso anche la notte. La versione ufficiale delle autorità fino a oggi non ha mai parlato di ritardi nei soccorsi. Ma un riscontro può essere trovato dall’analisi del traffico delle navi in transito quel pomeriggio. La mole di dati da esaminare e confrontare con le coordinate geografiche del naufragio però è sconfortante: quasi tredicimila.
Una sera arriva la telefonata di un ricercatore della Goldsmiths University of London, Charles Heller, tra i fondatori del progetto watchthemed.net. Heller ha letto l’articolo “Lasciati morire” pubblicato a inizio novembre da “l’Espresso”. Da anni, con l’aiuto di una rete di Ong, sta ricostruendo i viaggi delle barche di profughi affondate nel Mediterraneo. Memorabile e drammatica l’indagine intitolata “Left to die boat” su un’imbarcazione in difficoltà che nel 2011 le forze navali della Nato impegnate davanti alla Libia non hanno voluto soccorrere. Heller e io non ci siamo mai incontrati. Quindi non c’è molto da fidarsi di una voce al telefono che chiede di conoscere quanto dell’inchiesta non è stato ancora pubblicato. La mattina dopo un passaparola di contatti dall’Inghilterra, alla Germania, al Qatar garantisce che il numero da cui chiama è proprio il suo.
Heller conosce i codici dei sistemi di identificazione automatica di molte navi militari, che di solito non vengono pubblicati. E così, grazie al suo supporto, la ricostruzione dello scenario del traffico e dei soccorsi tra le 11 del mattino e mezzanotte dell’11 ottobre intorno al punto del naufragio è un po’ più semplice.
La scorsa settimana Charles trova in rete l’avviso ai naviganti codificato con la sigla “hydrolant 2545”: è la prima conferma del coinvolgimento della centrale operativa della Guardia costiera italiana nelle operazioni. Due giorni dopo alla redazione de “l’Espresso” arriva il resoconto che il comandante generale delle Capitanerie di porto e della Guardia costiera, Felicio Angrisano, ci ha scritto per smentire la testimonianza dei sopravvissuti.
A questo punto basta unire i dati presentati dall’ammiraglio Angrisano con quelli forniti dalla Marina militare, dai siriani portati vivi terra e con tutte le informazioni raccolte in questo mese e mezzo di indagini. Ecco così l’agghiacciante ricostruzione dei fatti, minuto per minuto. E lo scaricabarile tra Roma e Malta che ha ignorato il pericolo che i profughi stavano davvero correndo. Lo scaricabarile che ha contribuito al loro massacro....
(l'Espresso)

Libano: oltre 800mila profughi siriani vivono in baracche o all'aperto...


La guerra in Siria continua a costringere centinaia di migliaia di persone a varcare i confini con Libano, Giordania, Iraq e Turchia. Entro la fine del 2013 il numero di profughi in fuga dal conflitto potrebbe salire a oltre 3 milioni con l'avvicinarsi dell'inverno. Dal rapporto stilato in novembre dalla Catholic Near East Welfare Association (Cnewa) - ripreso dall'agenzia AsiaNews - emerge che la situazione più drammatica è quella del Libano. Secondo la Banca Mondiale, dal 2011 l'emergenza profughi è costata al governo del Libano almeno 2,6 miliardi di dollari. Oggi Najib Miqati, premier libanese, si è recato a Doha (Qatar) per discutere con le autorità e i Paesi arabi impegnati nel sostegno ai ribelli islamisti, la proposta di realizzare una zona dedicata agli sfollati all'interno del confine siriano. Tale strategia dovrebbe evitare il collasso economico e politico della società libanese, sempre più in balia degli scontri fra sunniti (pro-ribelli) e sciiti favorevoli al regime di Bashar al-Assad. Le stime Onu parlano di 812mila rifugiati in Libano, ma per il governo essi sarebbero oltre 1,3 milioni, circa un terzo della popolazione libanese (4 milioni di persone). Essi provengono soprattutto da Homs, Idlib, Damasco, Aleppo e sono sparsi in 960 campi non ufficiali tra le aree più povere e impervie del Paese. Il 53% dei rifugiati risiede nel nord del Libano, il 42% è concentrato invece nella Bekaa. Il resto dei profughi è distribuito fra Beirut (1%), la zona del Monte Libano (2 %) e il sud del Paese (2 %). Beirut ha scelto di non realizzare campi profughi nel Paese, preferendo ospitare i siriani in abitazioni private o in strutture caritatevoli. A chi è in possesso dei necessari documenti viene riconosciuto lo status di rifugiato, ma secondo le statistiche raccolte dalla Cnewa chi fugge appartiene alle fazioni ribelli ed entra in Libano come clandestino. L'associazione denuncia che queste persone vivono in condizioni disperate, senza riparo o ammassati in tende e baracche. Nella valle della Bekaa la maggior parte delle famiglie non ha nemmeno servizi igienici e la possibilità di cucinare un pasto. I nuovi arrivati si sono stabiliti in radure fangose e hanno costruito le loro baracche da zero, utilizzando i rifiuti. Prima della guerra molti rifugiati lavoravano come medici o insegnanti: ora per sopravvivere raccolgono patate e ortaggi spartendosi le poche aziende agricole della zona in grado di offrire un salario o una paga in natura. La situazione rischia di precipitare con l'arrivo dell'inverno e la Cnewa sta raccogliendo fondi per la distribuzione di materassi, coperte, vestiti caldi, stufe e carburante. Su 2 milioni di siriani rifugiati circa il 52% è composto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 17 anni, nel solo Libano sono oltre 400mila. (R.P.)

del sito Radio Vaticana 

mercoledì 27 novembre 2013

Reyhanlı, la retrovia della guerra....


Secondo recenti stime sono oltre 600mila i profughi siriani giunti in Turchia, nella provincia di Hatay, in fuga dalla guerra. Qual è l'impatto degli “ospiti” sulla popolazione locale? Nostro reportage da Reyhanlı sul confine con la Siria
Reyhanlı, provincia turca di Hatay, a pochi chilometri dal confine siriano. Da quando circa tre anni fa è iniziata la guerra in Siria la presenza di profughi è diventata una costante di questa cittadina. La sua popolazione che nel 2011 contava poco più di 62mila anime negli ultimi due anni è quasi raddoppiata. Un dato che riflette direttamente il costante aumento dei siriani che raggiungono la Turchia il cui numero, secondo le ultime stime, ha oltrepassato i 600mila.
Mahmoud, originario di Aleppo, è solo uno delle migliaia di siriani fuggiti in Turchia. Ha gli occhi verdi, vent’anni e la pacatezza di un uomo anziano. In un negozio che vende pizza e börek racconta la propria vicenda indicando i segni delle ferite da bombardamento che porta sulle gambe, sul braccio, sulla pancia. Dice in un turco stentato che è arrivato in Turchia circa un mese fa. Ha trovato lavoro a Gaziantep, si trova momentaneamente a Reyhanlı per vedere dei parenti in occasione della festa del sacrificio. “In Siria non è rimasto più nessuno. Fratello, sorelle, mamma, tutti andati”, spiega. I bombardamenti hanno ucciso quasi ogni componente maschile della sua famiglia. Lo hanno voluto arruolare nell’esercito, ma lui è fuggito. Di al Assad dice che è “Şeytan”, satana. Tornerà in Siria, una volta che tutto sarà finito ed al Assad se ne sarà andato. Ma non sa dire quando accadrà. Risponde solo che “Allah è grande”.
Sui 910 km di confine che separano la Turchia dalla Siria sono aperti allo stato attuale solo tre dei tredici varchi di frontiera. Cilvegözü, a 5 chilometri di distanza da Reyhanlı, è uno di questi. Il corrispettivo varco di Bab al Hawa sul lato siriano è sotto il controllo dell’Esercito libero siriano dal luglio 2012. Per “motivi di sicurezza” l’uscita dalla Turchia è ufficialmente consentita solo ai siriani. Molte persone attraversano i varchi a piedi, trasportando qualche bagaglio o sacchetto.
Lo scorso ottobre, durante la festa del sacrificio, le entrate e le uscite quotidiane sono state circa 1.600, contro i 1.000 giornalieri che si verificano normalmente. Anche in tempi di guerra le festività continuano a rappresentare per molti un momento in cui si cerca la riunione con i propri familiari che abitano non solo a Reyhanlı, ma in gran parte della regione di Hatay e in molti altri centri dell’area sudorientale turca.

Affitti e sopravvivenza

Famiglia di profughi siriani (foto A. Gilabert)
Famiglia di profughi siriani (foto A. Gilabert)
Ma non tutti quelli che rientrano in Siria sono stati in visita dai parenti. La famiglia di Hassan, una moglie incinta e quattro figli piccoli, ha deciso di ritornare nella propria cittadina in provincia di Hama dopo aver tentato, invano, per dodici giorni, di trovare un alloggio. L’uomo, un trentenne che prima dell’inizio della guerra lavorava come funzionario comunale, racconta di essere stato a Gaziantep ma di non avere trovato posto nei campi profughi e nemmeno una casa da potere affittare con i pochi mezzi a disposizione. In Siria abitavano in un borgo che contava una popolazione di 30mila persone. Ora sono rimasti solo 500 abitanti. Il luogo è stato quasi interamente raso al suolo dai bombardamenti, le perdite degli amici e dei parenti non si contano. Ma “non c’è niente da fare”, dice Hassan con dignità, “siamo costretti a ritornare in Siria”.
Le tendopoli messe a disposizione dallo stato turco per i profughi siriani sono ventuno, collocate tutte lungo il confine. Ma la loro capacità di accoglienza di 200mila persone da tempo non è più sufficiente ad ospitare le centinaia di migliaia di siriani che sono già in Turchia e che continuano ancora ad arrivare. Il problema dell’alloggio è una questione particolarmente sentita a Reyhanlı, dove gli affitti delle abitazioni hanno registrato degli aumenti vertiginosi. Molte famiglie siriane – di solito con numerosi figli – riescono a sostenere questi costi solo abitando assieme.
“Fino a un paio di anni fa la casa più bella della cittadina aveva un canone mensile di 400 lire turche”, spiega un ristoratore, “ora lo stesso appartamento costa 1.000 lire”, una cifra che corrisponde a circa 400 euro. Un altro commerciante, proprietario di diversi negozi, dice che il prezzo minimo per una casa “normale” parte da 500 lire. “Altrimenti”, spiega, “ci sono le stalle degli animali che alcuni locatari hanno sgomberato per darle in affitto”. La crescente domanda rivolta agli immobili fornisce una spiegazione ai numerosi palazzi appena edificati o in via di costruzione che sorgono in prossimità del centro cittadino. Nonostante i prezzi esorbitanti è infatti molto difficile, se non proprio impossibile, trovare una casa libera a Reyhanlı.

Gli ospiti

La popolazione locale sembra ormai avere accettato la presenza degli “ospiti” con i quali comunicano facilmente, dato che una buona parte delle persone della regione è bilingue turco-arabo. Lo scorso maggio, l’esplosione di due autobombe che ha causato la morte di 52 persone, lasciandone ferite altre 146, ha creato un grave momento di tensione. Attaccati dagli abitanti del luogo perché ritenuti responsabili della tragedia, centinaia di profughi sono tornati in Siria. “Sono partiti in molti, ma altri e altrettanto numerosi sono arrivati ancora”, analizza lucidamente un giovane venditore ambulante, “l’unica differenza è che ora hanno un atteggiamento più defilato, cercano di essere meno visibili”, aggiunge.
Oltre che per l’aumento dei prezzi delle case, i cittadini di Reyhanlı, si lamentano anche del costo dei generi alimentari e dell’abbigliamento, che dicono essere diventati più alti con l’arrivo dei siriani, mentre il lavoro tende a scarseggiare. Nella cittadina si trovano giusto alcune piccole fabbriche tra cui diverse adibite alla lavorazione del cotone, principale coltivazione dell’area. Ma per i turchi sarebbe diventato più difficile anche lavorare nei cantieri. “La giornata di un operaio locale è di 30 lire, mentre i siriani si adattano a lavorare a un terzo di quella cifra” spiega un giovane. In alternativa c’è chi si arrangia vendendo gasolio e sigarette portati in contrabbando dalla Siria, facendo facchinaggio o lavorando al mercato o nei negozi.

Massoud, proprietario terriero

Massoud è il padre di una famiglia composta da nove persone. Nel bilocale preso in affitto, ospita temporaneamente anche un’altra famiglia siriana, degli ex vicini di casa di Hama. Non si tratta della prima volta, “siamo tutti nella stessa situazione di disgrazia”, spiega sgranellando un rosario. L’uomo ha un’aria sicura di sé, che fa trasparire in parte il benessere economico di cui racconta aver goduto fino a qualche tempo prima, perché proprietario terriero. Un bombardamento ha interamente distrutto l’abitazione della sua famiglia, e nella stessa circostanza ha assistito alla scena straziante di un vicino che raccattava i pezzi del proprio figlio.
Fosse stato per lui, racconta, non si sarebbe mai spostato dalla Siria: l’ha fatto per i figli. “Siamo arrivati qui oltre un anno fa e inizialmente, disponendo di abbastanza denaro, siamo andati ad abitare in una casa grande. Ma i soldi ormai sono quasi esauriti e per questo ci siamo dovuti trasferire in questo bilocale”, spiega. Mentre parla, al centro di una delle due stanze arredate unicamente con materassi, cuscini e tappeti viene posato un ampio piatto di riso da offrire agli ospiti, sempre trattati nel migliore dei modi, anche nelle condizioni più difficili. La cuoca è la signora della casa. In Siria faceva l’insegnante di educazione fisica. Una delle figlie più grandi, invece, frequenta a Reyhanlı una delle scuole gestite dai siriani.
Quando il denaro finirà completamente Massoud intende tornare in Siria. Aggiunge però che non ha mai pensato di andare in un altro paese, che sia in Europa o l’Egitto. “Da qui riesco a vedere la mia terra”, spiega.

Aiuti

Camion della ong Fondazione di aiuto umanitario (foto A. Gilabert)
Camion della ong Fondazione di aiuto umanitario (foto A. Gilabert)
Con l’inverno alle porte, mentre qualcuno lotta per sopravvivere in Turchia, altri si occupano di inviare aiuti a chi invece è rimasto in Siria. La ONG islamica Fondazione di aiuto umanitario (IHH), nota al grande pubblico per l’episodio della Freedom Flottillia per Gaza del 2010, è una delle organizzazioni più attive di Reyhanlı. Il suo aiuto si concretizza in spedizioni giornaliere in Siria di 6 o 7 convogli da 27 tonnellate ciascuno contenenti pacchetti alimentari e sanitari, oltre che kit specifici per bebè e pane.
Adiacente al magazzino dove quotidianamente arriva e si smista la merce da inviare nei quattro angoli della Siria, è operativa una fabbrica dove si producono circa 200mila pezzi di pane al giorno, prodotti con farina donata dal Qatar. I responsabili della ONG spiegano, senza meglio precisare, che i loro finanziamenti arrivano sia da donatori turchi che esteri. Il governo turco concede alla fondazione alcune facilitazioni alla frontiera: i loro TIR arrivano fino alle zone tampone tra i due varchi dove i pacchi vengono trasferiti nei convogli siriani. In Siria, una cinquantina di ONG locali operano in loro sostegno nella distribuzione dei materiali d’aiuto. Il processo, precisano gli operatori della fondazione, è seguito e documentato attentamente in ogni sua fase, aggiungendo che per quanto se ne possano inviare cibo, coperte e sanitari restano sempre carenti rispetto alle necessità della popolazione.
Una presenza importante a Reyhanlı è anche quella di diverse organizzazioni di medici statunitensi di origine siriana, attivi nel prestare soccorso ai feriti di guerra in ospedali attivati ad hoc. Maria del Mar, una giovane odontoiatra di Barcellona, presta volontariato in uno di questi centri sanitari, fondato da un medico di Boston. La ventiquattrenne racconta di essere venuta a conoscenza della struttura per caso, mentre sfogliava una rivista medica, ed ha deciso di contribuire come meglio poteva. L’ospedale in cui lavora dispone di una settantina di letti dove curano feriti e mutilati. “I campi profughi della Turchia, a paragone con quelli presenti in Libano, in Giordania e in Iraq sono migliori, hanno servizi igienici, si fa veramente il possibile”, afferma la donna. “Ma è una tragedia che di fronte a una tale brutalità le Nazioni Unite non stiano intervenendo per niente. Ciò che però andrebbe fatto non è costruire altri campi, è fermare la guerra”, aggiunge. Poi, come un raggio di sole, condivide il ricordo migliore che le resta dalla sua esperienza a Reyhanlı: “È l’aver conosciuto molte persone aperte che mi hanno insegnato che in Siria, prima della guerra, gente di tutte le religioni vivevano insieme in pace e nessuno veniva a chiederti quale fosse il tuo credo. Ma di questo alla TV nessuno parla mai”. E quello peggiore: “Le immagini dei bambini innocenti che a causa di questa guerra hanno perso le gambe, le braccia e sono rimasti senza genitori e fratelli”.
(Osservatorio balcani e Caucaso)

Un messaggio dei Bambini Siriani...(Video)


Siria, la Chiesa cattolica dona 78 milioni di dollari di aiuti Dal Vaticano annunciano una missione diplomatica della Santa Sede in Libano per avviare un progetto di aiuto per i bambini siriani....


Per aiutare le popolazioni siriane in balia della guerra civile tra le milizie anti regime e i fedelissimi del Presidente Assad la Chiesa Cattolina ha stanziato in totale oltre 78 milioni di dollari di aiuti. Lo hanno comunicato oggi dal Vaticano annunciando una prossima missione diplomatica della Santa sede in Libano per sostenere un progetto di aiuto ai bambini siriani. “Per la crisi siriana sono stati stanziati oltre 78 milioni di dollari dalla Chiesa Cattolica nel suo complesso, in particolare nei settori dell'assistenza sanitaria, dell'educazione, dell'assistenza agli anziani, dell'alimentazione, ma non solo” ha spiegato dal Vaticano in una nota il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Lo stesso prelato insieme al segretario del dicastero, monsignor Giampietro Dal Toso dal 4 all'8 dicembre intraprenderà un viaggio in Libano al fine di incontrare i vescovi e gli organismi di carità locali, e verificare al tempo stesso il procedere della missione sanitaria avviata per i bambini siriani. Il progetto prevede una prima fase iniziale della durata di tre mesi durante i quali i fondi stanziati potranno aiutare tra i 3 e i 4 mila bambini comprando il medicinale pediatrico necessario...

(fanpage.it)

Due equivoci nel “patto” tra il Papa e Putin per la fine delle violenze in Siria...


La difesa dei cristiani avvicina Vaticano e Russia al persecutore Assad. La “pacificazione” che s’immagina Mosca...


Ieri i tre maggiori giornali italiani hanno dato risalto all’incontro in Vaticano tra il Papa e il presidente russo Vladimir Putin. Il Corriere ha titolato: “Il Papa riceve Putin: basta violenze in Siria”. La Repubblica ha scelto: “Il patto di Putin e Bergoglio: ‘Insieme per difendere i cristiani, vertice a Mosca sul medio oriente’”. E la Stampa ha scritto: “Lo zar bacia l’icona ed è intesa con il Papa: ‘Fermare le violenze contro i cristiani’”.
Questi tre titoli si trascinano dietro due grandi equivoci sulla guerra civile in Siria, a partire dalla questione emergenziale della minoranza cristiana. In questo momento non c’è una parte della popolazione siriana più colpita dalla violenza e più meritevole delle altre di protezione (“fermare le violenze contro i cristiani”). Anzi, a voler essere precisi da due anni e mezzo è la maggioranza sunnita a essere la più esposta nei combattimenti tra la guerriglia e l’esercito di Damasco ed è anche deliberatamente presa di mira dalla campagna repressiva di stato partita nel marzo 2011. La minoranza cristiana siriana vive soprattutto nelle aree controllate dal governo di Assad ed è a rischio di rappresaglie feroci e di attentati da parte dei gruppi armati dell’opposizione – che in maggioranza quasi assoluta si dichiarano islamisti – e la maggioranza sunnita è investita in pieno dalla forza militare del governo, che è arrivato a ordinare contro le aree abitate da civili al di fuori dal suo controllo l’uso di armi che teneva in serbo per una guerra possibile contro Israele (inclusi i missili balistici Scud e il gas nervino sarin).
Sulla questione dei rapporti tra il presidente Bashar el Assad e i cristiani in medio oriente vale la pena ricordare questo: lui, che si presenta come protettore delle minoranze religiose, negli anni scorsi è stato il grande sponsor dei gruppi islamici più anticristiani quando gli erano utili perché combattevano contro gli americani in Iraq. La tragica situazione di oggi dei cristiani iracheni nella provincia di Mosul, al confine con la Siria (molti uccisi, moltissimi fuggiti), è un risultato diretto della politica estera del governo di Damasco, che fino a pochi anni fa aiutava e armava i loro persecutori.
Un secondo grande equivoco riguarda Putin, che in Siria non è un agente di pace, ma è parte attiva delle violenze. Il presidente russo è il protettore più importante – assieme all’Iran del patto sul nucleare – del governo di Damasco, che, secondo tutti i governi occidentali, è responsabile della morte per gas di millequattrocento civili alla periferia di Damasco – e di altre atrocità durante la guerra.
La Russia si è comportata quasi sempre da ostacolo quando in passato si è tentata la strada della soluzione diplomatica: nel giugno 2012 ordinò un clamoroso voltafaccia alla prima Conferenza di pace di Ginevra sulla Siria, quando ancora l’idea di un governo di transizione che sostituisse Bashar el Assad e negoziasse la cessazione delle violenze sembrava probabile, almeno più di quanto lo sia adesso. La Conferenza di Ginevra uno, venuto a mancare l’appoggio di Putin, finì in un nulla di fatto e passata quell’occasione non ne sono ancora arrivate altre. La seconda conferenza di Ginevra si comporta per ora come un miraggio doloroso, si smaterializza ogni volta che ci si avvicina alla data fissata. Mosca inoltre continua a rifornire di armi il governo siriano. Non si tratta soltanto di sistemi utilizzabili contro un ipotetico intervento da fuori – come i radar e i sistemi di difesa aerea – ma di materiale da guerra che continua a essere consumato nella strage di ogni giorno – munizioni, artiglieria, missili, elicotteri, parti di ricambio.
Da noi si tratta di equivoci, altrove c’è una manipolazione fatta ad arte. Dopo la strage con le armi chimiche, il ministero degli Esteri russo cominciò a negare la responsabilità dell’esercito siriano (anche se esistono intercettazioni che dimostrano il contrario, vedi articolo qui sotto) con ogni espediente. Arrivò a dire che i video messi su YouTube erano falsi perché l’ora non corrispondeva, dimenticando di contare la differenza di fuso orario. E trovò sponda in madre Agnese Maria, una carmelitana che compie tour in Europa e Stati Uniti per tenere conferenze a favore di Assad. Madre Agnese sostiene che gli attacchi chimici sono una montatura e che le vittime nei video sono siriani rapiti e uccisi dai ribelli. Padre Paolo dall’Oglio, il gesuita rapito dagli estremisti, la definì: “L’espressione clericale dell’abile manipolazione di regime”.

martedì 26 novembre 2013

Il suo nome era....Saeed Alhalabi...18 secondi per non Dimenticare....(Video)


Damasco, autobomba alla stazione dei bus Alla periferia Ovest. Decine di vittime, tra loro anche due bambini....


È di 15 morti il bilancio dell'attentato dinamitardo verificatosi il 26 novembre in un quartiere periferico di Damasco.
A rifgerirlo è stata l'agenzia ufficiale Sana, precisando che un'autobomba è esplosa nei pressi della stazione di autobus di Somariye, nella parte Ovest della capitale siriana. I feriti, afferma la Sana, sono decine.
ANCHE BAMBINI TRA LE VITTIME. Secondo l'Osservatorio siriano dei diritti umani, il gruppo anti-Assad di monitoraggio con sede a Londra, tra gli uccisi vi sono sei soldati.
Gli altri sono tutti civili che aspettavano autobus e tra loro vi sono due bambini.
Martedì, 26 Novembre 2013
(Lettera 43)

Siria: ribelli, non saremo a Ginevra 2 Generale Idriss, non smetteremo combattere ne' durante ne' dopo...


(ANSA) - BEIRUT, 26 NOV - La principale formazione dei ribelli siriani ha annunciato che non parteciperà alla conferenza di Ginevra ", convocata dall'Onu per il prossimo 22 gennaio. Lo ha detto alla tv panaraba al Jazira il generale disertore siriano Salim Idriss, comandante dell'Esercito libero vicino alla Coalizione delle opposizioni siriane in esilio (Cns). "Non smetteremo di combattere ne' durante ne' dopo la conferenza, ha aggiunto....

Siria: Prossimi colloqui di pace “Ginevra 2” il 22 gennaio...


La prossima serie di discussioni sulla Siria si terrà a Ginevra il prossimo 22 gennaio.
La conferenza di pace dovrebbe trovare una soluzione a 32 mesi dall’inizio della guerra civile a Damasco e risolvere il problema della distruzione dell’arsenale chimico siriano e della transizione democratica dell’attuale regime siriano.
L’inviato speciale dell’Onu, Lakhdar Brahimi ha discusso in diretta telefonica con la controparte siriana: “È un’opportunità gigantesca per la pace. Non dobbiamo gettarla via. Non attendete l’inizio dei colloqui per fare qualche gesto di buona volontà Diminuite la violenza, liberate dei prigionieri”.
Anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, pur rifiutando di rispondere alle domande dei giornalisti si è comunque felicitato di questa nuova opportunità di discutere un cessate il fuoco in Siria: “La sola maniera di metter fine alle violenze e quella di creare un governo che integri tutte le parti in conflitto. Sarebbe imperdonabile non approfittare di questa opportunità per mettere fine a questi lutti e violenze.”
Eppure, malgrado i proclami, la lista dei partecipanti non è ancora pronta. Un nuovo incontro trilaterale Onu-Russia-Usa per preparare la conferenza è previsto il 20 dicembre, ed è forse l’ultimo prima del 22 gennaio...
(euronews)

lunedì 25 novembre 2013

SIRIA: MINORI GIUSTIZIATI, SOTTO IL FUOCO DEI CECCHINI, TORTURATI...


Circa 1.400 minori di 18 anni sono morti come conseguenza del conflitto in. Di questi, quasi 800 sono stati giustiziati, quasi 400 sono morti sotto il fuoco dei cecchini, ed oltre un centinaio sono stati torturati a morte.
Lo rivela un rapporto pubblicato ieri dall’Oxford Research Group, intitolato “Futuri rubati – Il prezzo occulto delle vittime infantili in Siria” e che esamina i dati raccolti dall’inizio del conflitto, nel marzo 2011, fino all’agosto di quest’anno.
Il maggior numero di morti si è verificato ad , dove hanno perso la vita 2.223 bambini. A  invece sono rimasti uccisi, soprattutto a causa dei bombardamenti, un minore su quattro.
Le armi esplosive hanno ucciso il 71 per cento dei minori registrate nel rapporto, circa 7.500. Il 26,5 per cento ha perso la vita per ferite da armi da fuoco leggere.
Infine, lo studio sottolinea che 128 bambini sono morti per gli attacchi chimici perpetrati a  il 21 agosto 2013 e che altri 112 sono stati torturati a morte in diverse località del paese.
La relazione è stata elaborata con dati forniti da vari gruppi della società civile siriana, il cui grado di precisione ha convinto il gruppo londinese circa la validità delle informazioni, si legge nel documento.
Tuttavia, le cifre “dovrebbero essere trattate con cautela e considerate provvisorie perché, in generale, è troppo presto per dire se sono troppo basse o troppo alte”.
Il gruppo chiede a tutte le forza armate coinvolte nel conflitto siriano di “astenersi” dal considerare i civili un obiettivo, “bambini compresi”, e registrare “puntualmente” le vittime causate...
(Atlas)

Siria: oppositori, 4.300 donne stuprate e 8.693 uccise da inizio rivoluzione...


Ankara, 25 nov. - (Adnkronos/Aki) - Sono 4.300 le donne siriane che hanno subito uno stupro dall'inizio delle rivoluzione contro il regime di Bashar al-Assad, a marzo 2011. Altre 8.693 sono state uccise "da Assad e dalle sue milizie". E' quanto sostiene su Twitter la Coalizione nazionale siriana, che lancia una campagna per "proteggere le donne della rivoluzione". "Nei periodi di guerra - si legge nel testo che introduce la petizione online del principale raggruppamento dell'opposizione siriana - la sofferenza delle donne e' la piu' grande"...

The Official 16 Days of Activism Against Gender Violence Campaign...


https://www.facebook.com/16DaysCampaign?directed_target_id=0

Damascus...una bomba cade vicino ai bambini....(Video)


L’Italia della diplomazia. Tra Iran e Siria...


Momenti delicati per il medio-oriente con gli incontri che interessano da una parte la situazione della guerra civile siriana, dall'altra l'ambito del nucleare in Iran. E l'Italia cerca di recuperare peso internazionale...

-Redazione- Era il 2003 quando l'Italia decise di non farsi coinvolgere nei negoziati per affrontare la delicatissima questione dello sviluppo del nucleare in Iran. Una scelta che ha limato il potere diplomatico e la taratura dell'Italia in ambito internazionale. Anche perché in quel periodo l'Italia aveva anche la presidenza dell'Unione Europea, quindi la sua assenza è quasi sembrata una doppia astensione.
Rientrare in gioco in questi casi non è cosa certamente facile. Però la diplomazianostrana si è mossa molto negli ultimi tempi, facendo un'importante lavoro dietro le quinte che potrebbe averla rilanciata, se non all'occhio del grande pubblico almeno a quello degli interessati.
Anche perché sedere al tavolo delle trattative con l'Iran è anche un modo per poter cercare di ottenere qualche vantaggio negli anni in termini di economia e commercio. Un aspetto che potrebbe interessare diverse aziende nostrane, non per ultime il Gruppo Fiat o l'Eni, che avrebbero modo di optare per investire risorse anche nell'odierna Persia.
L'Italia quindi cerca di rilanciarsi e lo fa anche sul fronte siriano, dove conferma di avere un proprio ruolo nella delicata questione dello stato mediterraneo e magari sedere a Ginevra 2. Anche perché l'obiettivo primario per il nostro ministro degli esteri Emma Bonino è quello di riuscire ad aprire dei corridoi umanitari al fine di portare aiuto a una popolazione piegata da un conflitto che perdura da troppo tempo.

Ora speriamo che la ripresa dei negoziati con Teheran possa avere un impatto positivo anche sulla convocazione della conferenza di Ginevra 2 per porre fine al conflitto in Siria” appare scritto in una nota del Ministero....
(Articolo Tre)